Anna Cavallaro, campionessa mondiale di volteggio, è nata a Belfiore, in provincia di Verona. E’ stata la prima italiana a vincere la World Cup di volteggio, nel 2013 a Brunswick, coppa che ha sancito l’inizio di una grande serie di traguardi nella sua carriera. Dopo la vittoria ai Mondiali, la veronese ha ottenuto altri due ori, nel 2014 e nel 2017, e un bronzo nel 2015. Il suo percorso da atleta è stato ricco di sacrifici che, con il passare del tempo, sono stati ripagati dalle numerose medaglie. Nelle diverse esperienze alle Coppe del Mondo Anna è sempre stata accompagnata da Nelson Vidoni, suo allenatore e longeur sin dall’infanzia, con il quale collabora ancora oggi nell’associazione sportiva “La Fenice”, a San Martino Buon Albergo, società che sforna giovani atleti molto talentuosi. Alla seconda rottura del crociato e del menisco Anna ha salutato la sua carriera da atleta e iniziando a dedicarsi totalmente alla preparazione degli atleti della Fenice e alla riabilitazione equestre, aiutando persone di tutte le età.
Com’è stato il tuo percorso da atleta? Sei gratificata da tutte le medaglie che hai vinto?
“Il mio percorso da atleta è stato molto bello. Sono partita dalla ginnastica artistica e dopo sono passata al volteggio, con il quale sono arrivata a vincere tante medaglie e avere titoli molto importanti. E’ stato, quindi, un percorso fatto passo dopo passo e, come tutti gli atleti, sono partita da una base ludica per poi passare all’agonismo. Ho fatto un primo periodo di lavoro in squadra e poi a lavorare individualmente vincendo diverse medaglie e tanti titoli. Possiamo dire che è stato un percorso gratificante perché adesso guardare tutta la vetrina piena di coppe e di medaglie è appagante.”
Se potessi tornare indietro cambieresti qualcosa?
“Cercherei di non farmi male e di non rompermi i legamenti, perché i due stop dovuti, appunto, all’infortunio dei due crociati, a distanza di dieci anni, hanno pesato sulla carriera. Allo stesso tempo, però, mi hanno fatto crescere come atleta, perché la riabilitazione mi ha permesso di costruire e fortificare determinati muscoli che mi hanno aiutato nel mio percorso, perfezionando la tecnica e arrivando più preparata alle gare successive. Quando sono rientrata, quindi, ero, tra virgolette, più pronta di quando avevo abbandonato.”
Quale, tra le varie esperienze di Campionati mondiali, ti è rimasta più impressa?
“La prima Coppa del mondo con Harley nel 2013, a Braunschweig. E’ stata una Coppa del mondo misteriosa perché non conoscevo molto questa realtà. Si faceva all’interno delle grandi fiere d’Europa. Il pubblico era un uditorio da fiera e, quindi, non abituato a vedere il volteggio. Era più una gara spettacolo e, quindi, dovevamo esibirci a ore strane, perché non era la solita classica giornata di gara. Quindi all’interno di uno spettacolo, vincere quella tappa di Coppa del Mondo, è stata veramente una cosa che mi è rimasta nel cuore.”

Il volteggio è uno sport che è ancora poco conosciuto in Italia, pensi che in futuro questo potrà cambiare?
“Già da qualche anno si è evoluto molto e ha preso piede anche in Italia. In Germania, Svizzera e Austria il volteggio è conosciuto tanto quanto il calcio qui in Italia. Lì tutti sanno che quando si inizia a fare equitazione bisogna partire con volteggio, perché è uno sport propedeutico all’equitazione per l’equilibrio e per conoscere come si sta in sella. Poi, successivamente, si passa alla disciplina che si sceglie, che può essere salto a ostacoli, dressage o volteggio. Qui in Italia non è così, ma stiamo cercando di portarlo all’interno delle scuole. Un modo per cercare di far conoscere di più il volteggio è puntare alle scuole, alla formazione, nella parte di educazione fisica. Per questo io vado a presentare cos’è il volteggio e poi invito la classe al maneggio per fare la parte pratica. Quindi, quello che hanno sentito o hanno visto con i video quando sono andata a presentarglielo, lo mettono in pratica quando vengono in maneggio, provando il tutto sulla propria pelle. Facendo ciò si è già smosso qualcosa, perché anche a livello di numeri in Federazione il volteggio sta crescendo. Perché, quando parli di salto ostacoli tutti sanno cos’è ma se si parla di volteggio molti dicono “Ah, sì, il circo” quando, in realtà, è una disciplina regolamentata a livello di federazione.”
Quanto è importante in questo sport la sintonia con il cavallo? E come si può ottenere?
“Una cosa fondamentale nel volteggio è la sintonia e l’empatia con il cavallo e con il longeur, ovvero colui che conduce il cavallo. Nell’ultimo periodo ho lavorato con Monaco, mentre precedentemente avevo lavorato con Harley, il mio cavallo storico. Come longeur mi ha sempre accompagnato Nelson e con lui abbiamo lavorato in sintonia perfetta in tutte le gare. Un altro aspetto importante è quello di conoscersi sotto tutti i punti di vista: sapevamo, ad esempio, che quando entrava in gara Harley doveva essere tirato fuori dal box un’ora prima mentre con Monaco, sapevamo che se lo tiravamo fuori troppo presto si stancava e non rendeva in gara. Quindi è necessario conoscere ogni cavallo, a partire dal suo carattere fino alla sua andatura, perché nel momento in cui in gara noti che è un pochino nervoso, sapere che alcuni elementi del tuo esercizio non li puoi cambiare, perché potrebbero scatenare una reazione del cavallo, è fondamentale.
Negli ultimi anni si sente spesso parlare di approccio benefico tra le persone soggette a disabilità e un animale che, nel tuo caso è il cavallo. In cosa consiste questa terapia?
“Recentemente ha preso il nome di intervento assistito con gli animali, mentre precedentemente era chiamata riabilitazione equestre. Noi in maneggio lo facciamo, appunto, con i cavalli ed è un modo per aiutare chi ha qualche disabilità, che può essere fisica o psichica, ad entrare in relazione con qualcuno o a ricreare il movimento per la parte fisica. Mettere in sella chi, ad esempio, ha una spasticità o una tetraparesi può aiutare a ripetere la camminata tramite la camminata del cavallo, che ricrea il movimento di basculamento necessario per la camminata umana. Nella parte di disabilità psichica, come può essere un autismo o un’iperattività, serve a creare una relazione, che magari un bambino con autismo non riesce a creare con una persona, con il cavallo. Questa unione può trasmettere delle emozioni che il bambino autistico accetta. Quindi, per esempio, non accetta una carezza fatta da me, ma accetta un abbraccio dato al cavallo. Lavorare con i cavalli e la disabilità è una cosa che ho iniziato seguendo le orme di Nelson. Mi è piaciuto fin dall’inizio e adesso, in maneggio, lavoriamo in collaborazione con il Don Calabria e con diverse fasce di età, a partire dai bambini fino agli adulti. Il martedì mattina lavoro con gli adulti, che spesso arrivano a causa di incidenti o ictus. Vedere cosa trasmette il cavallo a queste persone che, da un giorno all’altro, hanno avuto un cambiamento repentino della vita, è una cosa che ti lascia sempre a bocca aperta. I bambini, inoltre, possono gareggiare perché il volteggio è anche uno sport integrato e, quindi, il bambino con disabilità può andare a gareggiare all’interno di gare nazionali con squadre integrate, ovvero formate da bambini normodotati che vanno ad aiutare i bambini con disabilità.”














