Quest’anno la notte degli Oscar si è svolta domenica 25 aprile a Los Angeles nel prestigioso Dolby Theatre. La notte più attesa dell’anno da registi e attori candidati per vincere il premio cinematografico più antico e prestigioso del mondo, l’Oscar appunto.
Per questo evento memorabile noi del giornale Ermes Verona abbiamo intervistato l’attore Fabio Testi, che ha recitato nel celebre film italiano del regista Vittorio De Sica, “Il Giardino dei Finzi Contini” premiato agli Oscar come Miglior film straniero nel 1972.
Come ha iniziato la sua carriera? Si ricorda il suo primo ciak?
Sono nato a Peschiera del Garda, e proprio sul lago quando avevo tredici-quattordici anni giravano un film di pirati e il nostro lago fungeva da mare caraibico. Così ho iniziato a fare la comparsa in questo film, guadagnando tremila lire al giorno, una bella somma. Alla stessa età praticavo gare di nuoto, di judo e altri sport, ero un atleta e mi ero avvicinato al gruppo di acrobati, gli stuntman, specializzati in cadute e scene pericolose per sostituire i protagonisti del film che non partecipavano alle scene più rischiose. Seguendo un film, ero arrivato a Roma e ho iniziato a conoscere l’ambiente cinematografico. A diciotto anni un produttore e anche regista, mi ha chiesto di partecipare a una serie di caroselli per la Coca cola. Nel frattempo mi ero diplomato come geometra e in seguito mi sono iscritto alla facoltà universitaria di Architettura. Successivamente un produttore e regista mi ha chiesto di recitare come protagonista nel film Spaghetti-Western dal titolo “Ed ora raccomanda l’anima a Dio”. Ero riluttante, non me la sentivo, dato che ero un acrobata non un attore. Proprio per questo mi ha convinto lasciandomi partecipare anche alle scene rischiose: ero sia protagonista sia il mio stuntman. Sempre io sparavo, cadevo…credo di essermi ucciso dodici volte! Grazie a questo film, che ebbe successo, mi ero reso conto che ciò poteva diventare una professione. Così ho abbandonato la facoltà di Architettura e ho frequentato per due anni un’accademia di recitazione. Durante l’esame in accademia, arrivò Vittorio De Sica che cercava un italiano per il film “Giardino dei Finzi Contini”: ho sostenuto qualche provino e quell’italiano sono diventato io. Con questo film abbiamo vinto l’Oscar, con il quale si sono spalancate molte porte. Molti registi e produttori mi conoscevano perché avevo recitato in questo film e hanno iniziato a propormi nuovi progetti. Inaspettatamente da Peschiera sono arrivato a Roma, Los Angeles, Hong Kong recitando anche in diverse lingue come inglese, francese e spagnolo.

Per quale motivo ha scelto di restare a vivere a Rivoli Veronese dopo aver girato il mondo grazie alla sua carriera?
Mio padre era originario di Rivoli Veronese e mia madre di Peri. Questa inoltre è la terra del mio bisnonno, ci sono legato. Quando è venuto a mancare mio nonno, una mia zia ha falsificato il testamento e si è appropriata della terra. Inoltre, mio padre era ammalato di tumore, non si sapeva quanto ancora potesse vivere. Per stargli maggiormente vicino, avevo deciso di trasferirmi da Roma nuovamente qui e c’era in vendita la terra della mia famiglia, così l’ho ricomprata. Nel frattempo mi sono innamorato della campagna e mio padre ha vissuto per altri dieci anni. Da due anni vivo qui definitivamente, mantenendo comunque i contatti con registi e produttori per mezzo della tecnologia e di Internet.
Per lei sono da considerare “cinema” le piattaforme streaming e cosa pensa dell’evoluzione del cinema?
