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L’avventura di Space-X è iniziata con l’idea di una serra: una mini-capsula di vetro, contenente sementi preservati all’interno di un gel disidratato, che avrebbe testato la possibilità di coltivare il suolo marziano. Il progetto, risalente al 2001, si chiama Mars Oasis. Sembra che poi Elon Musk, il fondatore di Space-X, si sia reso conto che per andare a vivere sul Pianeta Rosso servivano innanzitutto mezzi di trasporto, e ha così spostato la sua attenzione dalle serre ai razzi.
Piantare la bandiera di conquista

L’idea di colonizzare Marte non gli è mai passata! Nel 2016, durante l’annuale International Astronautical Congress, Musk presentò il suo piano per portare un milione di persone sul Pianeta Rosso entro un secolo, e fondare la prima città extra-planetaria. Quattro anni dopo, nel 2020, confermò i piani, suggerendo che il primo “SpaceX-man” su Marte sarebbe arrivato già nel 2026.

Ma può una sola azienda prendersi una fetta di un pianeta per stabilirci la propria colonia privata? Dal punto di vista legale, certo che no! Per capire i motivi di questa situazione occorre fare un passo indietro. La bandiera più simbolica per l’intera storia dell’umanità è probabilmente quella piantata da Neil Armostrong e Buzz Aldrin sul suolo lunare durante il primo sbarco sulla Luna il 20 luglio 1969, poco dopo l’atterraggio della missione Apollo 11. Un gesto digerito a fatica da molti, soprattutto dai Russi, durante il periodo della Guerra Fredda. Fino a un centinaio di anni prima, infatti, piantare una bandiera dall’altra parte del mondo aveva un solo significato: conquista, vittoria.

Gli Americani, però, non volevano intendere che la Luna fosse diventata una colonia USA, perché la questione legale era già stata affrontata da una commissione internazionale. Il clima storico degli anni Sessanta, infatti, non permetteva di ignorare le possibili ripercussioni politiche che poteva avere il reclamare il territorio lunare come proprio.
Per questo nel 1967 era stato redatto un trattato internazionale chiamato Outer Space Treaty, a oggi firmato da 111 Nazioni (inclusa l’Italia), che protegge la Luna, Marte e tutti gli altri corpi celesti. Rappresenta il caposaldo per la cooperazione internazionale per progetti spaziali ed extraterrestri e stabilisce, tra le altre cose, che lo spazio e i pianeti sono territori di tutti e di fatto “provincia dell’umanità”. Questo significa che né Musk né qualsiasi altro Stato o azienda può andare su un Pianeta o sulla Luna e dichiararlo come propria proprietà.

L’Outer Space Treaty, però, se da una parte protegge i corpi celesti da appropriazioni illecite, dall’altra difende il diritto di tutte le nazioni ad accedere allo spazio e a usufruirne “per scopi pacifici”. Quindi se un giorno, il Messico, l’India, l’Italia decidessero di andare sulla Luna per proprio conto e costruirvi una base scientifica potrebbero scegliere il luogo dove atterrare, gli esperimenti da eseguire (a patto che non si tratti di test nucleari) e i campioni da raccogliere, senza dover chiedere il permesso a nessuno. In cambio dovrebbero soltanto condividere gli studi e i dati ottenuti con le altre nazioni e garantire che le ricerche siano state svolte per il bene dell’umanità.
Ma c’è un problema!

La complicazione sta nel fatto che l’Outer Space Treaty fu scritto in un momento storico nel quale la possibilità di missioni commerciali nei cieli lunari non era presa seriamente in considerazione. Fu per questo fatto che venne redatto principalmente per evitare che l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti utilizzassero lo spazio come campo di battaglia (anche le zone più vicine dove si trovano i satelliti). Vigeva, infatti, l’assunzione che lo spazio stesso sarebbe rimasto un affare governativo, utilizzato a scopo di ricerca.
Ad oggi, però, le cose sono molto cambiate: per esempio, nel corso delle missioni Apollo, gli USA hanno raccolto circa 380 chilogrammi di rocce lunari, usate poi per fini esclusivamente scientifici, allora in futuro centinaia di aziende potrebbero estrarre tonnellate di minerali dalla Luna o dagli asteroidi. Come si può regolare il commercio spaziale a scopo di lucro? Fino a pochi anni fa non c’erano delle leggi, successivamente gli Stati Uniti hanno preso in mano la situazione.
Terra di tutti o di nessuno?

Nel 2015, l’allora presidente Barack Obama firmò un documento che nelle sale delle Nazioni Unite fece parecchio scalpore: l’U.S. Commercial Space Law Competitivness Act, o più semplicemente Space Act, che autorizzava le compagnie private americane a estrarre minerali dai corpi celesti al di fuori della Terra e venderli come profitto. È chiaro che lo Space Act non piacque a molte altre Nazioni, in particolare Cina e Russia. Da un lato, infatti, dichiara di salvaguardare l’Outer Space Treaty, dall’altro non spiega come conciliare l’estrazione mineraria a scopo di lucro con il primo articolo di tale trattato, che afferma che l’uso dello spazio “sarà portato avanti per il bene e gli interessi di tutte le Nazioni”.

La volontà di riscrivere le leggi riguardanti l’uso e lo sfruttamento di corpi celesti al di fuori della Terra è confermata da recenti Artemis Accords, trattati bilaterali che gli Stati Uniti hanno proposto ai propri partners in vista del programma Artemis, il piano statunitense di ritorno sulla Luna. Gli Artemis Accords, come lo Space Act, non violano apertamente l’Outer Space Treaty, ma giocano e traballano sul filo di ciò che non è espressivamente vietato per introdurre nuove regole.
Ancora più controversa è la richiesta di creare delle “zone di sicurezza” sui corpi celesti per proteggere le missioni da “interferenze dannose”. Gli Artemis Accords non specificano né l’entità di tali zone né la grandezza, ma solo il fatto che saranno flessibili, potranno cambiare nel tempo e saranno temporanee. Ma se si pongono dei confini in zone nelle quali altri non possono entrare, non si sta creando una proprietà privata?
Tempi che continuano a cambiare

Dal 2015 è quindi in atto una progressiva erosione dell’Outer Space Treaty, con lo Space Act prima e gli Accordi Artemis poi. Il primo introduce il bene dello spazio per scopi privati, il secondo cerca di limitare l’accesso alle risorse, così che tale uso rimanga nelle mani dei primi che arrivano. Al momento, la tecnologia per estrarre minerali e occupare un pianeta è troppo acerba perché le nazioni se ne preoccupino seriamente, ma tra cento anni le persone controlleranno le etichette dei prodotti spaziali come oggi controllano quella dei prodotti al supermercato, e parleranno di un viaggio sulla Luna come attualmente ci riferiamo a Las Vegas.
Siamo di fronte all’ennesimo capitolo della storia in cui i principali protagonisti sono guerra e sfruttamento: riusciremo a gestire lo spazio come una risorsa comune? Forse, un giorno, ci sarà realmente la Mars Oasis di Elon Musk, ma sta a noi decidere se sarà un’oasi per il bene comune o sarà riservata soltanto a poche persone.