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Dove le folle di turisti non riempiono le vie con l’animato vociare, gli abitanti di Sirmione e i suoi più fedeli amanti si rifugiano per sfuggire al frenetico ritmo quotidiano. È qui che da più di 700 anni sorge la Chiesa di San Pietro in Mavino, un piccolo edificio dalle spoglie mura che, all’entrata, riempie gli occhi e il cuore dei mille colori delle pareti affrescate. Ed è in occasione della solennità dei santi Pietro e Paolo, celebrata il 29 giugno, che si onorano la bellezza e storia di questa chiesa, parte integrante delle ricchezze artistiche e culturali offerte dalla Perla del Garda.
Se il nome di san Pietro riportasse subito al ricordo di una gita a Roma, ecco che si aggiungerà ora un nuovo, importante tassello nella mente del lettore. Dimenticando lo stile rinascimentale e fastoso della grande Basilica, sarà possibile immergersi in un contesto storico, naturale e sociale di equivalente importanza per il nostro territorio.

Storia
Sono i Longobardi ad attestare l’esistenza della Chiesa di San Pietro in Mavino, con un documento datato 13 giugno 765: era questo il periodo della loro conversione da arianesimo a cattolicesimo, che avrebbe portato alla diffusione del culto dello stesso santo. Ma la fondazione dell’edificio, volto anche a uso funerario, sembra risalire ad un tempo precedente, tra il V e VI secolo, con l’evangelizzazione dell’area gardesana. Le tombe, databili dalla fondazione fino all’età rinascimentale, testimoniano la presenza della chiesa durante il corso della storia e le diverse età artistiche.

1320-21 è la data indicata da un’incisione su un mattone posto in facciata e un affresco interno. È in questo periodo che la chiesa subisce un importante intervento di restauro: viene alzata, ampliata e decorata con numerosi dipinti murali, cicli trecenteschi oggi restaurati e valorizzati. Gli affreschi, dai vivaci colori, sono in contrasto con le spoglie mura esterne, ma in armonia con i naturali colori dell’ambiente circostante. L’edificio di culto sorge infatti sul colle oggi detto Mavino, e prende il nome dalla sua collocazione in summa vinea, ovvero “nella vigna più alta” della penisola.

Il 2020 è stato l’anno dedicato alla celebrazione dei 700 anni dall’importante restauro e al festeggiamento della conclusione del più recente, avviato nel marzo 2019. Un investimento di circa 150mila euro, finanziati in parte dal Comune di Sirmione, da Terme di Sirmione e Fondazione della Comunità Bresciana, e in parte dalle offerte di famiglie, imprese e turisti che sentono di essere a casa ogni volta che varcano le porte d’ingresso di San Pietro. Gli interventi, prima sugli affreschi delle tre absidi, poi sulle pareti della navata, sono stati portati avanti dalla Soprintendenza Archeologica, Belle Arti e Paesaggio di Brescia e Bergamo.

Gli affreschi
Al termine del più recente restauro, alle pareti affrescate della chiesa sono state regalate maggiore luminosità e risalto dei colori. Alcuni affreschi, che negli anni Cinquanta erano stati rimossi dagli absidi per mostrare i precedenti, sottostanti, sono oggi esposti visibilmente staccati dalle pareti. Tra i più interessanti, il ciclo di santi e vescovi sulla parete nord, la Madonna in trono tra il Battista, l’Evangelista e due angeli, sull’abside sinistro; la Crocifissione, san Michele, la Maddalena e sant’Iacopo di Compostela, sull’abside destro; e, al centro, il Giudizio Universale. In quest’ultimo, il Cristo Pantocratore, sovrano di tutte le cose, è racchiuso in una mandorla ed indossa abiti sfarzosi, decorati da gemme preziose. Accanto a lui, Giovanni Battista e la Madonna sono inginocchiati, mentre due angeli, che suonano le trombe del giudizio, gonfiano d’aria le gote. Una scena tradizionalmente non collocata nell’area absidale, ma in controfacciata, come monito per i fedeli che uscivano dal luogo di culto.

Oggi, varcando la soglia d’ingresso, si è attratti dalla figura di Cristo con le braccia aperte, in segno di accoglienza. Un senso di richiamo spirituale, attribuito alle porte sempre leggermente aperte, dalle quali si scorge l’abbraccio di Cristo verso credenti e non credenti, non praticanti o persone di diverse religioni che, per casualità o scelta, si ritrovano a passeggiare tra gli ulivi della collina, dove il solo rumore è lo scricchiolio delle scarpe sulla ghiaia.