Molti analisti rassicurano ed escludono che il fallimento di Silicon Valley Bank sia l’inizio di una nuova crisi sistemica, perché, dopo la crisi del 2008, i meccanismi precauzionali sono aumentati. A Basilea i vari accordi raggiunti svolgono una funzione di deterrenza perché richiedono alle banche maggiore capitalizzazione e liquidità.

In Europa durante il corso del tempo sono stati adottati sistemi di controllo sempre più rigidi. Il presidente dell’Associazione delle Banche Italiane (ABI) ha cercato di tranquillizzare l’opinione pubblica, affermando che non vede “il rischio di contagio anche perché in Europa le regole sono più rigide”, evidenziando che la Silicon Valley Bank, nonostante fosse sottoposta al regime di Basilea, rientrasse in una categoria di banche soggetta a requisiti patrimoniali, ma non a quelli di liquidità.
In Italia gli indici sulla liquidità sono piuttosto elevati e garantiscono in modo maggiore dai rischi di fuga degli investitori e sulla durata delle fonti di finanziamento. Inoltre, la Svb è la sedicesima banca statunitense e non la quarta banca d’affari come la Lehman e quindi la sua dimensione è inferiore.
Le differenze sono rassicuranti, ma ricordiamoci che potrebbe sorgere la stessa problematica che avvenne nel 2008, cioè una valanga di fallimenti a catena. Il caso di Silicon Valley Bank non è isolato: in questi giorni c’è stato anche il crollo della sua filiale britannica, comprata per una sterlina dal colosso HSBC, il fallimento della Signature Bank, ventunesima banca a stelle e strisce, della Silvergate Bank, legata al mondo delle criptovalute e il salvataggio in extremis della First Republic Bank, avvenuto grazie all’intervento dei principali istituti statunitensi.
Il crollo di Credit Suisse

Inoltre, a distanza di meno di una settimana, si è verificato anche il crollo borsistico del 28% di Credit Suisse. Durante il 2022 erano già emerse difficoltà nell’istituto elvetico con perdita di clientela e ristrutturazioni con migliaia di esuberi che avevano fatto totalizzare perdite complessive per più di sette miliardi di franchi.
Le ragioni sono diverse dal caso Svb, e stanno nel fatto che Credit Suisse ha avuto una serie di insuccessi legati a pratiche iper-speculative, a fenomeni di corruzione diffusa e a un flop di mercato.
Il punto in comune con Svb è la progressiva mancanza di liquidità dovuta alla fuga dei clienti negli ultimi mesi del 2022. Dopo il fallimento di Svb, l’istituto elvetico ha registrato una nuova fuga di capitali e in contemporanea è arrivato l’annuncio dei principali soci, i sauditi di Saudi National Bank, che non sarebbero intervenuti con nuove iniezioni di liquidità.
Fortunatamente il salvataggio di Credit Suisse, annunciato pochi giorni fa, avverrà da parte di Ubs, maggiore banca svizzera, e sarà uno dei più grandi interventi di soccorso del sistema bancario della storia europea.
Cosa è accaduto a Silicon Valley Bank
Il deciso aumento del costo del denaro ha implicato una svalutazione del valore dei titoli di stato acquisiti, non quelli che arrivano alla loro scadenza naturale, quanto quelli che un istituto, per necessità, deve vendere in anticipo. La vendita anticipata dei Treasures per far fronte alla liquidità richiesta dai propri clienti, che nel frattempo vivevano un momento di diffusa difficoltà, ha determinato perdite enormi nel portafoglio di Svb.

Una dinamica simile a ciò che è accaduto a Credit Suisse, più esposta sul mercato obbligazionario privato e travolta dalla fuga dei clienti in seguito a scelte speculative sbagliate e a condanne costose per pratiche illegali.
In entrambi i casi le perdite hanno generato ulteriore allarme, poi panico e innescato una corsa al ritiro online della liquidità da parte dei clienti. Da qui il fallimento di Svb e il crollo di Credit Suisse.