Tutti sanno come l’Africa sia considerata il continente della povertà, dello sfruttamento, della sottomissione, della rapacità e della corruzione di tutti i governatori che ne detengono il potere. Quante volte in televisione, sui giornali, sulle riviste o con informazioni on-line, apprendiamo qualcosa di nuovo da questo luogo, che, sfortunatamente, è assai sconosciuto. Infatti, l’Africa è popolosa, in forte crescita, estremamente variegata, ma, la possiamo paragonare al bocciolo di un fiore non ancora sbocciato, in attesa di diventare una meraviglia.

Potrebbe essere sfruttata al meglio? Diventare una potenza economica? O non essere sempre considerata nel mondo come il continente più sottosviluppato? La nostra conoscenza dell’Africa spesso si limita alle frasi fatte e agli slogan elettorali che sentiamo ripetere nei talk-show televisivi del tipo: “Aiutiamoli a casa loro”, “Bisogna distinguere tra migrazioni economiche e politiche”, “Necessario un piano Marshall per l’Africa”. Ci sono pochissimi luoghi al mondo in cui la differenza tra ciò che crediamo di sapere e l’effettiva realtà dei fatti è così ampia. Le semplificazioni, infatti, non rendono giustizia alla complessità di una terra in cui convivono 54 Paesi con instabilità politiche, economiche, sociali, culturali e religiose. Per approfondire tale fenomeno occorrono i giusti strumenti: quelli offerti da Giuseppe Mistretta, direttore del dipartimento dell’Africa sub-sahariana del ministero degli Esteri, che offre letture come “Le vie dell’Africa” – “il futuro del continente fra Europa, Italia, Cina e nuovi attori”. Ex ambasciatore in Angola e in Etiopia, forte della sua esperienza ventennale, il funzionario, in numerose interviste, racconta il suo rapporto con tale realtà, facendo riferimento alle distorsioni che condizionano il nostro modo di vedere l’Africa e, così, prova ad analizzarne le sfide e a cercare delle utili soluzioni.
E’ un Paese più vicino di quanto possiamo immaginare…

In primo luogo, bisogna ricordare che ciò che accade al di là del Mediterraneo ci riguarda da vicino. Siamo spesso portati a considerare che quella stretta striscia di mare possa separare due mondi lontani e completamente differenti, ma non è così. Questo collegamento può essere visibile anche non soltanto con il continuo pellegrinaggio di migranti che attraversano il continente, ma anche per fenomeni più concreti come il terrorismo, la lotta al cambiamento climatico e i molteplici scambi commerciali. Opportunità e sfide, indubbiamente complesse, necessitano di alleanza e soluzioni condivise. L’Italia, nel contesto europeo, può svolgere un ruolo cruciale per due motivi: sia per la vicinanza geografica che per i profondi legami storici e culturali che ci legano.
Come si fa a controllare un’area così grande?

Quando si parla dell’Africa non si fa mai attenzione alle dimensioni: per avere uno strumento di paragone basti pensare che un paese come l’Algeria è grande sette volte l’Italia, mentre in Nigeria vivono 200 milioni di persone. Governare su territori così ampi, abitati da etnie diverse, sarebbe una sfida complessa per qualsiasi classe dirigente. Lo sviluppo di sistemi amministrativi efficienti richiede parecchio tempo, energie e risorse. Spesso lo sviluppo economico non riesce a coprire tutti i costi che lo Stato deve sostenere per garantire sanità, istruzione, infrastrutture e servizi di base a tutta la popolazione.
Le migrazioni

