4 febbraio 2012, il lupo per la prima volta dopo 150 anni torna sull’Arco Alpino. Il suo nome è Slavc e la sua storia è una delle più famose: sotto la stretta osservazione dell’Università di Lubiana, che lo monitora grazie all’utilizzo di un radiocollare, l’esemplare si separa dal suo branco sloveno e dopo aver compiuto un viaggio di oltre 800 chilometri, il 27 marzo, arriva nel Parco Naturale della Lessinia. Qui l’incontro con Giulietta e la nascita del primo nucleo, che di lì a poco diventerà solo il punto di partenza per la diffusione del lupo in Veneto e in Trentino.
Siamo abituati a sentire parlare del lupo in termini di esemplari, ma in realtà, essendo difficile una stima precisa, occorre parlare di branchi. Nel veronese ne abbiamo due. Il primo, costituito da due alfa e cinque cuccioli nati quest’anno, staziona esclusivamente nella zona della provincia e possiamo affermare, grazie allo studio della morfologia del pelo, che uno dei due alfa sia figlio di Slavc e Giulietta. Il secondo, formato dai capostipiti, una femmina e sette cuccioli, gravita tra la Lessinia veronese e trentina. Le stime, quindi, parlano di 17 lupi che interessano Verona; ma come vedremo, il numero dei lupi non è direttamente proporzionale alle perdite con cui gli allevatori devono fare i conti.

Cosa comporta la presenza del lupo sul nostro territorio? Molti elogiano la sua funzione nella regolazione della fauna selvatica, come ad esempio il contenimento della popolazione dei cinghiali, senza sapere che il lupo è un animale che caccia a rischio zero e di conseguenza non attaccherà mai un cinghiale adulto, ma si limiterà a prendere di mira i piccoli; questo, unito al fatto che il numero dei lupi è decisamente minore rispetto a quello dei cinghiali, rende il suo operato inutile allo scopo. Altri, spinti da un vacuo amore per gli animali, celebrano il lupo come il trionfo della natura che si riprende i propri spazi, ignorando il fatto che questa razza di lupo non è a rischio estinzione (essendo presente sulle Alpi Dinariche) e non è autoctona.. Altri ancora, limitandosi a considerare il lupo in relazione all’uomo, si fermano nella constatazione che questo carnivoro non attacca le persone, ciechi di fronte ai danni che deve sobbarcarsi solo una parte della popolazione, quella montana.
Il tutto sfocia in un senso di fastidio e avversione nei confronti dei nostri allevatori, che, purtroppo, devono avere a che fare col lupo tutti i giorni; vengono dipinti come rozzi in balia dell’antica superstizione del lupo e i loro appelli cadono nel nulla, incompresi dall’opinione pubblica. Il problema, come succede spesso, è che la gente pensa senza avere una percezione diretta. Come fanno persone che sono sempre vissute in città a dirsi favorevoli alla presenza del lupo se non sanno minimamente quali siano le conseguenze?
Noi, per capire meglio, ne abbiamo parlato con Giuliano Menegazzi, allevatore di pecore ad Erbezzo e ideatore della candidatura della Lessinia nel Registro nazionale dei paesaggi di interesse storico rurale, approvata dal Ministero lo scorso settembre. La sua azienda ha subito ben quattro attacchi e convive con il lupo ormai da diversi anni.
La Regione stanzia ogni anno una cifra che si aggira tra i 150.000 e i 200.000 euro per risarcire i capi uccisi e per favorire l’adozione di misure di prevenzione, come i recinti anti lupo; ma le persone probabilmente non sanno che ci sono una serie di costi che non sono coperti e che superano di gran lunga quelli delle predazioni: «Nello sbranamento di due anni fa ho avuto 800 euro di danni, che mi sono stati risarciti. – afferma Menegazzi – Per mettere dentro e fuori le pecore dal recinto anti lupo, però, ho un aumento di costi, per quanto riguarda il lavoro e il mangime, compreso tra i 3200 e 3500 euro annui, per i quali non ricevo nulla». E questa è solo una piccola parte, perché l’allevatore di Erbezzo fa un altro esempio: «Abbiamo intervistato una serie di malgari, chiedendo loro quali misure di prevenzione avessero messo in atto; all’incirca il 40% ha dichiarato che gli animali più giovani, le manzette, non vengono più portate al pascolo. Crescere le manzette in stalla è un danno stimato sul milione di euro, che grava sulle aziende della Lessinia; ma è solo una delle perdite economiche che dobbiamo subire». Importante sottolineare il fatto che queste spese di convivenza rimangono costanti indipendentemente dal numero di lupi che sono presenti; che in Lessinia vi siano 5 o 50 lupi, agli allevatori cambia poco; per questo una semplice riduzione del loro numero non porterebbe nessun tipo di vantaggio.

