Martedì 3 dicembre è, per l’Italia e per il Veneto, una giornata particolare poiché viene emessa, dopo più di un anno dall’omicidio, la sentenza riguardante la morte di Giulia Cecchettin.
Il 25 novembre, durante la Giornata Internazionale contro la Violenza sulle Donne, il procuratore Andrea Petroni, rappresentante dell’accusa, durante la terza udienza alla corte di Assise del tribunale di Venezia, aveva chiesto l’ergastolo con aggravante di crudeltà, premeditazione e stalking. “Mi sembra difficile trovare una premeditazione più provata di questa. E’ un caso di scuola, pensato non 12 ore prima, 4 giorni prima, eseguito quotidianamente (…). Se tu conosci la vittima, se tu la incontri, se tu le sei legata, se tu ne apprezzi la vitalità, tu il tuo impulso lo dovresti rivedere non una, ma mille volte”.

Completamente diversa è stata l’arringa della difesa di Filippo Turetta, che sosteneva che l’omicida non avesse avuto intenzione di ucciderla, ma solo di sequestrarla, cercando così di confutare la tesi della premeditazione, che avrebbe portato ad un ergastolo sicuro, e quindi a 30 anni di reclusione. Giovanni Caruso infatti, legale di Turetta, leggeva le dichiarazioni del suo cliente, dove affermava che inizialmente voleva solo convincerla a rimettersi con lui. L’avvocato inoltre sottolineava anche il fatto che Filippo non era in sé in quel momento e che quindi non poteva esserci il fattore della crudeltà.
“Mi sono nuovamente sentito offeso e la memoria di Giulia umiliata”, così dichiarava in un post Gino Cecchettin, il padre di Giulia, dopo le dichiarazioni di Caruso. E ancora “[…] Credo che nell’esercitare questo diritto sia importante mantenersi entro un limite che […] è dettato dal buon senso e dal rispetto umano ”, riferendosi al diritto di difesa dell’imputato.

Ma ecco che, il 3 dicembre, abbiamo la sentenza definitiva, e tanto attesa da molti italiani, che condanna Turetta all’ergastolo, attribuendogli la premeditazione. Sconterà la pena al carcere di Montorio, dove tra 26 anni, nel 2049, potrà chiedere la libertà condizionale.
“La mia sensazione è che abbiamo perso tutti come società, che nessuno mi darà indietro Giulia. […] Io penso che la violenza di genere non si combatta con le pene, ma vada combattuta con la prevenzione, insegnando concetti che sono forse un po’ troppo lontani. […] Quindi come essere umano mi sento sconfitto. Come papà non è cambiato nulla rispetto a ieri, rispetto a un anno fa.” Questa la dichiarazione del padre Gino poco dopo la condanna.
Si conclude così la prima fase del caso Cecchettin, uno dei più seguiti in Italia, e che ha portato, grazie al suo peso, alla denuncia di molti altri abusi e persecuzioni, creando forse una nuova sensibilità nella nostra società. Proprio a Verona, nel periodo da agosto a novembre 2024, si sono contati più di 170 nuovi casi solo nel centro antiviolenza P.E.T.R.A. e, in generale in Italia, con un aumento del 87,5% di denunce.













