«Dio sceglie i piccoli», la storia di Rolando Rivi

«Dio sceglie i piccoli perchè appaia chiaramente che tutto ciò che essi dicono e fanno è opera sua». Così disse Monsignor Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia, parlando della vocazione del Beato Rolando Rivi, martire a 14 anni.

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Rolando Rivi, proclamato beato da Papa Francesco nel 2013, nacque a San Valentino, in provincia di Reggio Emilia, il 7 gennaio 1931, da una famiglia di agricoltori umili e profondamente cattolici. Fin da piccolo coltivò la sua vocazione andando la mattina presto a Messa e facendo il chierichetto. Nel 1942 entrò quindi in seminario. Qui era molto amato da tutti, e si distingueva per la sua bravura nei giochi, la passione per la musica e la sua profonda fede.

Nel 1944 i tedeschi occuparono il seminario e i ragazzi dovettero tornare alle loro case. Rolando continuò a frequentare la chiesa e la canonica. Gli piaceva giocare con i suoi amici; molti dei quali hanno testimoniato che era entusiasta della vita, il più scatenato nei giochi, ma anche il più devoto… In quel periodo per i coetanei era diventato una guida: insegnava loro a pregare il rosario, a servire la messa, visitare il Santissimo, e ad amare Gesù; infatti diceva:”Se tu vuoi bene al Signore, vuoi bene a tutti”. Intanto cresceva forte in lui il desiderio di tornare in seminario perchè da grande sarebbe voluto diventare un sacerdote missionario, per far conoscere Gesù a tutti coloro che non l’avevano ancora incontrato. In quei tempi però, era diventato pericoloso mostrare la propria appartenenza alla Chiesa.

Sul finire della guerra infatti, le formazioni partigiane che avevano aderito all’ideologia comunista erano particolarmente attive nella zona dell’Appennino fra Modena e Reggio Emilia. Lo stesso don Olinto,parroco del paese, fu di notte picchiato e derubato tanto che aveva dovuto accettare di allontanarsi per un periodo di riposo. Al suo posto venne inviato il giovane don Alberto Camellini. Rolando era ben consapevole del pericolo che rischiava tenendosi la veste, sua madre infatti gli chiese di levarsi la tonaca, ma lui rispose:«Ma perché? Che male faccio a portarla? Non ho voglia di togliermela. Io studio da prete e la veste è il segno che io sono di Gesù». 

La mattina del 10 aprile 1945, dopo due mesi sarebbe finita la guerra, se ne andò a studiare in un boschetto vicino a casa. Alcuni partigiani lo avvicinarono e lo costrinsero a seguirli. Fu un vero e proprio “sequestro di persona” non si sa se “premeditato o occasionale”, come chiarirà dopo alcuni anni la sentenza di condanna dei responsabili di fronte alla Corte di Assise di Appello di Firenze il 22 ottobre 1952. Si sa però da un racconto del padre che quando tornò dal lavoro non trovandolo in casa andò con la moglie dove era solito studiare, e videro tutti i suoi libri sparpagliati in terra e un foglio strappato da un quaderno su cui c’era scritto: ”Non cercatelo. Viene un momento con noi. Partigiani”.

Fatto prigioniero, Rolando fu portato in un casolare , a Piane di Monchio, da alcuni partigiani del battaglione Frittelli, una formazione a tendenza comunista. Da quel momento tutto quello che accadde a Rolando fu fatto al di fuori delle regole che pure disciplinavano la guerra partigiana e fu motivato solo da un odio per la fede del ragazzo. Per di più Rolando, era simpatizzante delle Fiamme Verdi, ossia i partigiani della Brigata democristiana Italia. 

Anche il comandante Delciso Rioli in una recente intervista si chiese cosa fosse venuto in mente ai suoi soldati. Rolando stette rinchiuso in una porcilaia e fu sottoposto a interrogatori con l’obiettivo di estorcere  qualche informazione per condannarlo a morte, cosa forse già decisa al momento del rapimento. 

