Fino al 7 maggio 2023 la Basilica Palladiana di Vicenza ospita una interessante mostra su scribi, artigiani e operai al servizio del faraone, curata dal Museo Egizio di Torino, e sotto il coordinamento del suo direttore Christian Greco, esperto egittologo italiano.

«Le collezioni di reperti e papiri del Museo Egizio – osserva il direttore Christian Greco – sono patrimonio comune, per questo siamo sempre particolarmente lieti che possano essere visibili a Vicenza. Curare e allestire la mostra “I creatori dell’Egitto eterno” ha comportato al nostro interno un’opera corale di studio. Si è trattato di un lavoro di ricerca sul villaggio di Deir el-Medina che ha coinvolto lo studio degli archivi, la contestualizzazione archeologica, la materialità degli oggetti. Il tutto per permettere al visitatore di intraprendere un viaggio nella Tebe del Nuovo Regno, di conoscere coloro che lavorarono nelle necropoli reali e comprendere quali fossero gli elementi iconografici e testuali che rendevano la tomba una “casa per l’eternità”, una dimensione nuova dove il sovrano poteva intraprendere il suo viaggio e iniziare la sua rinascita».
Statue colossali, tombe e sarcofagi decorati, bassorilievi e stele dipinti, rotoli di papiro e reperti millenari, circa duecento reperti provenienti dal Museo Egizio attraverso cui si intende raccontare la comunità̀ di Deir el-Medina, l’antico villaggio che ospitava gli artefici delle monumentali tombe dei faraoni nella Valle dei Re e delle Regine.
Come è organizzato il viaggio all’interno del museo?
Lo spazio sotto la volta della Basilica si divide in due ampie sezioni: una prima parte che illustra la vita terrena e la creazione di questi capolavori millenari, e una seconda dedicata alla vita dopo la morte.
La prima tappa

La prima tappa del viaggio è Tebe, la città monumentale che si espandeva sulla riva est del Nilo, sede dei grandi templi, capitale del Nuovo Regno per quasi tre secoli. Qui si incontrano i grandi gruppi scultorei dei regnanti e le statue monumentali delle divinità̀ con attributi del mondo animale.
Mentre la sponda orientale accoglieva la città dei vivi, quella opposta, dove tramonta il sole, ospitava la vasta città dei morti: tutte le tombe, i luoghi di culto dedicati ai defunti e, soprattutto, i grandi templi funerari dei faraoni.
La seconda tappa
Il percorso della mostra poi si sposta sulla sponda occidentale, per raggiungere il villaggio nascosto di Deir el-Medina, protetto dalla dea-serpente Meretseger e posto ai piedi della grande montagna piramidale, nel cui ventre furono scavate le tombe della Valle dei Re. La mostra racconta nel dettaglio il processo costruttivo della tomba del faraone, la cui realizzazione, lunga e impegnativa, combinava competenze e ambiti diversi: aspetti simbolici e questioni tecniche, culto religioso e organizzazione del lavoro. Oltre agli strumenti e agli attrezzi, si possono ammirare i papiri che trasmettevano la sapienza di questi uomini, con piante e descrizioni di edifici e studi di disegno.

Questo focus è seguito da un approfondimento sulla vita quotidiana di operai, artigiani e scribi che abitavano quei luoghi, dedicandosi alla creazione e preparazione delle sontuose sepolture dei regnanti. Le scene dipinte sulle pareti delle tombe e i reperti rinvenuti rappresentano i tasselli di un mosaico complesso, che ci fanno intuire il modo di vivere di questi uomini, fatto di sapienza artigiana e tecnica tramandata, ma anche di colori, preghiere e canzoni, come testimoniano le steli ed i frammenti di vasi o schegge di pietra decorati, oltre ad alcuni rarissimi strumenti musicali, sia del Museo Egizio che del Louvre. Altri oggetti, come l’elemento decorativo di una portantina in legno scolpito e dipinto, testimoniano l’agiatezza e il lusso in cui vivevano alcuni membri della comunità̀ di Deir el-Medina.
Inizia poi la terza tappa della mostra dedicata al viaggio dei defunti nell’aldilà.
Il sarcofago antropoide di Khonsuirdis accoglie i visitatori e poi un percorso li conduce narrando la preparazione del corpo e dell’anima alla vita eterna, dalla realizzazione degli splendidi sarcofagi dipinti, alla composizione del corredo funerario.

Una selezione di oggetti dal ricco corredo funebre della regina Nefertari si accompagna ad affascinanti manufatti in faience turchese, come la coppa del Louvre o gli ushabti del faraone Seti I, i piccoli servitori che avrebbero dovuto alleviare le sue fatiche nell’aldilà̀. Il percorso materiale nel regno dei morti culmina con la narrazione della storia della sepoltura dello scriba Butehamon e dell’ultimo viaggio del defunto. I visitatori attraversano un’installazione di videomapping realizzata sulla riproduzione in stampa 3D del suo grande sarcofago, che svela i segreti che conteneva e dà vita al racconto di questo incredibile reperto.
A cosa conduce il pubblico la mostra?
La mostra, quindi, conduce il pubblico alla scoperta dell’antico Egitto e del suo immaginario tramite le espressioni materiali di un mondo complesso e articolato: dagli strumenti d’uso quotidiano, allo sfarzo e alla sacralità dei faraoni. Nel corso dei secoli le loro tombe hanno conservato gli oggetti, la memoria e lo splendore di questa antica civiltà̀ millenaria.

La posizione esatta delle sepolture reali era segreta, nota solo ai sacerdoti, al fine di custodire e proteggere le spoglie e le grandi ricchezze dei sovrani durante il loro viaggio nell’aldilà̀. Per questo motivo, gli operai e le loro famiglie vivevano isolati dal resto della società̀ in un piccolo villaggio, oggi noto come Deir el-Medina, annidato tra le colline rocciose a poca distanza dalla necropoli reale, sulla sponda opposta del Nilo rispetto a Tebe. Grazie all’ingegno e all’opera degli abitanti di Deir el-Medina si è plasmata l’idea stessa che abbiamo dell’antico Egitto.
Il percorso si snoda all’interno della Basilica Palladiana tra un’ampia selezione di circa duecento reperti provenienti dal Museo Egizio e un gruppo di circa venti opere in prestito dal Louvre di Parigi, dagli oggetti più̀ piccoli o preziosi, fino ai sarcofagi e alle statue monumentali. Una serie di installazioni multimediali accompagna l’esperienza dei visitatori. Inoltre, gli oggetti fisicamente presenti sono virtualmente ricongiunti alla propria storia e al contesto originario, ormai perduto.