I tentativi di protesta al mondiale contro il regime iraniano si stanno spegnendo: è la conseguenza di una censura?

Non è un periodo storico facile per l’Iran. Il regime fondamentalista islamico opprime i cittadini e i loro diritti, in particolare quelli delle donne, costrette a rispettare le leggi che sono loro imposte dall’Islam, senza la possibilità di scegliere; chi trasgredisce o manifesta contro il regime viene severamente punito, anche in modo molto violento. Ci sono tutti gli elementi per parlare di una dittatura vera e propria. Fino a pochi mesi fa, la situazione era molto poco conosciuta nel nostro mondo, ma alcuni casi eclatanti hanno dato visibilità alla questione: Elnaz Rekabi, scalatrice iraniana, ha partecipato ad una gara senza indossare il velo, come la Shari’a imporrebbe alle donne, per poi scomparire misteriosamente per alcuni giorni, e infine riapparire in pubblico, dichiarando che il velo le fosse caduto per errore e non l’avesse tolto volutamente. Non si sa cosa possa essere successo all’atleta in quei giorni, ma è facile immaginare che ci sia stato qualcosa che l’abbia spinta a rinnegare pubblicamente il suo gesto. Ancora più eclatante la questione Mahsa Amini, una 22enne curda che il 13 giugno 2022 fu fermata ad un posto di blocco dalla polizia iraniana e percossa violentemente perché non indossava il velo. Morirà da lì a tre giorni, dopo essere stata in coma.

Il Mondiale di calcio, evento di enorme visibilità, sta diventando un’occasione per chi sostiene la causa del rispetto dei diritti umani in Iran di fare dei gesti di protesta, che grazie al web riescono a raggiungere miliardi di persone. Ne è esempio la decisione dei calciatori iraniani di non cantare l’inno nazionale prima del match d’esordio contro l’Inghilterra, non come mancanza di rispetto per la propria nazione, ma come protesta nei confronti del regime che la rappresenta. Le manifestazioni si estendono anche sugli spalti e fuori dagli stadi, con diversi tifosi, iraniani e non, che eseguono dei gesti simbolici a sostegno della causa: molte bandiere dell’Iran vengono strappate al centro, dove si trova il simbolo del regime, gruppi di tifosi intonano cori di protesta contro la dittatura.

Sarebbe bello che l’articolo finisse qui, ma purtroppo non è così: queste manifestazioni stanno subendo una vera e propria censura. In Iran, infatti, il regime non è rimasto indifferente: il calciatore Ghafouri, che non fa parte della rosa iraniana per questo mondiale ma è stato per anni il capitano della nazionale, è stato arrestato davanti agli occhi del figlio con l’accusa di “aver insultato e infangato la Nazione e di aver fatto propaganda contro lo Stato islamico”, in seguito al gesto di protesta della nazionale. Il calciatore si era apertamente schierato contro il regime. Si tratta di un segnale chiaro: le proteste non sono tollerate. Nella partita seguente, contro il Galles, i calciatori hanno cantato l’inno nazionale, anche se sul loro viso si leggeva una chiara riluttanza. Anche la security della manifestazione calcistica sta facendo il possibile per bloccare questi gesti: hanno fatto il giro del mondo le immagini di una ragazza iraniana in tribuna che mostra una maglietta dell’Iran con scritto il nome di Mahsa Amini e il numero 22, età della ragazza quando è stata uccisa, venendo inquadrata dalla regia internazionale; la ragazza è stata in seguito avvicinata dal personale di sicurezza che ha sequestrato la maglietta. Chi è presente racconta che anche le bandiere iraniane strappate in segno di protesta, vengono spesso sequestrate.
Dopo la prima partita, le proteste sono andate via via spegnendosi. In parte c’entra l’eliminazione dell’Iran, e quindi la quasi assenza di tifosi iraniani negli stadi, ma non è solo questo. Anche nelle due partite dell’Iran seguenti a quella di esordio infatti, si sono visti meno gesti di protesta, e il motivo è chiaro: manifestare diventa molto difficile e soprattutto rischioso, visto quello che ha dimostrato di essere capace di fare il regime iraniano, e visto che i calciatori hanno a casa delle famiglie, e protestare, purtroppo, significa mettere a rischio anche loro. Per i tifosi vale lo stesso.