Il ragazzo fu accusato: di essere una spia, un informatore dei tedeschi, di aver rubato indumenti, di aver sottratto ai partigiani una pistola e di aver sparato contro di essi. Accuse poi rivelatesi nei processi di primo e secondo grado, completamente infondate. Per costringerlo  a confessare fu insultato, preso a cinghiate, colpito selvaggiamente con pugni e calci. La proprietaria del casolare affermò di aver sentito picchiare il ragazzino e riferì i particolari delle torture a cui fu sottoposto. Il seminarista fu fatto spogliare della sua amata veste, in quanto segno di appartenenza a Cristo. Poi dell’abito ne fecero un pallone da prendere a calci mentre urlavano: “ecco la tonaca del prete”. Dalle testimonianze di suo padre e alcuni partigiani: il 13 aprile 1945, un venerdì alle 15, lo portarono in un boschetto. Il ragazzo quando ha visto la buca scavata, ha chiesto di pregare per la sua mamma e il suo papà. Si inginocchiò, e gli spararono due colpi di pistola uno in fronte e uno al cuore. 

A sparare quei due colpi fu Giuseppe Corghi che nella sentenza di condanna venne descritto come:”uomo politicamente fanatico e sostenitore dell’odio di classe”.

Don Camellini testimonia il ritrovamento di Rolando: «C’erano alcuni partigiani comunisti che parlottavano tra di loro e quando ci hanno visto (Don  Camellini e il papà di Rolando) hanno chiamato il commissario politico. Alla nostra richiesta se un seminarista fosse stato da loro arrestato, il commissario politico ha detto di non saperne nulla. Allora io ho replicato:”Di sicuro che è qui, ce l’ha detto il vostro comandante”. A quel punto il commissario politico ha risposto:”Sì è stato ucciso qui. L’ho ucciso io, ma sono perfettamente tranquillo”. Mi è passato un brivido per la schiena».

Il mattino seguente andarono nel luogo in cui fu sepolto e ucciso, continua don Camellini:«Ho pregato il papà di scostarsi un po’, di aspettare in disparte, perchè temevo che alla vista del figlio ucciso si sarebbe sentito male. Aiutato da un partigiano ho tirato via quei venti centimetri di terra. Sotto c’era il cadavere del povero ragazzo. L’ho tirato su. L’ho messo a fianco della buca e poi ho cercato di lavarlo con un poco di acqua e  il mio fazzoletto. Lo pulivo come meglio potevo. Ho visto che vi era un foro di proiettile sulla tempia sinistra e un altro foro, con il sangue che usciva, all’altezza del cuore… Non dimenticherò mai il colloquio del papà con il suo Rolando. Mai avrebbe pensato di ritrovarlo in quello stato… Lo abbiamo messo in una cassa provvisoria, ricavata da quattro assi di legno. Nella chiesa di Monchio abbiamo celebrato la Messa per Rolando. Il parroco ha scritto l’atto di morte e poi lo abbiamo portato al cimitero del paese ». Grande fu il dolore della mamma quando vide ritornare il marito e Don Camellini senza l’amato Rolando. Il padre in uno dei suoi scritti disse:«Ho anche saputo più tardi che una parte di questi partigiani, non voleva arrivare a questo, ma un certo Corghi di Formigine ha risposto: “Domani un prete di meno”». A guerra finita il 29 maggio 1945 la salma di Rolando fu trasportata al cimitero di San Valentino.

Bisogna inoltre ricordare che dal 1944 al 1947 solo in Italia dai partigiani furono uccisi 130 sacerdoti, la maggior parte fra Reggio Emilia, Ferrara e Bologna. Il 5 ottobre 2013 Rolando Rivi è stato beatificato, ed è venerato come patrono dei ministranti.

Oggi a San Valentino è possibile  visitare il museo a lui dedicato e  la chiesa parrocchiale dove è conservato il corpo del giovane Rolando.

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