a cura di Gabriele Aldegheri e Carola Rigodanza
Mafia come religione della ricchezza
I giovani della “generazione z” sanno cos’è la mafia? Sanno cosa ha significato la mafia per il nostro Paese? È evidente che la distanza temporale dagli avvenimenti non giova il ricordo di quegli anni, visti come distanti e legati a un mondo vecchio e ormai superato. Gli anni delle stragi eccellenti sono finiti e la mafia in sé, tranne alcune eccezioni, non fa più notizia. Ma la mafia non è scomparsa, ha solo mutato forma adattandosi a nuovi contesti, a nuove esigenze, a nuovi affari. Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona Unita e Camorra, solo per citare alcune delle principali organizzazioni mafiose presenti sul territorio italiano, hanno capito che per far sopravvivere un sistema criminale come quello di stampo mafioso è meglio agire in silenzio (contando sull’omertà dei consociati e dei minacciati) piuttosto che facendo rumore. Infatti, la mafia in sé ha come unico fine e scopo la ricchezza, la quale è ottenuta con qualsiasi mezzo che aggiri i controlli e le leggi dello Stato (racket, riciclaggio, traffico di stupefacenti, prostituzione, usura, pizzo…), e più la mafia si espone, compiendo omicidi o intimidazioni, più lo Stato la colpisce e interferisce sul buon esito dei suoi affari. A questo riguardo Rocco Chinnici, magistrato ideatore del pool antimafia trucidato nel 1983, in una intervista per la televisione siciliana si espresse così: «La mafia è stata sempre reazione, conservazione, difesa e quindi accumulazione della ricchezza. Prima era il feudo da difendere, ora sono i grandi appalti pubblici, i mercati più opulenti, i contrabbandi che percorrono il mondo e amministrano migliaia di miliardi. La mafia è dunque tragica, forsennata, crudele vocazione alla ricchezza». Questa religione della ricchezza viene tuttora orgogliosamente ostentata dalle famiglie mafiose con l’acquisto o il possesso di beni di lusso e di immobili di grande valore.
Lettera a una maestra: cos’è la mafia

Paolo Borsellino, magistrato palermitano che ha partecipato e contribuito in maniera significativa alla guerra dello Stato contro la mafia, ha dato una definizione completa e precisa di cosa sia la mafia in una sua lettera indirizzzata ad una maestra, scritta poche ore prima del suo assassinio: “La mafia è una organizzazione criminale, unitaria e verticisticamente strutturata, che si contraddistingue da ogni altra per la sua caratteristica di “territorialità“. Essa è suddivisa in “famiglie” […] che tendono ad esercitare sul territorio la stessa sovranità che su esso esercita, deve esercitare, legittimamente, lo Stato. Ciò comporta che Cosa Nostra tende ad appropriarsi delle ricchezze che si producono o affluiscono sul territorio […] fornendo nel contempo una serie di servizi apparenti rassembrabili a quelli di giustizia, ordine pubblico, lavoro, che dovrebbero essere forniti esclusivamente dallo Stato.”
Le stragi del 1992
In questo anno particolare ricorre il trentesimo anniversario delle stragi mafiose nei confronti di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, due giudici appartenenti al pool antimafia di Palermo il quale era un nucleo di magistrati specializzati nella lotta alla criminalità organizzata. Quel pool si trattò, nei progetti di Giovanni Falcone, di un primo passo verso la creazione di una struttura giudiziaria stabile specializzata nella repressione dei crimini mafiosi. Infatti, grazie al giudice palermitano vennero create la Procura Nazionale Antimafia, la Direzione Investigativa Antimafia, le Direzioni Distrettuali Antimafia. Per l’epoca si trattò di una rivoluzione.Tuttavia questa rivoluzione, incarnata dai due giudici, non era ben vista dalle forze politiche dell’epoca (già in crisi a causa del processo “mani pulite”), da molti poteri dello stato, occulti o meno, ma soprattutto dai mafiosi che temevano la loro stessa definitiva rovina dopo le già pesantissime condanne del “maxiprocesso”.

