In questo periodo in cui purtroppo la guerra è presente in tanti Paesi, abbiamo incontrato e intervistato Fabrizio, alto Ufficiale veronese dell’Esercito Italiano, più volte in missione ONU all’estero, anche con la Nato, che ha operato in territori particolarmente martoriati dai conflitti, come l’Afghanistan, l’Iraq, la Bosnia ed Erzegovina e il Kosovo.
Alle soglie della pensione, dopo una carriera militare intensa, Fabrizio racconta un po’ di sé: sentimenti, paure, dubbi, impressioni e opinioni.
Fabrizio, quali sentimenti si provano nell’abbandonare, tante volte, la sicurezza della famiglia, per andare in ambienti sconosciuti e pericolosi?
Sapere che la famiglia dovrà andare avanti senza il supporto, sia logistico che affettivo, del papà e del marito è sicuramente un elemento importante da tenere in considerazione: gli anni passano, i figli crescono, con la speranza che la prolungata assenza non comporti future lacune affettive, che saranno sicuramente da monitorare e, se necessario, da colmare. Le mie due figlie, dopo il mio definitivo rientro, ad una festa del papà, mi dissero che finalmente stavano conoscendo il loro “autentico” padre, e ciò è significativo della ‘’mancanza’’ da loro sofferta. Ma servire il proprio Paese nel corso delle varie missioni, sentendosi onorati di rappresentare la propria bandiera, è impagabile. Aiutare popolazioni in grave crisi, adoperandosi senza sosta per migliorare il loro futuro, intervenendo affinché le stesse raggiungano un equilibrio (negli ambiti, per esempio, della sicurezza, della vivibilità e della formazione), che possa elevarne in modo strutturale il livello socioeconomico, ha certamente rappresentato e rappresenta la priorità del nostro mandato di militari in missione.

Quale situazione, anche psicologica, vivono i popoli in conflitto, specialmente i giovani, e qual è il loro rapporto con la scuola?
La guerra è caos e, mentre in pace generalmente i figli vedono morire i loro genitori, in guerra accade purtroppo il contrario! La maggior parte degli Stati a livello mondiale, in seguito all’esperienza tristemente e dolorosamente maturata in particolare nelle ‘’grandi guerre’’, ha cercato di individuare un insieme di regole con lo scopo di limitare gli effetti dei conflitti armati, regolamentando i cosiddetti “mezzi e metodi di guerra”, cioè le armi e le procedure utilizzate negli stessi. Non meno importante è la disciplina per il trattamento dei prigionieri e dei civili coinvolti. I militari e i civili che infrangono le leggi di guerra perdono le protezioni accordate dalle norme stesse. Purtroppo, come si sta anche osservando con gli attuali conflitti in corso, non sempre i contendenti rispettano i trattati internazionali. Così è inevitabile che i più deboli, tra cui specialmente i bambini e i giovani, siano i primi a soffrirne: tutto diventa senza senso e, anche nell’ipotesi in cui si riesca a mantenere in piedi con difficoltà l’istruzione scolastica, questa viene fortemente condizionata e, spesso, vanificata dagli eventi in itinere.

Qual è la tua opinione sugli attuali scenari internazionali di guerra?
Non è semplice commentare, senza essere fraintesi, gli attuali scenari internazionali, poiché, in generale, sarebbe prima necessario conoscere la storia dei popoli interessati. Machiavelli insegna che la storia è maestra di vita in quanto si ripete. Lo stesso ‘’governante’’ deve conoscere la storia per poter amministrare al meglio lo Stato: non conoscendola, cade inevitabilmente in errori spesso già compiuti in passato. Peraltro, le informazioni che giungono dai media non sono sempre fedeli ai fatti: non si può essere, per esempio, sicuri che un atto di guerra imputato dai mezzi di informazione ad uno dei contendenti non sia stato perpetrato magari dall’altro, proprio con lo scopo di screditare il nemico di fronte all’opinione pubblica. Oggi, nell’epoca di internet, dei social media e della globalizzazione delle informazioni, la guerra si combatte non solo con le armi, ma anche con le informazioni che si diffondono. Per esprimere un’opinione attendibile, quindi, occorrerebbe essere in possesso di informazioni oggettive, che, a guerra ancora in itinere, è praticamente impossibile avere, e conoscere, con profondità, la storia dei paesi coinvolti nel conflitto.

Un’ultima domanda che incuriosisce molti: le donazioni di denaro, di cibo, di vestiti e di farmaci ai paesi in difficoltà o afflitti dalla guerra aiutano davvero o possono costituire un ostacolo allo sviluppo autonomo? C’è un settore verso il quale, in particolare, bisogna concentrare gli aiuti?
Bisogna distinguere tra aiuti inviati per situazioni estreme (per esempio al fine di evitare epidemie e carestie) e quelli, che, senza una contestuale azione strutturale, tesa a fornire gli strumenti per provvedere in proprio, risulterebbero solo controproducenti. Noi militari Italiani abbiamo sempre fornito prioritariamente gli strumenti necessari a migliorare le capacità intrinseche delle società in crisi, anche, ove necessario, con ausili immediati (cure mediche, viveri e molto altro). L’Esercito Italiano opera nella consapevolezza che le operazioni militari contribuiscono e stimolano la crescita del paese ‘’aiutato’’ e promuovono la coscienza dell’importanza per l’Italia di assumere ruoli di sempre maggiore responsabilità anche in campo internazionale. L’output operativo, che l’Esercito esprime all’estero con i propri uomini e donne, rappresenta uno stimolo alla stabilità e allo sviluppo, condizioni necessarie per ridare speranza alle popolazioni nelle aree in conflitto o in difficoltà. Questo è un impegno importante, peraltro, anche nell’ambito dell’Onu, della Nato e dell’UE. In tali contesti rimane comunque di primaria importanza l’intervento a favore delle scuole, in quanto esse rappresentano il fondamento per istruire le nuove generazioni, affinchè siano in grado di superare i limiti che le problematiche di genere, etniche e di tolleranza religiosa generalmente producono in siffatte realtà.












