Se da una parte negli anni ’70 si lottava per la chiusura delle scuole, oggi si protesta per la loro riapertura, in un contesto e con protagonisti però completamente diversi. Da Roma a Milano, da nord a sud, anche a Verona hanno avuto luogo manifestazioni, come quella di venerdì 22 gennaio in Piazza Bra, guidate dagli studenti che si rifiutano di essere considerati l’ultimo problema del Governo, che durante l’estate non ha programmato nulla di considerevole per il ritorno in aula, se non i fantomatici banchi con le rotelle, lasciati però a prendere polvere da ormai tre mesi. Una delle associazioni a Verona protagoniste su questo tema è Ridateci La Scuola, la cui co-fondatrice è Rachele Peter, che abbiamo intervistato.

Com’è nata e che cos’è Ridateci la scuola?
Ridateci La Scuola è un movimento d’opinione nato a fine aprile, quando ad un casuale incontro con l’avvocato Giulia Ferrari, parlando di come gli altri paesi europei durante la pandemia stessero gestendo il problema dell’istruzione, abbiamo capito che qualcosa in Italia fosse inceppato, dato che l’apertura della scuola da fine marzo era stata rinviata direttamente a settembre: non capivamo quindi come mai questo tema in Italia fosse stato completamente archiviato.

Abbiamo quindi cominciato a raccogliere adesioni per una mozione comunale in cui chiedevamo che tutte le istituzioni territoriali dessero il massimo per permettere che la ripartenza della scuola fosse sicura e continuativa. Devo dire che siamo state ascoltate: il Consiglio Comunale di Verona ha votato all’unanimità questa mozione ed è stato aperto un tavolo tecnico. Ridateci La Scuola è nato quindi per proteggere i ragazzi e anche quello che la scuola rappresenta per loro.
Secondo lei cosa non riesce a offrire la DAD che invece la scuola in presenza offre?
La scuola secondo me non è solo didattica, è la vita dei ragazzi, la relazione con gli insegnanti e tra i pari. La Didattica a Distanza secondo noi non è scuola, è come imparare uno sport giocandolo alla Playstation, non permette la possibilità di confronto e di relazionarsi.

Nell’ultimo periodo si è assistito tra gli studenti sia ad un incremento dei voti, sia ad un tracollo. Secondo lei a cosa è dovuto quest’ultimo fatto?
Io ho due figli che stanno studiando in DAD e mi accorgo spesso di persone assenti o che non intervengono mai. Sicuramente il tracollo è dovuto alla demotivazione e all’appassimento che stare davanti a un computer più di quattro ore provoca. Quella che stanno vivendo gli studenti adesso non è scuola, rischia di passare il messaggio che basta proiettare un video esplicativo per istruire uno studente, quando invece non avviene né una crescita umana, né intellettuale.
A questo punto secondo lei il Governo come gestirà la questione, anche in vista della crisi che sta vivendo?

Era lecito rinchiudere in casa i ragazzi nel periodo di emergenza, ma quando l’emergenza non c’è più stata, cioè quest’estate, si sarebbe dovuto organizzare qualsiasi cosa per permettere il rientro a settembre delle scuole e per garantirne la continuità. Invece, oltre ai vergognosi banchi a rotelle, non è stato fatto nulla. Ora come ora è difficile dire come andranno le cose, so solo che c’è la buona volontà di molte persone che lavorano nell’ambito della scuola. Allo stesso tempo però temo che la paura del contagio paralizzi e non faccia capire quali siano le cose giuste da fare. Spero solo che la generazione degli studenti in futuro, prendendo spunto dagli errori che sono ricaduti sulla loro pelle, potrà fare di meglio.
Qualcuno potrebbe fraintendere le proteste, considerandole come un “capriccio” degli studenti. Lei come risponderebbe ad un pensiero di questo tipo?
La scuola è la casa naturale dei ragazzi, grazie alla quale dai 14 ai 19 anni riescono a crescere, e togliere loro la scuola vuole dire bloccare la loro crescita. È poi comprensibile la chiusura delle scuole se tutto è fermo, ma dal momento che si può uscire e alcune attività sportive sono permesse, si deve aprire la scuola, e questo dovrebbe essere la base di una società civile.
