Mimnermo fu un poeta elegiaco del 7 sec a.C originario di Colofone, in Asia Minore.
Attraverso l’intensa sensibilità della sua poesia possiamo percepire quella che è la fugacità della vita, descritta quasi come un soffio che passa e se ne va; Mimnermo sa delineare in modo impeccabile quella costante sensazione di angoscia che, alla fine, accomuna un po’ tutti noi, parte integrante del gioco della vita; un gioco, quindi, quello dell’esistenza e, come tale, secondo il pensiero del poeta, per questo caratterizzato anche da una fine e una meta.
Introduzione alla figura di Mimnermo
Esponente per eccellenza della poesia elegiaca greca antica, vissuto in un contesto in cui il conflitto sociale tra aristocrazia e demos non era ancora esploso, in un mondo incline al divertimento, che vantava un tenore di vita molto alto, Mimnermo, pur dinanzi a tanta bellezza e fortuna, riesce, attraverso il suo delicato e raffinato sentire, ad intuire come in realtà “l’età aurea” della sua società stia volgendo rapidamente mente al tramonto, per lasciare spazio a momenti più difficili, animati da lotte e conflitti interni.
Con la sua poesia, poi, il poeta di Colofone ci fa comprendere quella condizione esistenziale che lui stesso per primo si trova a vivere, il dissidio continuo dell’ animo, diviso tra il desiderio di godere a pieno quella straordinaria bellezza che ha davanti agli occhi e la consapevolezza del fatto che questa bellezza verrà soverchiata da qualcosa di più negativo, che segnerà il limite della vita.
Riflessioni sulla nostra condizione al tempo del Covid
Credo che, con buona probabilità, ognuno di noi in questa situazione di Covid fatichi a trovare lati positivi nella circostanza che stiamo vivendo; credo anche, però, che alla fine possiamo e dobbiamo cogliere anche alcuni insegnamenti positivi e tangibili, che ci porteremo con noi per tutta la vita.
La mia vuole essere perciò innanzitutto un’esortazione a porre maggiore attenzione a quelle piccole cose, che prima magari davamo per “scontate ed ovvie”, ma che durante l’emergenza pandemica si sono rivelate importanti non tanto per sopravvivere, ma per farci sentire vivi. Il fare sport, l’andare quotidianamente a scuola, addirittura il semplice fare la spesa, improvvisamente non sono più state delle certezze.
Ritengo poi che da ogni evento negativo dovremmo imparare ad estrarre insegnamenti, che ci facciano comprendere quanto effettivamente la vita sia fragile, ma anche quanto valga la pena viverla a pieno, evitando di logorarsi in pensieri negativi come, invece, faceva Mimnermo.
Cosa fondamentalmente ci portiamo dietro, allora, dopo questo periodo costellato di reclusioni, quarantene, zone rosse, coprifuochi, divieti o limitazioni nel fare sport, nell’andare a scuola, nell’incontrare amici o parenti? Soprattutto, come tutti questi limiti possono trasformarsi in qualcosa di “positivo”?
Sono quesiti sui quali, supponiamo molti di noi abbiano riflettuto almeno una volta in questi due anni trascorsi nella pandemia.
Per quanto mi riguarda, siamo giunti alla conclusione che in questa condizione difficile e inattesa abbiamo comunque avuto l’opportunità di imparare sfruttare meglio il nostro tempo per pensare a noi stessi, ai nostri desideri e progetti e alle nostre priorità, dal momento che il Covid ci ha forzatamente allontanato dai ritmi frenetici cui prima eravamo ormai abituati.
Tutto questo discorso volge ad uno scopo ben preciso. Esso non consiste nello spiattellarvi davanti agli occhi il fatto che personalmente sono riuscita a ricavare qualcosa di positivo da questo ammasso di negatività (fatto che, probabilmente, può interessare poco ai più) ma nell’ invitarvi a sfruttare questi momenti di effettiva solitudine in cui siamo costretti a vivere, per riprendere in mano le redini della vostra vita, per pensare a chi siete e cosa volete essere, per immaginare quello che sarà il vostro futuro, poiché il tempo che abbiamo a disposizione è poco e l’occasione ora ci viene offerta su un piatto d’argento.

Vi potreste chiedere perchè vi stia dicendo questo e non ne avreste tutti i torti, ma il mio vuole essere un incoraggiamento a riscoprire l’importanza di quella cosa della cui mancanza troppo spesso ci lamentiamo, ossia il tempo. Ora che siamo a casa e le nostre attività sono ridotte o si sono del tutto annullate, riflettiamo su quanto il tempo sia prezioso e su come lo stavamo e lo stiamo impiegando.