Il boss Totò Riina decise così che i due magistrati dovevano morire, e le bombe sarebbero state il modo più semplice e distruttivo per colpirli e impressionare lo Stato. Il 23 maggio 1992, sull’autostrada in direzione Capaci, perdevano così la vita Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e tre agenti della scorta. L’amico e collega Borsellino verrà ucciso insieme alla sua scorta davanti al condominio in cui abitava sua madre, in via D’Amelio, il 19 luglio 1992. La portata mediatica in entrambi i casi fu enorme. I funerali videro la partecipazione commossa e arrabbiata di moltissimi siciliani, i quali accolsero i rappresentanti politici al grido incessante di “fuori la mafia dallo Stato”. Fu la svolta. Lo Stato capì che con le organizzazioni criminali non si poteva più convivere e impegnò le sue forze, anche se a volte con poca convinzione, al contrasto alla mafia.
Nuove mafie
Negli ultimi decenni, l’efficacia nel contrasto alle organizzazioni italiane e la loro graduale perdita di consenso tra la popolazione ha reso queste ultime strutturalmente più deboli, ma ha permesso la nascita e l’importazione sul suolo italiano di organizzazioni criminali straniere (come la mafia nigeriana, colombiana o albanese) che sostituiscono i clan nostrani in alcuni traffici, e che sono caratterizzate da uno spiccato uso della violenza oltre che dalla facilità nel sottrarsi alle indagini delle procure e ai controlli delle forze dell’ordine. Questo ha inciso notevolmente sul contrasto al fenomeno mafioso, determinando vari cambiamenti in positivo nei metodi di indagine degli inquirenti e delle forze dell’ordine, tuttavia la carenza cronica di risorse e di personale non permette sempre di raggiungere i risultati sperati.
La filosofia per combattere la mafia
C’è una parola che lega l’origine della filosofia alla lotta alla mafia: aletheia. Tale termine significa propriamente “rivelazione”. Infatti, la filosofia è ricerca continua che smaschera le apparenze e le mistificazioni. La lotta antimafia è una lotta per la libertà di pensare, dire e mostrare che realtà terribili sono possibili. È fondamentale l’educazione al pensiero critico, che in particolar modo lo studio filosofico garantisce.

Chiaramente pensare è scomodo e così anche imparare a criticare ciò che, secondo il nostro punto di vista, non è ritenuto accettabile o condivisibile. Dare una propria opinione in merito a tematiche o concetti delicati come il discorso circa la mafia, nel suo senso più lato, spaventa. Indubbiamente, mentre esponiamo una nostra opinione veniamo “giudicati” in maniera positiva o negativa da chi ci ascolta.
Pensare significa esporsi e ciò incute scetticismo. Si preferisce rimanere nell’ombra e tenersi i propri pensieri per sé stessi per paura che gli altri non li condividano. Tuttavia, diventa fondamentale esprimersi in totale libertà in merito a un argomento, cosicché il pubblico che ci ascolta si possa arricchire di un punto di vista ulteriore e magari anche opinabile.
Solo il pensiero ci rende liberi di scegliere, perché insegna a guardare in faccia la realtà e agire di fronte a mere utopie che, mentre si macchiano del sangue dei loro martiri, trovano gambe su cui camminare e strade per realizzarsi.
La mafia è in antitesi con la filosofia, dal momento che questa rappresenta un vero e proprio esercizio al pensiero, tanto da divenire motore principale del rivoluzionamento storico, che non possiamo rischiare di spegnere.
L’indifferenza è assassina della storia
L’indifferenza purtroppo è l’alleato più fedele dell’essere umano, che non ha mancato di dimostrarlo anche in situazioni delicate e importanti che hanno coinvolto la mafia. Si dice spesso: «La mafia uccide, il silenzio pure» e non c’è nulla di più veritiero. Il potere delle mafie è un potere immediato, che facilmente si esercita su un popolo che ha paura, dal momento che non essendo coeso, si abbandona al silenzio e all’omertà. Il potere basato sulla violenza e sulla forza di prevaricazione è un potere instabile in una società fatta di carnefici e oppressi, dove tutti, sotto la maschera delle apparenze, sono nemici tra loro, poiché i rapporti interpersonali si basano soltanto sulla legge del più forte. La parola può salvare, poiché è conoscenza, consapevolezza e apre al dialogo.

Il pensiero di Max Weber
Nella società dominata dall’organizzazione mafiosa il dominio weberiano può essere tradotto in tal modo: «Si deve obbedire al potere mafioso, per il fatto che è sempre stato tale e continuerà ad essere uguale». Ciò designa una totale rassegnazione di fronte a un meccanismo tritacarne e distruttivo.
Davanti ai problemi si deve combattere e noi posteri lo possiamo fare solo con la memoria di chi ne è rimasto vittima. L’indifferenza e l’arrendevolezza sono atteggiamenti puerili e inconsistenti. È necessario tenere vivo il ricordo per far sì che queste dinamiche non prendano più piede nella società futura.
L’impegno dell’associazione “Libera”
Come ogni anno, il 21 marzo, l’associazione Libera celebra la “giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie”. Tale definizione venne stipulata il 1 marzo 2017 alla Camera dei Deputati, luogo in cui venne approvata la proposta di legge che istituì “giornata del ricordo” questo giorno.

Dal 1996 si onora tale ricorrenza in città diverse, affinché quel lungo elenco di nomi rinfreschi la memoria di chiunque e per far rivivere ancora quelle vittime innocenti. Il 21 marzo è una giornata indelebile nelle nostre menti, così come quella del 27 gennaio, nella quale rivolgiamo un abbraccio sincero ai familiari che hanno perso qualcuno di caro a causa della mafia. Quest’anno si celebra la XXVII giornata dedicata alla memoria. L’incontro si svolgerà lunedì 21 marzo a Napoli dalle ore 9.00 in Piazza Garibaldi fino alle ore 11.30 con l’intervento di Luigi Ciotti. Inoltre, La manifestazione sarà trasmessa in diretta streaming sul sito: www.libera.it