Oggi siamo in un momento di trapasso tra il vecchio cinema e il nuovo cinema, tra il vecchio spettacolo e il nuovo spettacolo. La qualità del cinema degli 70-80-90 è diversa da quella del cinema di oggi. Innanzitutto una volta si andava solo in sala, pagando un biglietto, e se la qualità era buona il produttore incassava un profitto e i soldi provenienti dalle vendite venivano nuovamente investiti nel cinema. Si cercava la qualità, la bellezza del prodotto: migliore era il risultato finale, maggiore era il numero degli spettatori. Oggi la televisione si aggiudica gran parte della produzione cinematografica, rendendola visibile senza far pagare il biglietto. Quindi non c’è la ricerca della qualità, perché i film prodotti dalla televisione vengono imposti ad un determinato orario, rivolti ad un certo pubblico con la certezza di incassare una somma indipendentemente dalla qualità del film. Di conseguenza gli introiti pubblicitari rimangono gli stessi senza badare al livello del prodotto.
Ha mai avuto qualche delusione in campo lavorativo?
Eh tante volte! Fa parte di questo lavoro, un lavoro interessante, ricco e ambito, ma allo stesso tempo ad alto rischio, ci si espone spesso a pericoli. Bisogna avere carattere. Io, grazie alla mia cultura veneta, ma soprattutto veronese, sono riuscito a superare, rimanendone immune, le delusioni senza cadere nei vizi come la droga o l’alcolismo, diversamente da molti miei colleghi. A volte essere travolti dal successo improvvisamente è come una malattia. E’ necessario ricordarsi che questo è un lavoro come un altro, non bisogna montarsi la testa perché è il lavoro che va gestito e non viceversa. Ho avuto diversi momenti difficili, ma con i valori che mi hanno trasmesso i miei genitori, ne sono uscito illeso.
Come fa un attore a immedesimarsi nel personaggio? Ha mai avuto un ruolo complicato da interpretare?

Ci sono tecniche di autoconvincimento e le principali sono due: quella anglosassone, in cui gli attori si immedesimano nei personaggi partendo dall’aspetto esteriore, quindi creano l’abbigliamento, la pettinatura, gli accessori, e quella mediterranea, in cui invece ci si immedesima nella psicologia del personaggio, iniziando dalla sua storia e dai suoi rapporti sociali. L’ideale sarebbe mescolarle entrambe. Il ruolo più difficile che io abbia mai avuto è stato all’interno del film “Addio fratello crudele” ambientato nel 1300, che narra la storia di un incesto tra due fratelli. Io ho interpretato il nobile che avrebbe dovuto sposare la sorella incinta di suo fratello, per rimediare al danno già compiuto e coprire lo scandalo. Quando la donna scopre di essere incinta nasce una tragedia: il fratello, venuto a sapere ciò, uccide la sorella, le strappa il cuore, lo getta all’interno di un sacchetto di garza e, durante una grande festa di corte, mi porge il sacchetto affermando: “Volevi il cuore di mia sorella? Eccolo qua.” Io esterrefatto ho esclamato “Oh Dio!”. Ecco questa è stata una delle scene più dure e cruente… me la sono sognata per alcune notti.
Ha lavorato a fianco di registi e attori di fama internazionale. Il ricordo più emozionante della sua carriera?
Ho tanti ricordi, tutti molto emozionanti. Non mi dimenticherò mai di un episodio alquanto divertente. Giravamo a Tel Aviv e sono stato chiamato all’ultimo momento. Nel tragitto per arrivare sul set, ho studiato il copione della scena 99 in inglese del film “The Ambassador”, nel quale recitavano anche alcuni attori noti come Rock Hudson e Robert Mitchum. Una volta arrivati sul luogo delle riprese, il regista J. Lee Thompson [n.d.r. celebre regista del film “Gli ammutinati del Bounty”] decide di farmi recitare la scena 45, su cui non ero preparato. Sono andato nel panico! Così per l’intera scena ho letto le battute scritte su alcuni manifesti posti dietro il cameraman, cercando di nascondere il fatto che stessi leggendo. Con mia grande sorpresa, è andata benissimo! Alla fine delle riprese Thompson ha esclamato: “Congratulations!” dandomi una pacca sulla spalla, però io dovevo ancora riprendermi dalla tensione e dal panico!
Ha progetti futuri in programma?
Recentemente un regista belga mi ha contattato per un film e forse si concretizza qualcosa non appena si stabilizza la situazione sanitaria mondiale; inoltre ho girato un film pilota a Sofia sul Mar Nero con Jaquiline Bisset per la Walt Disney, quindi se avrà successo si farà tutta la saga.