Insalate, salse etniche e panini, al forno o in pastella: al giorno d’oggi l’avocado sembra essere l’ingrediente indispensabile per rendere un piatto sano e accattivante, degno di un post sui social. Questo superfood, così definiti gli alimenti vegetali ad alto contenuto di nutrienti benefici alla salute, ha subito negli ultimi anni una crescente richiesta sul mercato occidentale. Ciò ne ha stravolto i processi produttivi, dalla coltivazione alla sua distribuzione.
L’avocado è la nuova moda culinaria del decennio. Ma a quale prezzo in termini ambientali?

Per molti anni questo frutto esotico è stato sconosciuto all’intera Europa e America settentrionale. Oggi, proprio questi due continenti ne sono i maggiori importatori.
Il primo italiano ad assaporarlo è Cristoforo Colombo che, approdato sulle coste centro-sudamericane, lo definisce “dalla polpa simile al burro e caratterizzato da un ottimo sapore”. L’aguacate, nome originale, autoctono di questi luoghi, è stato da sempre parte della tradizione culinaria di Paesi come Messico, Colombia e Perù, oggi maggiori produttori a livello mondiale.

Nel Novecento
Nei primi del ‘900 l’aguacate inizia ad essere commercializzato tra le più alte classi sociali come una prelibatezza per benestanti, definito dal giornale americano The Newyorker come “l’aristocratico dei frutti da insalata”. Ma la California Avocado Association, formata in quegli anni dai maggiori produttori agricoli, decide di cambiarne il nome in avocado, più appetibile al mercato di massa. In seguito alle immigrazioni degli anni ’60, la larga presenza di comunità ispaniche negli Stati Uniti, che faceva grande uso di questo ingrediente, lo rende ancora più diffuso, apprezzato e richiesto. Ma ad una domanda sempre maggiore, doveva corrispondere una maggiore produzione.
Impatto ambientale
I prezzi dell’avocado sono aumentati del 129% negli ultimi anni, quasi raddoppiando solo dal 2018 al 2019. La continua richiesta ha stravolto i naturali ritmi di coltivazione, portando i coltivatori a tenersi continuamente al passo con la domanda.

La piantagione di avocado comporta una grande richiesta di attenzioni e utilizzo di risorse, che non lo rendono affatto sostenibile. Per produrne 45mila chilogrammi per 10mila metri quadrati occorrono circa 3,7 milioni di litri d’ acqua, quindi 378 litri per 0,45 chilogrammi. Ondate di caldo o periodi di carestia, come quelli che stiamo sperimentando oggi a causa del riscaldamento globale, possono quindi avere effetti devastanti sull’industria che li produce. E viceversa, in molti Paesi, come il Cile, le grandi coltivazioni di piante di avocado, aumentate negli ultimi decenni, sono ritenute colpevoli della crescente siccità, soprattutto lungo i corsi dei fiumi dove queste sorgono, e dai quali attingono gran parte dell’acqua per la coltivazione. E sicuramente il riscaldamento globale metterà a dura prova la già scarsa sostenibilità delle piantagioni.
Anche dopo i processi agricoli, questo frutto richiede costosi metodi di distribuzione per essere consegnato fresco e maturo in ogni angolo del mondo. Raccolti ancora un po’ acerbi dalle grandi piantagioni, sono trasportati in ripening centers, dove vengono riscaldati per ultimarne i processi di maturazione. Per arrivare sulle nostre tavole inoltre, spesso questo frutto deve compiere un grande viaggio aereo intercontinentale, da California, Messico, Perù, Colombia o Brasile.

È solo dalla fine del XX secolo che l’avocado è passato dall’essere considerato un frutto costoso e pericoloso per la salute, a causa della sua elevata densità calorica, al superfood che è oggi considerato sinonimo di una dieta sana ed esteticamente appetibile. Sebbene abbia proprietà notevoli, poiché ricco di fibre, grassi buoni (insaturi) e Omega-3, che aiutano a combattere il colesterolo cattivo (LDL), gli studiosi affermano che la sua assunzione non è indispensabile per considerare la nostra dieta corretta e bilanciata. Anzi, le stesse proprietà sono facilmente reperibili in frutta secca, olive o verdure verdi in foglia.

Il suo colore smagliante, il gusto e gli usi in piatti etnici ci attirano e fanno parte delle novità che lo scambio sempre maggiore di culture ci fornisce. È ragionevole approfittare dei frutti di interculturalità, ma bisogna chiedersi sempre quanto il suo consumo sistematico possa incidere sull’ambiente e non aggrapparsi a falsi miti. Ne vale davvero la pena? Intanto possiamo continuare a gustare noci e olio d’oliva, prodotti dalle simili proprietà, italiani e spesso più sostenibili. E se proprio non si può resistere al suo sapore, dal 2013 in Sicilia sono coltivati i primi Sicilia Avocado: un’alternativa più semplice, vicina e sostenibile. O questo non è compatibile con i nostri post su Instagram?