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La Cina di ventuno anni fa era molto diversa da quella di oggi, potremmo dire che era molto arretrata e aveva ancora un mercato non totalmente aperto e incisivo nell’economia globale. Poi è arrivato Xi Jinping e tutto è cambiato. Oggi la annoveriamo tra le grandi potenze militari ed economiche in grado di influenzare il futuro, un futuro molto turbolento per quel che riguarda il paese del dragone.

moderni, hanno fatto ricorso alla rivisitazione di modelli derivanti aerei russi moderni o
dell’ex unione sovietica.
Politica estera cinese
La politica estera cinese è una politica di potenza mascherata da momenti di finto pacifismo. Non mancano per niente le tensioni con i paesi confinanti e le uniche relazioni positive sono intrattenute con paesi invisi all’occidente come Iran, Pakistan, Corea del Nord e Russia. Insomma, tutti paesi con forti tensioni interne (e a volte dotati di arma atomica) guidati da leader autoritari che sono soliti ricorrere alla violenza. La Cina, durante il diciannovesimo Congresso del Partito, si è apertamente prefissata degli obiettivi da realizzare entro il 2049, anno del centenario della Repubblica Popolare; obiettivi altamente esaltati dalla propaganda interna del Partito Comunista Cinese che vede nei prossimi anni la Cina alla guida del mondo. Al Congresso il ricorso alla forza militare in caso di necessità non è stato dichiarato in modo aperto, ma è sottinteso.
Gli obiettivi
Secondo i piani cinesi, il primo obiettivo (dopo che Hong Kong è stata praticamente annessa in seguito alle nuove leggi elettorali) è l’isola ribelle di Formosa, principale antagonista della Cina, la quale dovrebbe essere annessa alla Repubblica Popolare in modo pacifico o violento; la decisione dipende quindi dalla postura di Taipei, ma questa sembra non cedere alle pressioni dell’estero vicino e, anzi, rincara la dose con l’acquisto di mezzi militari americani per aumentare la difesa.
In concomitanza con Taiwan gli altri obiettivi sono le isole giapponesi Senkaku dove si registrano continue provocazioni con violazioni dello spazio marittimo e aereo da parte cinese della ZEE (zona economica esclusiva) del Giappone e i giapponesi non esitano a rispondere in modo uguale, ma senza eccedere (infatti non hanno intenzioni belliche molto accese).
Secondo obiettivo è il Mare Meridionale Cinese, mare strategico perché vi passa il 13% delle rotte commerciali mondiali ed è inoltre ricco di petrolio e gas; per questo la Cina ha occupato illegalmente degli atolli delle Filippine, suscitando grandi proteste, per costruirvi degli aeroporti militari e delle rampe per missili a corto e medio raggio. Per finire non si poteva non annotare le contese territoriali con l’India e la Mongolia.

confini marittimi.

tuttavia la Cina li usa comunque per controllare le rotte commerciali.
L’economia come un’arma
Non mancano le polemiche sulla BRI (Belt and Road Initiative), la nuova via di cooperazione commerciale lanciata alcuni anni fa dal paese del dragone e considerata dagli americani come una strategia per infiltrarsi nelle economie mondiali e per governare i paesi più deboli con la trappola del debito.
Nelle ultime settimane Canberra, in linea con la strategia americana, si è ritirata da questa iniziativa economica pericolosa, generando degli attriti con Pechino. La risposta è stata che l’Australia ha incrementato il budget per la difesa di alcuni miliardi di dollari. Ma oltre alla BRI, la Cina ha messo a disposizione di molti paesi africani dei contributi per la costruzione di infrastrutture utili in cambio della realizzazione di basi militari cinesi sul continente africano. Un modo della Cina per garantirsi delle truppe fuori dal territorio nazionale in grado di aggirare la strategia di contenimento messa in atto dagli Stati Uniti.

La risposta degli USA
Difficilmente l’attuale potenza mondiale cederà in automatico il posto alla Cina, non l’ha fatto con l’URSS e non lo fa nemmeno ora. L’Impero celeste è quindi diventato una spina nel fianco dell’amministrazione americana a guida Biden, che rispetto al suo predecessore, ha subito chiamato a raccolta gli alleati della NATO e del QUAD, un’intesa economica e anche militare che riguarda Giappone, Australia, USA e India il cui intento è quello di limitare l’espansione cinese nell’Oceano Pacifico e Indiano.
Se prima la guerra era solo commerciale, adesso i due paesi sono ai ferri corti e Pechino, a cui va stretta la camicia di forza che gli hanno costruito gli americani, cerca di divincolarsi aumentando la spesa militare e usando la forza a scopo dimostrativo, per affermare il suo status di potenza. Tuttavia, gli americani non mollano la presa e anzi, hanno aumentato l’attività diplomatica con gli alleati asiatici e la vendita a quest’ultimi di mezzi militari come arma di deterrenza anticinese oltre che per aiutarli a essere in grado di difendersi fino ad un possibile intervento successivo degli Stati Uniti nel caso di una guerra dichiarata.
Gli americani sono stati abili in questa fase a sensibilizzare le democrazie attorno alla loro causa sfruttando il tema della repressione degli uiguri, minoranza turcofona cinese di religione islamica rinchiusa in campi di concentramento nella Cina occidentale, e la limitazione delle libertà a Hong Kong in violazione agli accordi sino inglesi di “un paese due sistemi”.
La stessa Unione Europea si è infatti affrettata a riconoscere nella Cina un pericolo, e alcuni membri della NATO come Francia, Regno Unito e Germania (a cui potrebbe presto aggiungersi anche l’Italia) hanno già inviato navi militari nel Pacifico per tutelare i loro interessi commerciali nell’area e per sostenere la strategia di contenimento cinese. Perché se da una parte gli europei non possono fare a meno del commercio con la Cina, dall’altra non si risparmiano di ribadire che sono pronti a intervenire contro di essa in caso di necessità.