La settimana scorsa sul sito di “arXiv”, un servizio di distribuzione gratuito e archivio ad accesso aperto, contenente più di due milioni di articoli accademici riguardanti fisica, matematica e statistica, è stata resa pubblica la notizia di un ritrovamento speciale, non tanto per ciò che è stato rinvenuto ma per gli strumenti innovativi utilizzati nella ricerca.
Infatti, il 5 aprile 2021, un gruppo di ricercatori australiani della Curtin University, grazie all’uso di droni e di un algoritmo, ha trovato un meteorite caduto in Australia occidentale, dopo averlo “inseguito” per quattro giorni in seguito al primo avvistamento in Australia orientale, grazie all’impiego del “DFN”.
Che cos’è il DNF?
Il Desert Fireball Network è una rete australiana di telecamere, utilizzate per seguire il movimento dei meteoroidi che entrano nell’atmosfera terrestre e per poterli poi rintracciare dopo la loro caduta sulla Terra.
Grazie al ritrovamento di un meteorite fin dal primo giorno di funzionamento, il progetto, nato nel 2007, è cresciuto velocemente e si è espanso fino a diventare un osservatorio digitale automatizzato di palle di fuoco.
Attualmente è formato da 50 telecamere, sparse per tutta l’Australia, che monitorano un’area di circa due milioni di kmq.

Come è avvenuto il ritrovamento?
Il meteorite è stato trovato, come citato in precedenza, grazie a due osservatori del DFN: il primo, locato a Mundrabilla, ha osservato il meteorite per 149 km, mentre il secondo, presso O’Malley, per 471 km.
La traiettoria della cometa è iniziata a 87 km di altitudine con una velocità di discesa di 25,4 km/s ed è stata osservata fino a 25 km dal suolo, dove ha rallentato ad una velocità di 8,4 km/s.
Dopo aver confrontato i dati dei due osservatori, il gruppo di ricercatori è riuscito a mappare un’area di circa 5 kmq, in cui poteva essere caduto il meteorite.
Sarebbe stato impossibile setacciare tutta quella zona palmo a palmo con dei volontari e così i ricercatori hanno deciso di perlustrare la superficie tramite l’utilizzo di droni e di un algoritmo, che separava l’area di ricerca in “piastrelle” quadrate di 125 x 125 pixels, con 70 pixel sovrapposti in ogni direzione, in modo che il meteorite avesse la possibilità di apparire completamente in almeno una piastrella.

Ogni foto dei vari quadratini, ottenuta con una fotocamera montata sui droni, è stata successivamente immessa in un classificatore di immagini binarie sfruttando software come Python e Keras, che davano un punteggio ad ogni piastrella, variabile da 0 (il meteorite non è presente) a 1 (il meteorite è presente).
Dopo l’analisi, i ricercatori sono riusciti ad individuare il meteorite ad appena 50 metri di distanza rispetto alla traiettoria di caduta più probabile, il che è un fatto considerevole poiché i resti del meteorite ammontavano a solo 70 g.
Grazie all’utilizzo dei droni e di questo algoritmo, è stato possibile compiere un passo avanti nel mondo della ricerca scientifica, dimostrando ancora una volta come la tecnologia, se utilizzata saggiamente, permetta di espandere i nostri orizzonti.
Se lo sviluppo tecnologico ha aiutato il team di ricercatori nel ritrovamento del meteorite, anche la fortuna ha svolto un ruolo cruciale, facendo cadere il meteorite nel deserto e non in una giungla fitta di alberi!