Sul fenomeno delle migrazioni, poi, i pregiudizi rischiano di offuscare del tutto le menti degli uomini. Siamo spesso portati a pensare alla figura dei migranti come a persone povere senza istruzione, criminali, in fuga da guerre e carestie. In realtà a lasciare l’Africa ogni anno ci sono anche medici, ingegneri, scienziati, insegnanti e professionisti. Le famiglie benestanti del continente mandano i propri figli a studiare nelle migliori università europee o americane. Una volta ottenuta la laurea, i giovani si fermano nei Paesi che li ospitano per ottenere i riconoscimenti professionali che giustamente si meritano, un equilibrato stipendio e la possibilità di fare carriera, di rado tornano nel proprio luogo d’origine. Un esempio è rappresentato dal grande uomo e politico Gandhi, mandato dalla sua famiglia in Inghilterra a studiare come avvocato e desideroso di prendere in mano le redini della propria patria, riuscendo a rendere il suo Paese, l’India, libero dalla dominazione inglese. La fuga di non riguarda soltanto l’Italia, ma il danno è grave soprattutto per l’Africa, in quanto la priva della classe dirigente, dell’élite che le permetterebbe di avere governi stabili e forti.
I Paesi africani si trovano a fronteggiare i problemi legati alla migrazione da molti anni, con tutte le relative conseguenze sull’economia e sullo sviluppo. Un gran numero di cittadini continua ad emigrare, senza sosta. Ciò che rende il fenomeno particolarmente preoccupante è il numero di professionisti con elevato livello d’istruzione e di capacità che hanno trovato rifugio in nazioni ad economia più avanzata, ovvero ciò che viene definita “fuga di cervelli”.
Cause della migrazione e della fuga di cervelli

I fattori che causano questi fenomeni sono molteplici, e gli studiosi li hanno classificati nelle due categorie “push” e “pull”. I fattori che spingono verso l’estero (push) sono le condizioni negative che inducono i migranti a trasferirsi, mentre quelli che attraggono verso i paesi prescelti (pull) sono le condizioni favorevoli presenti in questi ultimi. I fattori in questione possono essere di carattere economico, politico, ambientale, o di altro genere. Nella prima categoria è sottolineata l’insufficienza delle infrastrutture, come l’erogazione discontinua di energia elettrica, che danneggia le attività commerciali, causa la chiusura di molte piccole imprese e spinge alcune aziende a riallocarsi fuori dei confini nazionali. Pesa anche l’alto livello di insicurezza, provocato da bande di terroristi, criminali e rapitori. L’aggravarsi della povertà è un altro fattore “push” che contribuisce ad accrescere il problema della migrazione e della fuga di cervelli. Il basso livello di industrializzazione, che ha limitato la capacità dell’economia di generare posti di lavoro sufficienti, è un altro fattore che costringe le persone a migrare in cerca di occupazione.

La cattiva amministrazione e il fallimento della leadership politica hanno influito disastrosamente e per molto tempo sulle possibilità di sviluppo del continente; quindi, la gente preferisce emigrare in nazioni in cui ci sono amministrazioni efficienti e il sistema economico funziona. Un altro fattore di spinta è il basso livello dei salari.
Tutto questo si somma ai fattori “pull” dei paesi di destinazione – come migliori condizioni di lavoro, paghe più alte, maggiori opportunità di formazione e ricerca – che contribuiscono a incoraggiare la migrazione.
Gli effetti della migrazione
Gli effetti positivi dell’emigrazione per i paesi di provenienza comprendono:
– un miglioramento della governance volto a prevenire una migrazione eccessiva
– un rafforzamento delle reti commerciali, che a sua volta porta ad un miglioramento della bilancia dei pagamenti
Oltre ai possibili effetti positivi di cui sopra, la migrazione e la fuga di cervelli producono anche effetti negativi. Tra essi la perdita di lavoratori altamente specializzati in tutti i settori, che ha avuto un impatto negativo sulla crescita delle risorse umane e ha provocato una carenza di lavoratori qualificati. Ciò produce conseguenze negative sugli investimenti, sulla qualità dei servizi pubblici, sulla creazione di posti di lavoro e sulla produttività, col risultato di deprimere la crescita e lo sviluppo sostenibile.

Cosa sarebbe utile per ridurre la fuga di cervelli?
Strumenti per ridurre l’emigrazione e la fuga di cervelli sono, in ordine d’importanza, l’aumento del livello dei redditi, una buona leadership politica, la lotta alla corruzione, una diversificazione dell’economia rispetto alla dipendenza dal petrolio e lo stanziamento di fondi adeguati per l’istruzione. Va sviluppato il sistema sanitario nazionale per evitare l’emigrazione all’estero motivata da necessità di cure mediche, che implica anche l’uscita di capitali. Sono necessari programmi specifici volti a incoraggiare gli emigrati a tornare, e altri potrebbero essere stimolati a offrire periodicamente servizi utili per lo sviluppo sostenibile nel loro paese d’origine. Ciò può essere realizzato impegnandoli in attività di sviluppo umano, aiutandoli ad affrontare le difficoltà che incontrano all’estero ed incoraggiandoli a partecipare alla vita politica del loro paese d’origine, creando un ambiente accogliente per gli investimenti e offrendo loro incentivi ad investire in patria.

