Purtroppo non è più una notizia che fa scalpore ciò che ha da poco scoperto la Avast Threat Intelligence, piattaforma che si occupa di studiare la possibile presenza di virus in browser o pagine virtuali molto utilizzate. Questa volta le pagine in questione sono Google Chrome e Microsoft Edge, due motori di ricerca estremamente popolari in tutto il mondo, e in particolare alcune loro estensioni, acquistabili nei rispettivi store, che violerebbero la privacy dell’utente, non solo visualizzandone i dati personali, ma anche inoltrandoli ai vari siti di phishing, verbo con cui ci si riferisce alle truffe online che mirano ad acquisire i dati personali dell’utente (in particolare numero di carta di credito e password).

Insomma, ennesimo caso in cui la privacy viene messa a repentaglio utilizzando come cavallo di Troia la tecnologia. È sempre più chiaro infatti che, parallelamente allo sviluppo proprio della tecnologia, si palesa una drastica mancanza di rispetto nei confronti dei dati sensibili dell’individuo: nella maggior parte delle pagine online è ormai indispensabile immettere e-mail e password per visitarla, così che la pagina in questione potrà periodicamente inviare pubblicità direttamente all’indirizzo privato del consumatore.
Sicuramente è una trovata di marketing geniale e molto efficace, dato che, non essendo un cartellone pubblicitario a disposizione di tutti, bensì un messaggio prettamente indirizzato al cliente, quest’ultimo inconsciamente gli presta maggior attenzione. D’altro canto, però, può questo essere considerato una violazione della privacy? In questo caso forse no, dal momento che ci si spinge ad un semplice messaggio, ma da questo esempio si può comunque ricavare uno spunto di riflessione: si può notare benissimo come sia accaduto nel mondo virtuale, nato e presentato come un modo per essere in contatto con tutto il mondo dal proprio dispositivo senza alcuna controindicazione, che il concetto di privacy abbia cominciato a mutare e ad acquisire diverse valenze, diventando sempre più pubblico, cosa che è ormai fatta passare per normale. Tuttavia, “privacy pubblica” è un’enorme contraddizione, un ossimoro: la privacy per definizione rappresenta quell’insieme di dati e informazioni strettamente personali non condivisibili con nessuno, tanto meno con uno schermo.

Altro esempio si può fare con i famosi cookie, che ci appaiono come notifica non appena apriamo un nuovo sito. Ormai cliccare il tasto “accetta” è diventato tanto di uso comune che passa quasi inosservato, ma in realtà non è da sottovalutare. La questione in questo caso è molto semplice: il sito permette all’utente di visualizzare i testi e le immagini che offre a patto che quest’ultimo accetti l’utilizzo dei cookie, che servono per definire chi ha effettuato l’accesso, l’utilizzo e le attività che l’utente compie all’interno della pagina. Quindi il rapporto tra sito web e consumatore non è senza vincoli, anche se vuole passare come tale, ma in realtà non è altro che il risultato di un patto stretto dalle due parti: l’uno non si fida dell’altro (metafora perfetta della nostra società).
Discorso diverso si può fare per quanto riguarda le situazioni in cui la privacy non viene messa in discussione solo dal momento in cui si entra in un sito web, ma 24 ore su 24, si parla quindi di assistenti vocali (Siri, Cortana…). Se però questi esempi fino a poco tempo fa erano rinchiusi nel nostro smartphone o pc, con l’arrivo di Alexa (prodotto Amazon) li abbiamo accolti nelle nostre stesse case, rendendoli parte integrante di esse. Oltre all’indispensabile contributo che offrono accendendo e spegnendo la luce o dandoci il benvenuto ogni volta che entriamo in casa, si spingono forse oltre? Esistono per il momento teorie purtroppo non confermabili, ma quella della pubblicità personalizzata potrebbe essere una nuova realtà, oltre a testimoniare il fatto che l’uomo, pur di vendere, è disposto ad ogni cosa. La teoria che i vari assistenti vocali in realtà non si spengano mai e che siano sempre in ascolto, così da offrirci un conveniente pacchetto di pubblicità, pare sì un distopico sequel di “1984”, ma per certi versi non è così lontano dalla realtà. La realtà in cui viviamo non è infatti quella che ci aspettavamo decenni fa, quando la tecnologia cominciò a entrare a tutti gli effetti nelle nostre vite: l’uomo ha trovato un modo per ricreare le stesse truffe che avvengono nel mondo reale, nel mondo virtuale, dove l’agnello sacrificale si è rivelata essere la privacy dell’individuo, sempre più sottovalutata e scavalcata dalla cupidigia dell’essere umano.