Reputo sia inutile logorarsi l’anima dinanzi ad una situazione cui non posiamo porre rimedio e che evidentemente ci pone dei limiti; non ci resta che avere pazienza, guardando al positivo, andare al di là dell’apparenza, come ci insegna la filosofia, evitando di cadere nell’errore fatto da Mimnermo; la vita è una sola, perciò vale la pena di viverla con la maggiore serenità possibile; non ha senso perciò persistere in una condizione di costante turbamento. Possediamo strumenti che ci possono aiutare ad andare oltre questo “ammasso di negatività” portataci dal Covid, quali la filosofia e la religione, sempre ricordando la necessità di ricercare la propria felicità e il proprio equilibrio già nel presente e non solo in quella che sarà un’ipotetica dimensione ultraterrena (come affermò Aristotele).
Critiche: in cosa Mimnermo ha “sbagliato”
Se Mimnermo fosse un nostro contemporaneo, se dovesse affrontare questa pandemia Covid, forse se ne starebbe in un angolino a piangersi addosso. Questo suo atteggiamento sarebbe in parte lecito e comprensibile: anche noi, come lui, siamo infatti esseri umani e possiamo comprendere il turbamento di fronte all’ignoto e l’incapacità di cogliere la bellezza precaria di un presente destinato a svanire; è vero anche, però, che condurre una vita del genere equivarrebbe a consumare inutilmente il tempo che abbiamo a disposizione.
Non ci si può logorare costantemente, senza mai trovare dei momenti di gioia e di divertimento, solo perché sappiamo che la morte è lì che bussa alla porta.
Essere proiettati nel futuro non è necessariamente qualcosa di negativo; lo può però diventare se intendiamo il futuro come unica dimensione a cui noi tendiamo. Non possiamo vivere pensando solo ed esclusivamente a quello che sarà; è giusto certamente riflettere sull’avvenire, ma fissandoci dei limiti; in questo (secondo me) Mimnermo avrebbe dovuto dare una lezione migliore.
Il pensiero di questo poeta elegiaco
Va anche detto, però, che Mimnermo fu uno dei poeti antichi che meglio riuscì a cogliere l’idea della precarietà dell’esistenza; in uno dei suoi frammenti più celebri, il poeta celebra“La primavera della vita” e dichiara che l’uomo vive come le bestie, senza sapere cosa gli aspetta nel futuro, cosa gli è stato assegnato dall’alto e quale sarà la sua meta.

Tale consapevolezza rende impossibile vivere e operare nel presente e conduce inevitabilmente ad una vita di perpetuo turbamento interiore, che rende incapaci di godere in maniera autentica di quello che ci circonda.
Credo che tutti noi, almeno una volta nella vita, ci siamo sentiti come il poeta Mimnermo, dominati cioè dall’idea di essere parte di un flusso ininterrotto e della sua vanità (ma il concetto affonda le sue radici ben prima di Mimnermo, nei primordi della letteratura occidentale, già in Omero e, in ambito religioso-sapienziale, anche nella Sacra Bibbia, laddove, nel libro del Qoelet, si parla di “vanitas vanitatum et omnia vanitas”).
Mimnermo rileva che l’uomo vive un profondo turbamento nel proprio animo, quando comprende che sta vivendo il passaggio ad una nuova e differente fase della vita; è qui che scaturisce quella crisi, che induce l’uomo ad iniziare a fare i conti con se stesso, con ciò che ha realizzato e con le relazioni che ha costruito, e che lo induce, talvolta, a scoprire che grandissima parte di ciò che lo circonda è precario ed effimero.
Mimnermo manifesta una visione “pessimistica” dell’esistenza, priva di qualsiasi fiducia nella dimensione della sua immortalità, capace di garantire un senso a ciò che abbiamo fatto nella vita terrena.
Conclusioni
Fermiamoci un momento, allora, e proviamo insieme a pensare a quanto sarebbe triste la nostra esistenza, se ogni singolo giorno pensassimo alla fine di questo ciclo, proprio come un cerchio che si chiude.
Allora, alla luce di ciò, la vita non varrebbe la pena di essere vissuta. La fede, però, ci aiuta in questo, poiché introduce nell’esistenza la dimensione della speranza.
Credo che molti potrebbero concordare sul fatto che non possiamo vivere nella continua angoscia generata dal pensiero ossessivo della morte e della vanità di ciò che abbiamo creato.
Secondo la visione cristiana esiste un’altra dimensione, la speranza di un’eternità e di un’esistenza completa e non una pallida sembianza della vita terrena, come l’Ade del mondo classico.
D’altronde, tutti noi abbiamo una sorta di “esigenza” dettata dalla nostra interiorità, che ci fa capire quanto sia importante avere perlomeno una speranza nell’esistenza di qualcosa che impedisca si annullino tutte le nostre fatiche, gli sforzi e i sacrifici fatti fin qui, che ci consenta di dare un senso a questo viaggio non sempre facile, ma di certo bellissimo.