Patrick Zaki: un’altra vittima del regime egiziano

Sono 45 i giorni di pena detentiva che il giovane attivista egiziano, studente dell’Università di Bologna, dovrà affrontare in aggiunta ai dieci mesi già trascorsi. Il governo locale, come nel caso Regeni, non sembra collaborare.

Flashmob in sostegno dello studente egiziano Patrick George Zaky organizzato dagli amici dell'Universita' insieme ad Amnesty International per chiederne la liberazione al governo egiziano
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L’accusa degli inquirenti è sempre la stessa: incitamento all’insurrezione e propaganda antigovernativa tramite i social network (reato che potrebbe portare alla carcerazione a vita), e per questo la corte egiziana ha stabilito di lasciare Zaki in carcere per altri 45 giorni a partire dal lunedì 7 di questo mese. Patrick George Zaki, 29 anni e di origine egiziana, venne arrestato il 7 febbraio 2020 dalla polizia, mentre era in vacanza in Egitto, con l’accusa di diffondere notizie false sul suo governo e di incitare crimini terroristici e proteste antigovernative. Per molto tempo dall’inizio della sua incarcerazione si è saputo poco su di lui, i suoi genitori lo hanno visto solo una volta in via straordinaria mentre il suo avvocato annunciava che era stato torturato, pestato e minacciato; sembra persino che i poliziotti che lo hanno interrogato gli abbiano chiesto se avesse dei legami con la famiglia di Giulio Regeni. Subito dopo la sua incarcerazione si sono attivate proteste sui social e manifestazioni in piazza a Bologna (città in cui il giovane frequentava il master in studi di genere e delle donne finanziato dal programma Erasmus Mundus dell’Unione Europea) incoraggiate da parte di Amnesty International e dai colleghi di Zaki, ma a nulla è servito.

Il governo italiano, nonostante un’iniziale solidarietà nei confronti dell’attivista e una dichiarazione di impegno per la sua scarcerazione, oggi ha altro a cui pensare come la pandemia, i vaccini, i pescatori arrestati in Libia e l’approvazione del bilancio. Questo caso, quindi, sembra che non si risolverà facilmente e in breve tempo e dimostra che il regime egiziano non è né limpido né incorrotto.

In questi giorni Beppe Sala, primo cittadino della metropoli lombarda, dopo il voto favorevole di tutto il Consiglio comunale ha conferito a Patrick la cittadinanza onoraria di Milano. Un gesto significativo di solidarietà e vicinanza da parte della politica e dell’Italia allo studente egiziano che è in carcere da ormai molti mesi.

Immagine: Patrick libero ora

Quello egiziano è un regime dominato da una giustizia sempre meno trasparente con la quale l’Italia ha già avuto a che fare in passato con il caso di Giulio Regeni, giovane italiano scomparso il 25 gennaio 2016 in Egitto mentre svolgeva una attività di ricerca per conto dell’Università di Cambridge. Come sappiamo il suo corpo verrà ritrovato il 3 febbraio sul ciglio della strada con segni di tortura. Sembra evidente per i magistrati di Roma che dietro la sua morte ci sia stato il coinvolgimento dei servizi segreti egiziani, forse dovuto a uno scambio di persona, secondo quanto riferito da alcuni testimoni anonimi che nei giorni in cui il giovane venne prelevato con la forza lo videro nelle stanze e nei corridoi dei luoghi in cui venne rinchiuso e torturato. La Procura di Roma ha da poco emesso la richiesta per avviare un processo nei confronti di quattro ufficiali dei servizi segreti egiziani. Purtroppo, nonostante le tante promesse di collaborazione, sono state molte le manovre di depistaggio e ostruzionismo applicate dall’Egitto per impedire alla giustizia italiana di arrivare alla verità dei fatti e intanto i genitori di Giulio sono sconcertati dal silenzio della politica su questo avvenimento e dal mancato ritiro dell’ambasciatore italiano al Cairo.

Immagine: Attacchinaggio per chiedere la liberazione dello studente Patrick Zaki a Bologna nella zona universitaria.

I rapporti diplomatici tra Italia e Egitto si reggono più sull’interesse economico che su un’intesa comune sui diritti umani e sulle libertà delle minoranze; sarà quindi impossibile che un giorno si arrivi alla rottura dei rapporti diplomatici tra il nostro paese e quello di Al-Sisi visto che loro ci concedono la perforazione dei giacimenti di gas e petrolio in cambio di grandi quantità di armi prodotte da industrie italiane (si consideri che l’Italia è in nona posizione nella classifica dei paesi che vendono più armi al mondo e, se si aggiunge che le nostre armi vengono vendute prevalentemente a paesi politicamente instabili o con un governo autoritario, possiamo dedurre come l’Italia, nonostante ripudi la guerra, aderisca indirettamente ad essa).

immagine: Patrick e Giulio come testimonial contro le armi all’Egitto

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