Appena dopo l’annuncio del ritiro USA dall’Afghanistan e la deadline imposta dai Taliban, i media e l’opinione pubblica italiana hanno risuonato la solita carenza di prospettiva geopolitica e geostrategica del nostro Paese. Per quanto possano essere nobili e meritevoli, gli argomenti trattati purtroppo non hanno alcuna rilevanza per i nostri interessi nazionali. Si è parlato del destino del popolo afghano, dei diritti delle donne, dei diritti fondamentali dell’uomo – ahimè questi concetti non sono condivisi da tutta l’umanità – ma non di ciò che conta davvero. Nessuno si è interrogato sul perché, vent’anni fa, siamo andati in quel Paese centroasiatico e cosa ci abbiamo guadagnato come Italia da qualsiasi punto di vista, non ultimo quello geopolitico tanto da sacrificare le vite di cinquantaquattro militari italiani e centinaia di feriti.
Dopo l’11 settembre, gli americani, in totale incontinenza emotiva, decidono di invadere il Paese dei Taliban che ospitava e addestrava membri di Al Qaeda ed il rispettivo leader Osama Bin Laden; ci andarono da soli ma, evidentemente per mostrare agli americani che esistiamo e che possiamo essere utili, ci siamo autoinvitati facendo appello al famoso articolo 5 della NATO (secondo il quale qualora uno stato membro dovesse essere attaccato, gli altri dovrebbero correre in suo aiuto). Il nostro intervento non ha funzionato per due motivi: primo, da un punto di vista strettamente militare, i nostri “caveat” sostanzialmente costringono dei soldati a fare mestieri che non hanno molto a che vedere con i loro (salvo eccezioni ovviamente); secondo, perché di principio gli americani non si fidano molto degli alleati. Ritorni di natura economica l’Italia nel Paese in questione non ne ha avuti, perché di solito un Paese sacrifica delle risorse per ottenere qualcosa: nessuna zona di Afghanistan è stata posta sotto la nostra influenza; nessuna commessa industriale (ammesso sia possibile), semplicemente zero.

E gli italiani cosa pensano?
In Italia a nessuno interessa chiedersi il perché, piuttosto ci si preoccupa del futuro dell’Afghanistan, quasi come se gli afghani avessero subito i Taliban e non invece prodotto. Gli studenti coranici sono semplicemente afghani molto più di noi e, come se non bastasse, hanno il consenso popolare. Il popolo afgano diviso in etnie, gruppi e clan se dovesse scegliere tra una democrazia malfunzionante retta dall’Occidente ed i combattenti del Khorasan, sceglierebbe quest’ultimi. Il nostro Paese finché non avrà una presa di coscienza dei propri interessi da nazione matura, che si occupa di ciò che le compete, non potrà crescere. Ad esempio, dopo dieci anni di permanenza in Afghanistan, francesi e inglesi anche loro impegnati con militari a Kabul hanno pensato bene di ribaltare il regime di Gheddafi in Libia con risultati tragici per l’Italia (vedasi immigrazione incontrollata sulle nostre coste) e questo utilizzando addirittura le basi sul territorio italiano (Sigonella).

Il pensiero americano sull’Europa e la NATO
Per quanto riguardo l’atteggiamento degli Stati Uniti nel ritiro dall’Afghanistan senza preannunciare, o facendolo all’ultimo momento, ad alcun membro NATO, ha manifestato ancora una volta come il legame tra America ed Europa presente dal termine della Seconda Guerra Mondiale, sia lo stesso di quello che ha una potenza con una sua colonia. Dobbiamo dimenticarci della definizione che ci hanno dato della NATO come alleanza occidentale, tutt’altro; la NATO non è un’alleanza ma un’organizzazione nata con lo scopo di proteggere gli Stati Uniti e non gli europei.
La causa del ritiro e la strategia cinese
Ancora, perché Washington ha deciso dopo vent’anni di abbandonare l’Afghanistan? In primo luogo, le trattative che hanno visto in Qatar al tavolo dei negoziati Americani e Taliban (i famosi “accordi di Doha” iniziati con Trump e terminati con Biden) contrariamente a quanto sostenuto da qualcuno non sono un segnale di cedimento, di declino degli USA. Al contrario, sono un segnale di crescita della superpotenza da “imperialista” a “imperiale”. Nel primo caso il Paese egemone partecipa indiscriminatamente ad ogni conflitto per riaffermare sempre la propria posizione, nel secondo il medesimo partecipa a scenari dove l’interesse nazionale è ben identificato e non porta ad una perdita di risorse nel lungo periodo. In secondo luogo, l’Afghanistan viene ora correttamente individuato come un Paese privo di utilità geopolitica e strategica per gli Stati Uniti ed il ritiro dal suolo afghano con la conseguente instabilità politica in cui viene lasciato è una tattica per attrarre al proprio interno le potenze limitrofe, Cina in primis. Fino ad ora la presenza americana faceva comodo un po’ a tutti. La Repubblica Popolare, appena saputo degli accordi, si è precipitata nei dialoghi con i Taliban per garantire la propria stabilità nazionale nella regione dello Xinjiang, confinante con l’Afghanistan attraverso una piccola striscia di circa ventisette chilometri. Lo Xinjiang è tappa delle nuove vie della Seta, uno snodo cruciale verso il Pakistan e i rispettivi porti di Gwadar e Karachi; un’influenza fondamentalista come quella dei Taliban avrebbe movimentato troppo lo spirito separatista della regione che avrebbe portato a ulteriori disordini interni.

Pechino sta già progettando una base militare in suolo afghano, nei pressi del confine con la Repubblica Popolare stessa. Mosca ne traeva vantaggio attraverso le mancate comunicazioni tra i jihadisti afghani e le repubbliche più meridionali della regione (basti pensare alla Cecenia). Cina e Russia in questi anni hanno seguito la massima napoleonica di “non disturbare mai un nemico che sbaglia” tanto che Pechino finanziava la presenza statunitense pagando parte del PIL americano. Il Pakistan si ritrova avvantaggiato dato che l’avvento degli studenti del Corano conferisce maggiore profondità difensiva ad Islamabad (li hanno creati loro), sempre che non interferiscano con le relazioni economiche sino-pakistane. L’Iran si ritrova a dover alzare le difese al confine orientale sia per prevenire ondate migratorie sia per l’influenza fondamentalista che potrebbero proiettare i Taliban agli abitanti del Baluchi.
Ad ogni modo, la prima lezione da trarre è non fare missioni in giro per il mondo tanto per farle e per dimostrare agli USA che esistiamo e che siamo buoni alleati. Sarebbe, a mio avviso, più conveniente per l’Italia compiere azioni e missioni che rientrino negli interessi italiani ma che si muovano nel margine di manovra dell’ombrello americano.
L’area d’interesse italiana è quella che un tempo ci vedeva protagonisti in particolare l’area mediterranea, la fascia nordafricana e l’area dei Balcani. Da qui possono derivare minacce per l’Italia ed è qui che sono dislocati i nostri interessi ed è qui che dovremmo guardare, specialmente in questo periodo in cui gli USA sono impegnati nel contenimento cinese nell’Indo Pacifico.