Le cooperazioni
Quando pensiamo al concetto di cooperazioni ci vengono in mente scuole elementari, ospedali e pozzi per ricavare acqua. Secondo quanto detto dalle stime, la maggior parte degli oltre 1500 miliardi di dollari spesi dalla comunità internazionale negli ultimi 60 anni è stata usata per rispondere effettivamente a dei bisogni primari del popolo. Attualmente gli aiuti stanno andando verso nuove direzioni perché i bisogni degli africani stanno mutando. Una consistente fetta viene utilizzata per la formazione professionale. Per restituire l’Africa ai legittimi proprietari, ovvero agli africani, è fondamentale andare a creare elettricisti, informatici, meccanici e operatori dotati di specializzazione, così che in modo autonomo possano mantenere lo sviluppo economico del proprio Paese.
Aiutiamo l’Africa

Infine, le distorsioni e gli squilibri riguardano anche la politica internazionale. Se all’epoca del colonialismo l’Africa veniva vista come una terra da depredare, sfruttare e saccheggiare, oggi viene considerata come un problema da risolvere. Esiste però una terza via che in questa situazione potrebbe aiutarci ed è quella della partnership, costituita da Paesi come la Russia, la Cina, gli Emirati Arabi Uniti, la Turchia… Negli ultimi anni queste zone sono state abili a stringere legami e intense relazioni internazionali, barattando investimenti in infrastrutture per favori commerciali, appoggi politici per accordi economici vantaggiosi. I leader autoritari di tali luoghi sono però riusciti a comprendere l’immensa potenzialità dell’Africa, l’importanza di stringere alleanza e guidare il continente verso l’evoluzione. La situazione politica inizierà a cambiare quando il dibattito pubblico si farà meno ideologico e ipotetico nei territori occidentali ed europei, così da ridare spazio a tale continente e ricordarsi della sua straordinaria importanza per le risorse economiche, politiche, sociali e culturali che potrebbe e dovrebbe offrire.
Sono un giovane ivoriano del 1977 che dal 2015 vive qui in Italia per motivi religiosi. Questo articolo di Camilla Fezzi vale il suo peso in oro, come se avesse vissuto più di un secolo nell’Africa subsahariana.
Per rafforzare il buon gusto della sua argomentazione a favore della sua verità sull’Africa strangolata, vorrei prendere l’ultimo fatto che ha assunto a livello internazionale. Dopo le elezioni del 2010 in Costa d’Avorio, c’è stata la guerra che è durata più o meno 9 mesi e ha provocato più di 3.000 morti secondo i dati ufficiali. Ma qualsiasi ivoriano che ha vissuto questo evento dirà che questa cifra potrebbe facilmente quintuplicarsi. Dopo oltre 9 anni di detenzione del presidente uscente Laurent Gbagbo presso l’ICC (Corte penale internazionale), è stato appena assolto. E la sua assoluzione sembra significare la fine della giustizia su questa guerra atroce. Allora chi è l’autore di questo genocidio ivoriano? La sfortuna del presidente Laurent GBAGBO è che voleva semplicemente tagliare il cordone ombelicale che ancora lega la Costa d’Avorio al Colono e sperimentare la vera indipendenza. Quindi tutti i presidenti e anche tutti gli opinion leader che sono contrari a questo dominio esterno sono sempre chiamati delinquenti ed eliminati.
A mio parere, parte della responsabilità per le sofferenze dell’Africa subsahariana ricade sui suoi figli e figlie. È ora che il popolo africano sappia che le grandi nazioni sono stati sempre costruite con il sangue dei loro figli martiri per la sua libertà. La nostra liberazione non verrà dall’esterno, ma da noi stessi con figli e figlie de la mama Africa.
Il presidente Chirac una volta ha detto: “Il denaro che abbiamo nelle nostre tasche e nei nostri conti viene dall’Africa”. Nessuno è pronto a lasciar scappare l’oca che depone le uova d’oro. Il destino della nostra Madre Africa è nelle nostre mani come degni figli e figlie dell’Africa.