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Qual è il significato dell’applauso? Considerato come metafora dell’abbraccio, ovvero un abbraccio manifestato a distanza, l’applauso è, fin dall’antichità, un modo per esternare la propria approvazione, il proprio consenso a una o più persone e durante il corso dei secoli ha acquisito diversi valori e usi.

Le più remote testimonianze dell’applauso risalgono al periodo del teatro classico greco e romano e all’antica civiltà posta tra i due fiumi, la Mesopotamia.

In Grecia veniva utilizzato principalmente per informare il pubblico della fine della commedia alla quale stava assistendo, ma ben presto assunse il significato odierno di giudizio favorevole, tanto da essere accompagnato spesso da urla di assenso, per dimostrare la propria partecipazione attiva all’evento

Rappresentazione di uno spettacolo romano

Questa abitudine si trasmise anche ai Romani, i quali però, davanti alle esecuzioni pubbliche, ai combattimenti e ai giochi nelle arene, avevano un entusiasmo così scomposto e anche violento, che l’imperatore Augusto fu costretto a intervenire, imponendo un disciplinatore che aveva il compito di dare il segnale di inizio e di regolare gli applausi.

A teatro, invece, il pubblico romano, eterogeneo, per lo più rozzo e distratto, andava solo perché l’ingresso era gratuito e spesso si annoiava. Nel I secolo quindi gli stessi autori delle commedie ricordavano loro il proprio dovere con una specifica frase latina: “Nunc, spectatores, valete et nobis clare plaudite”, ovvero “Ora spettatori, a voi arrivederci, a noi un bell’applauso”.

L’entusiasmo del popolo e della plebe passò però sotto il controllo del potere e presto il battito delle mani divenne molto importante in politica. Aveva infatti un unico assordante obiettivo: il consenso. Il senatore il cui discorso conquistava più plauso sarebbe stato molto probabilmente il vincitore.

La folla però era imprevedibile, non si sapeva se avrebbe applaudito, forte, piano o per niente e fu per questo che l’avvento dell’impero trasformò questo gesto in qualcosa di obbligato. Quando il Cesare entrava nel Colosseo o tornava a Roma reduce da una campagna militare, l’applauso del popolo gli era dovuto. Fu allora che nacque il concetto di claque. Tu, pubblico, devi battere le mani quando te lo dico io, che ti obbligo a seconda di quanto potere esercito su te. 

Nell’antica Mesopotamia, invece, non era un gesto che esprimeva entusiasmo o consenso. Durante i riti religiosi in cui si effettuavano sacrifici animali e umani, infatti, si usava battere fragorosamente le mani per coprire le grida delle vittime.

Oggi l’applauso è diffuso in tutto il mondo, per quanto con modalità diverse. In Cina, per esempio, è abitudine che chi riceve un applauso ringrazi applaudendo a sua volta; in Bhutan invece serve a scacciare gli spiriti maligni. Nelle scuole tedesche si usa colpire il banco con le nocche delle dita in segno di approvazione mentre, negli Stati Uniti, durante gli eventi sportivi, si battono i piedi per terra per incitare le squadre.  

L’applauso è uno dei gesti più inconsci che il nostro cervello ci porta a fare. Lo controlliamo poco e spesso lasciamo che sia la folla a determinarne l’inizio, l’intensità, la durata. Noi semplicemente seguiamo la scia, ci adeguiamo, qualche volta anche se non siamo del tutto convinti della sua opportunità.

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Ho 15 anni e frequento il liceo classico Alle Stimate. Ho un fratello più piccolo e una sorella più grande, con cui ho un rapporto speciale di amore e odio. Pratico danza moderna e fino all’anno scorso giocavo anche a tennis. Mi sono sempre piaciute le materie umanistiche, in particolar modo l’epica e la letteratura, che trovo estremamente affascinanti. Amo viaggiare, conoscere nuove culture e parlare la lingua inglese e, fortunatamente, ne ho la possibilità. Nel tempo libero mi piace guardare serie tv, leggere libri e fare lunghe chiamate con i miei amici. Sono una ragazza molto sensibile e determinata, mi piace fare nuove amicizie e passare il tempo con i miei amici. Il mio difetto più grande penso sia quello di vedere sempre prima il bicchiere mezzo vuoto invece che quello mezzo pieno. Non ho ancora un’immagine chiara del mio futuro, ma spero di trovare una professione che mi piaccia e che mi renda felice.

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