La Turchia è cambiata. Questi cambiamenti sono stati in parte naturali, perché seguono l’onda della società (la quale è in grande crescita demografica), e in parte forzati dal presidente turco Recep Tyep Erdogan (capo autorevole e autoritario) attraverso le sue ambizioni militari e imperiali.

La Turchia al tempo di Erdogan
La repubblica laica turca, fondata nel 1923, dopo la caduta dell’impero, e lasciata in eredità da Ataturk Kemal, ha visto negli ultimi anni e mesi una grande destrutturazione. Sotto la guida del presidente Erdogan il paese anatolico si è allontanato dallo Stato di Diritto, dalla democrazia e dalle libertà fondamentali (oltre che dalla pace).

Le ambizioni del loro leader sono quelle di ridare voce alla religione di stato (ovviamente musulmana), come dimostrato dalla storica decisione che ha reso Santa Sofia, ex basilica e museo, la più grande moschea di Istanbul dando sfogo al nazionalismo islamico; molto più esplicite sono invece le ambizioni imperiali nell’area del Mar Nero e del Mediterraneo orientale (e centrale) dove in passato, ma anche oggi, ha dei contenziosi in Siria, nel Caucaso e in Libia, senza poi dimenticare gli attriti con Cipro, di cui ha invaso metà isola, e con la Grecia per le isole del Dodecaneso.
Ad oggi i quattro paesi impegnati a contenere questa espansione turca nel Mare Nostrum sono Egitto, Israele, Cipro e Grecia; a questi si aggiungono anche la Francia, che ha interessi economici nell’area legati al petrolio e agli ex protettorati (Siria e Libano), l’Italia, che ha contese con Ankara in Libia (o sarebbe meglio dire le “due Libie” visto che Turchia e Russia si sono letteralmente spartite il paese nordafricano), e gli Stati Uniti (alleati storici della guerra fredda), i quali hanno con la Turchia una relazione di odio e amore (rivali e allo stesso tempo alleati).
Ue e Turchia (passando per la NATO)
Con l’Unione Europea gli attriti non mancano, eppure, solo qualche decennio fa, si ipotizzava l’entrata della Turchia nell’Unione. La Turchia ha ottenuto lo status di paese candidato nel 1999 e ha iniziato i negoziati per entrare nell’Ue nel 2005; tuttavia, il processo di adesione all’Ue è lungo e complesso. Per poter diventare membri dell’Unione i paesi candidati devono soddisfare vari requisiti tra cui quelli giuridici, politici ed economici. Quando tutti i capitoli in cui si dividono i negoziati sono stati chiusi, gli stati membri dell’Ue decidono all’unanimità se approvare oppure no (attraverso il veto di uno stato membro) l’ingresso del nuovo stato; per questo motivo, il momento in cui il paese candidato entrerà nell’Ue non può essere definito in anticipo.
Dal 2016 i negoziati tra Ue e Turchia sono fermi vista la preoccupazione di Bruxelles (condivisa anche da molte ONG internazionali) per lo stato di diritto e la stabilità democratica della nazione turca; nel 2018 il Consiglio Europeo ha infatti dichiarato che “la Turchia si sta allontanando dall’Unione Europea”, aggiungendo anche che “le negoziazioni per l’ingresso della Turchia sono dunque di fatto ad un punto morto”. Oggi, solo uno su 33 dei capitoli negoziali è stato completato. Così, la Turchia rimane il paese coinvolto da più tempo nel negoziato per l’adesione all’Ue senza una prospettiva chiara su come il processo si concluderà.
Questo “muro” dell’Europa all’entrata del paese nell’Ue è stato inteso dalla Turchia come un gesto di esclusione e ha decisamente contribuito all’aumentare dell’uso della forza da parte del paese, che non smette mai di far ricordare agli europei la sua importanza riguardo al contenimento dell’immigrazione siriana verso la Germania. Ogni anno l’Ue, sotto minaccia del “sultano” Erdogan, è costretta quindi a versare circa tre miliardi di euro nelle casse dello stato turco perché questo si impegni, in barba anche ai diritti e alla dignità dei migranti, a bloccare l’arrivo in Europa di quest‘ultimi.

La situazione si fa ancora più complessa nei rapporti con la NATO. La Turchia ha infatti il secondo esercito di terra più grande dell’Alleanza Atlantica e rappresenta, agli occhi degli USA, un baluardo contro l’espansione egemonica della Russia (soprattutto dopo l’annessione della Crimea, oggi ritornata sulla scena internazionale, con il suo strategico porto militare di Sebastopoli), la quale adesso punta ad avere una potenza navale nel Mar Nero pronta ad incidere anche sulla geopolitica delicata del Mar Mediterraneo (dove le potenze regionali dell’Ue come Spagna, Italia e Francia sono relativamente fragili; la solita storia del sud come “ventre molle dell’Europa“).
Tuttavia Ankara rappresenta anche un concorrente militare ed economico (oltre a essere di grande irritazione per gli alleati confinanti) difficile da gestire e non totalmente sotto il controllo degli Stati Uniti, irritati dalla ambigua politica filocinese e filorussa degli anni passati con l’adesione alla BRI (Belt and Road Initiative) e l’acquisto di mezzi militari russi invece che americani.
Italia e Turchia

Tra Italia e Turchia si può dire che attualmente non scorra buon sangue. Mario Draghi, per alcuni motivi come il ritiro di Ankara dalla convenzione di Istanbul sulle donne, lo sgarbo alla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen la quale si è trovata senza sedia (si è poi scoperto che l’errore nel cerimoniale è stato tutto Europeo e non turco) e la presenza turca in Libia, che sta sconvolgendo il ruolo guida del nostro paese nell’ex colonia italiana, ha definito Erdogan un “dittatore con il quale però bisogna collaborare”. Frase probabilmente non calcolata e spontanea delle idee che il Premier italiano si è fatto del suo omologo turco.
La risposta si è fatta attendere, in modo quasi calcolato (dopo che la Turchia, per immediata rappresaglia, aveva già sospeso l’acquisto degli elicotteri militari da addestramento dall’azienda italiana Leonardo), e ha visto un Erdogan dare dell’impertinente e del maleducato al nostro Presidente del Consiglio. Una mini guerra fredda tra i due paesi del Mediterraneo paragonabile a quella tra USA e Russia dove Joe Biden (a marzo) aveva definito Putin un Killer e la controrisposta da parte russa è stata “chi lo dice sa di esserlo”.