Due circuiti cerebrali, uno caratterizzato da una funzione principalmente eccitatoria e un altro con funzioni inibitorie, sono responsabili del lungo processo che rende un ricordo evanescente in un’impronta indelebile nel tempo. Il primo era già di nostra conoscenza, il secondo, invece, è una nuova scoperta di un gruppo di neuroscienziati della McGill University (Canada), come ci viene spiegato in uno studio su Nature .
I neuroni eccitatori hanno il compito di dare vita al ricordo, quelli inibitori sono coinvolti nell’arresto del rumore di fondo nel cervello e consentono al ricordo di consolidarsi. Queste due funzioni sono perciò fondamentali. I ricercatori credono che manipolando l’uno o l’altro circuito sia possibile intervenire sulla memoria episodica a lungo termine.
Due strade che portano allo stesso risultato. L’assestamento della memoria nel cervello richiede la sintesi di nuove proteine da parte delle cellule cerebrali. Però quali sono i gruppi di neuroni specializzati in questa “elaborazione”? Per capirlo, i ricercatori hanno utilizzato topi transgenici in cui specifiche classi di neuroni avevano subito delle modifiche in un percorso molecolare importante per la formazione di ricordi duraturi: questa via, chiamata eIF2a, è conosciuta per regolare la sintesi di proteine nei neuroni ed è coinvolta sia nel neurosviluppo sia in alcune malattie neurodegenerative.
Quando gli scienziati hanno sollecitato questa modalità di sintesi proteica nei neuroni eccitatori dell’ippocampo (una struttura cerebrale importante per la codifica e consolidamento di memoria ) hanno avuto come risultato un potenziamento nella creazione dei ricordi e hanno assistito all’alterazione delle sinapsi (le connessioni funzionali tra due cellule nervose o l’organo di reazione). Ma la stessa reazione è stata ottenuta pure quando è stata stimolata la sintesi proteica in una classe di neuroni che possono avere comportamenti inibitori, i neuroni della somatostatina. In questo caso, il rafforzamento del ricordo avveniva grazie alla regolazione della plasticità neuronale, la capacità del cervello di regolare l’intensità delle connessioni tra neuroni, di eliminare alcune poco utili e crearne di nuove.
Dalla ricerca alla cura. La scoperta di questo nuovo e particolare gruppo di neuroni coinvolto è in qualche modo inaspettata ma anche assai vantaggioso e utile: potrebbe infatti trattarsi di un nuova possibile serie di terapie mirate sui ricordi a lungo termine in condizioni che comportano deficit di memoria durature, autobiografica (ricordi personali) o semantica (conoscenze generali sul mondo), come l’Alzheimer o l’autismo. Queste due sono malattie che mirano alla compromissione del consolidamento dei ricordi.