C’era un tempo in cui il giornalismo trovava il suo completamento quasi esclusivamente nei giornali cartacei. Oggigiorno, specie dopo l’arrivo di internet, dei social e in generale delle tecnologie digitali, si sono fatte largo altre modalità e altre tipologie di giornalismo. Quello online, ad esempio, o addirittura quello “mobile”. Per scoprire questo passaggio abbiamo intervistato Matteo Scolari, direttore della rivista e del sito Pantheon, e di altri marchi, tra cui Radio Adige e Daily.
Com’è nata la sua passione per il giornalismo?
È nata appena dopo aver concluso il liceo scientifico Messedaglia. Confesso che non ero molto bravo in matematica, mentre nei temi di attualità me la cavavo, e per questo sceglievo molto spesso quelli; la curiosità era alla base delle mie attitudini ed era una mia caratteristica preponderante. Perciò scelsi di fare un percorso di laurea triennale in scienze della comunicazione e poi una specialistica di due anni in giornalismo.
Come le è venuta l’idea di creare un giornale tutto suo, sia online che cartaceo?

Dopo aver finito il mio corso di laurea specialistico, mi sono rivolto ad un editore, che mi propose di aprire un’edizione del suo giornale dedicata al mio territorio di provenienza, Valpantena e Lessinia; tuttavia io gli risposi che desideravo aprire un giornale tutto mio, perché volevo scrivere del mio territorio, allora lui, scherzando mi disse: “Crea un tuo giornale”. Così è nato tutto: poco dopo mi rivolsi ad un’associazione di imprenditori del territorio, che mi è stata molto d’aiuto per partire, tramite la creazione di un business plan, per creare una vera e propria società; poi da qui ho proseguito da solo, con la collaborazione di una mia amica grafica, Nicoletta, che appoggiò subito il mio progetto. Le prime edizioni le ho scritte tutte io, con la mia amica che le impaginava, poi nel corso degli anni si sono aggiunti nuovi collaboratori, che hanno contribuito alla crescita del progetto.
Secondo lei al giorno d’oggi tira di più il giornalismo online, il mobile journalism, o il tradizionale cartaceo?
Sicuramente il giornalismo online ha sconvolto gli schemi tradizionali del cartaceo, non l’hanno “seppellito”, certo è che oggi prevale molto il mobile journalism per via della sua maggior velocità, rapidità, immediatezza. Online vince anche la trasparenza, perché chiunque ha la possibilità verificare le fonti; tuttavia il giornalismo cartaceo rimane utile dal punto di vista dell’approfondimento della notizia. Noi eravamo partiti dodici anni fa con un giornale di carta, Pantheon appunto, poi le nuove tecnologie, internet, i social, ci hanno imposto un’evoluzione fino ad arrivare al cosiddetto mobile journalism.
Di cosa si tratta?
Potremmo definirla una nuova filosofia, un approccio che ci permette di essere rapidi, veloci, “smart”, indipendenti e autonomi nella creazione di contenuti digitali, e non, utilizzando semplicemente il cellulare per lavorare: per scattare foto, girare video sequenze e montarle per un servizio, caricare articoli sul sito…uno studio di produzione in tasca.
Tornando a Pantheon, cosa interessa di più ai lettori del suo giornale?
Di sicuro le notizie del territorio. Pantheon è un periodico territoriale e le persone sono molto più interessate a capire e a conoscere le storie e i progetti, le iniziative riguardanti il territorio stesso.

Di cosa le piace parlare negli articoli che scrive e perché?
Sicuramente mi piace parlare di storie, persone, progetti e iniziative che danno un senso a ciò che stiamo facendo (ad esempio mi piace vedere giovani che si impegnano, persone che trovano delle soluzioni a dei problemi); mi piace parlare di un’Italia, di una Verona che non molla, e che, anche in questo periodo di coronavirus, cerca in tutti i modi non abbassare la guardia e di andare avanti.
Preferisce di più fare servizi, o una più tradizionale intervista faccia a faccia? Come mai?
Di sicuro l’intervista faccia a faccia, perché mi piace entrare in empatia con la persona che ho davanti a me, riuscire un po’ anche a scavare dentro di lei e mi sembra che di persona ci sia la possibilità di stabilire quel contatto anche umano, che permette di far trasparire poi, attraverso un articolo, scritto o anche video le emozioni che sta provando l’intervistato, ma anche l’intervistatore in quel momento. Il giornalista di solito non lascia trasparire, però prova comunque delle emozioni nel momento in cui intervista una persona.
Cosa pensa dell’esperienza che lei, in collaborazione con i docenti di italiano, fa vivere ogni anno agli studenti del Liceo Classico alle Stimate? A cosa pensa che possa servire?
Io penso che sia un’esperienza straordinaria, iniziata quasi per caso tre anni fa, perché permette a dei ragazzi di quinta ginnasio, quindi molto molto giovani, di approcciarsi a strumenti, tecnologie e metodi giornalistici in un’età precoce, che permette loro appunto di avere dei vantaggi competitivi qualora al termine del liceo si affacciassero proprio a materie di comunicazione, legate al giornalismo, o altro; quindi penso che questo progetto possa servire a chi deciderà di proseguire questa strada (altri evidentemente non lo faranno) per avere un vantaggio competitivo notevole, perché, come ho detto più di una volta, ci sono studenti di scienze della comunicazione o di giornalismo, addirittura di altre specialistiche che non hanno mai preso in mano WordPress, che non hanno mai montato un video con il cellulare, quindi farlo alla vostra età (quindici anni) è sicuramente un plus, un vantaggio enorme che avete.
Secondo lei qualcuno è invogliato a fare il giornalista da grande grazie alla sua “testimonianza”?
Mi auguro di sì, non posso dare una risposta precisa, la mia speranza è che ci possa essere qualcuno che, grazie a questa “testimonianza”, chiamiamola così, possa seguire le mie orme, quelle dei miei collaboratori, e possa fare una carriera anche nel giornalismo.

Se dovesse dare un consiglio ai giovani di oggi, che potrebbero diventare giornalisti nel futuro, cosa direbbe loro?
Sicuramente direi di avere una curiosità di fondo, un’etica, seguire quindi delle regole deontologiche ben precise, e comunque già dichiarate dal codice di deontologia dei giornalisti.
Poi bisogna essere trasversali, saper usare bene le tecnologie digitali, saper scrivere bene in italiano, utilizzare e saper utilizzare una macchina fotografica, un cellulare per le riprese video, per i montaggi, quindi il giornalista dev’essere “multitasking” e deve soprattutto raccontare quello che le persone comuni non avrebbero la possibilità di conoscere, quindi il giornalista deve entrare in quelle realtà e deve raccontarle in maniera quasi esclusiva, in modo tale da differenziarsi dalla massa di persone che stanno pubblicando contenuti su internet, senza però utilizzare un metodo giornalistico. Quindi, per concludere, tanta umiltà, sacrificio, e, ovviamente predisposizione a mettersi al servizio, anche per uno scopo sociale, delle persone e degli utenti.