Giuliano Menegazzi non parla di un sentimento di timore: «Non è la paura di subire un attacco, ma la rassegnazione di dover, ogni giorno, mettere in piedi delle misure che fanno fatica a conciliarsi con la consuetudine della vita quotidiana e della gestione aziendale; vuol dire vivere nell’apprensione, dover mettere altre cose in secondo piano, essere sempre sul chi va là». L’allevatore prosegue poi con un esempio pratico: «Una sera non trovavo alcune pecore e non potevo permettermi di andare a recuperarle la mattina dopo, come una volta avrei fatto; ho dovuto farmi aiutare da alcuni amici e andare per il bosco fino a quando non le abbiamo trovate tutte».
La soluzione apparentemente più facile potrebbe sembrare quella di aumentare i fondi e coprire completamente quelle che sono le spese di convivenza. Ma non è così semplice; innanzitutto perché non sono cifre indifferenti, sarebbero difficili da quantificare in modo preciso e poi, prendendo l’esempio del cinghiale, per il quale i milioni di euro di danni sono risarciti sempre in percentuale molto basse, inferiori al 15%, non ci sarebbe neanche la sicurezza che questi fondi arrivino concretamente a destinazione.
Si tratta principalmente di un problema culturale, che si manifesta attraverso la tutela legislativa del lupo, riconosciuta a livello europeo. La maggior parte della popolazione fatica a comprendere le esigenze di un territorio, che a poco a poco sta perdendo i suoi custodi e di conseguenza il suo patrimonio.

Continua Menegazzi: «La Regione deve fare da ponte di dialogo tra i territori e le stanze del potere, con Roma, che può concedere delle deroghe e con Bruxelles, dove si possono modificare le leggi di tutela del lupo; ma soprattutto deve investire in cultura, deve far comprendere la nostra realtà. Il problema, adesso, è sentito da una fetta estremamente piccola di persone e coloro che non lo vivono in prima persona, per un motivo ideologico, sono pronti a schierarsi dalla parte del problema stesso».
L’unica soluzione possibile, secondo gli allevatori, è l’eradicazione del lupo dal territorio; una parola che, per i motivi che abbiamo esposto, non può nemmeno essere pronunciata. Stiamo parlando di un problema estremamente complesso; è facile stare dalla parte del lupo quando le perdite non ricadono sui nostri portafogli, quando non sono le nostre abitudini di vita a dover essere radicalmente cambiate e quando non è il nostro territorio, anche se nostro dovremmo sentirlo, che sta perdendo se stesso. Se non vogliamo considerare l’abbattimento come un’ipotesi possibile, in conclusione, non possiamo neppure restare indifferenti di fronte alle difficoltà dei nostri concittadini e dovremmo pensare, quantomeno, a una strada alternativa per aiutarli; perché, al momento, la convivenza pacifica, che viene tanto sbandierata e celebrata, è tutt’altro che specchio della realtà.
Ciao, buon anno!
Non capisco perché l’articolo dice che il lupo non é autoctono. É stato sterminato dall’uomo a metà del 19 secolo in Lessinia come altrove.
Il problema é sempre lo stesso: l’uomo invade l’habitat di altri animali.
La cosa triste é che lo fa principalmente per questioni di Business, non di sopravvivenza.
Parlando di specie simili…
Ogni anno in Italia ci sono 70.000 aggressioni di cani a danni dell’uomo, alcune mortali soprattutto per i bambini.
Zero aggressioni ai danni dell’uomo da parte dei lupi.
Però il problema sono i pochi lupi rimasti perché aumentano i costi di un gruppetto di pastori e soprattutto fanno più notizia.
Direi che più di “un problema culturale” é un problema di ragionamento e mentale
Non voglio delegittimare l’autore dell’articolo, ma dubito abbia molta esperienza sul tema visto che ha solo 17 anni. Ha anche poca esperienza di giornalismo visto che riporta semplicemente quello che dicono gli allevatori senza alcun senso critico.
Salve e Buon Anno anche a lei.
Per prima cosa, il lupo non è autoctono perché la razza che abbiamo in Lessinia non è la stessa che scomparve a metà del 1800, ma è il risultato di una migrazione.
Secondo, le voglio far presente che non ho semplicemente riportato delle dichiarazioni, ma basandomi su dati oggettivi, che riportano perdite effettive degli allevatori, ho riportato il sentimento che domina nel territorio montano, facendone un’analisi più imparziale possibile. Il fatto che lei non sia d’accordo con gli allevatori, non le dà il diritto di sminuire le loro difficoltà e neanche di impedire loro di parlare. Quello che lei chiama “gruppetto di pastori”,in realtà, sono 170 aziende che pascolano in Lessinia. L’aspetto economico (il “Business”, come lei lo definisce) e la sopravvivenza sono due aspetti che devono essere considerati insieme; perché, per gli allevatori e per il territorio degli alti pascoli della Lessinia, il secondo dipende dal primo.
Terzo, stiamo parlando di lupi e non di cani.
La prossima volta, prima di scrivere, provi a pensare e ad usare un po’ di senso critico…
La ringrazio per l’interessamento.