Come tutti sanno, le startup sono delle imprese emergenti alla ricerca di capitali, soluzioni governative e strategiche, che possano farle crescere definitivamente. In Italia questo fenomeno sta avendo una grande crescita, e ciò è dimostrato dall’enorme incremento di queste negli ultimi anni, il cui numero è arrivato a circa 390mila. Diamante, nata nel 2016, spin off dell’Università di Verona, è un’azienda farmaceutica, che usa molecole prodotte dalle piante per creare delle tecnologie terapeutiche e diagnostiche per le malattie autoimmuni, con il potenziale di migliorare la salute di milioni di persone. Nell’ultimo anno l’azienda ha raggiunto grandi obiettivi, sia nell’ambito della ricerca che in quello economico.
Ecco la nostra intervista alla CEO di Diamante: Valentina Garonzi.
Per chi non fosse esperto di questo ambito, di cosa si occupa la vostra azienda in linee generali?

La nostra azienda si occupa di creare una piattaforma tecnologica che ha come obiettivo quello di sviluppare delle molecole che possono essere usate per farmaci, malattie autoimmuni e, in futuro, vaccini e sistemi di diagnosi. L’innovazione consiste sia nel meccanismo d’azione terapeutica, il quale “spegne” la malattia sul nascere, sia nella produzione di esso, che fa produrre il nostro farmaco all’interno delle piante.
Da dove è nata l’idea di creare Diamante e come è scattata la scintilla per il progetto?
Tutto è nato dall’idea della mia collega Linda Avesani, ricercatrice nell’ambito biotecnologico. Nel 2013 aveva sviluppato un progetto innovativo riguardo l’uso delle piante per produrre molecole da utilizzare nell’ambito diagnostico e terapeutico. Il primo incontro con Linda, che all’epoca aveva un’azienda in ambito biotecnologico che purtroppo non ha avuto sviluppo, è stato per un’intervista per scrivere la mia tesi triennale sulle startup. Non avendo competenze economiche, mi ha chiesto di collaborare per fare un primo business plan. In seguito, partecipando a una competizione, ci siamo accorte che il progetto riscontrava successo, sia tra gli esperti che tra gli investitori, e quindi dopo alcuni mesi ci siamo lanciate in questa avventura.
Cosa richiede creare un progetto così ambizioso da zero?
Innanzitutto ci vuole moltissima determinazione, perché le sfide sono tante; inoltre ci vuole un gruppo giusto e coeso che ti sostenga in tutti i momenti. E infine, ma non per importanza, ci vuole tantissima passione.
Quali sono state le maggiori difficoltà che avete incontrato durante questo percorso?
Sicuramente la raccolta di capitali e di investitori, poiché, facendo ricerca e sviluppo, non abbiamo ricavi. Quindi ci finanziamo attraverso partecipazioni a bandi europei, italiani ed internazionali. Inoltre, un’altra grande sfida è trovare persone giuste e con competenze adatte a sviluppare, dal punto di vista scientifico, le nostre tecnologie.
Quali sono i vostri obiettivi per il futuro?
L’obiettivo principale è di dimostrare che i farmaci, che stiamo sviluppando in questo momento, siano sicuri ed efficaci per noi e quindi iniziare gli studi sull’uomo. Allo stesso tempo, costruire uno spazio produttivo in cui poter dare opportunità lavorative per i nuovi ricercatori che escono dalle università, che altrimenti sarebbero costretti a cercare un lavoro all’estero.
Cosa vorrebbe dire ai giovani che hanno dei progetti in mente ma hanno paura di affrontare questo percorso?
Credo che sia un percorso formativo di grande livello, perché, creando un’azienda, si segue fin dall’inizio in tutti i processi aziendali, e questo per me è stato un momento di grande crescita personale. Certo, può spaventare, ma quando sei all’interno di ciò, si trova il modo di fare le cose, ed è fondamentale parlare con più persone possibili, partecipare ad eventi e dialogare con altri founder, tra cui c’è una grandissima solidarietà e disponibilità. Quindi, sulla base della mia esperienza, consiglio a chiunque abbia un’idea in mente di lanciarsi, perché, anche se non dovesse andare bene, si impara sempre qualcosa.











