A distanza di alcuni giorni dal naufragio del barcone di migranti a Cutro, avvenuto lo scorso 26 febbraio, c’è ancora una ricostruzione poco chiara della vicenda. Si è giunti a conoscenza solo di un elenco di telefonate e di una mail per chiedere aiuto. Conversazioni dai contenuti in parte misteriosi e comunque inutili ad evitare la strage perché arrivate nella fascia oraria che va dalle 4:20 alle 4:35 del mattino. Il barcone con 180 (forse di più) persone a bordo si è schiantato contro la secca tra le 4 e le 4:10, come dicevamo, dell’alba del 26 febbraio.
Una serie di richieste d’aiuto poco chiare
Alle 4:20 un numero turco chiama i carabinieri di Crotone “da una non meglio identificata barca” come dicono loro. I militari provano a ricontattarlo, ma tutto inutile. Alle 4:35 un segnalante straniero con una utenza telefonica italiana chiama due volte la centrale operativa della capitaneria di porto a Roma. Nella prima chiamata dice di vedere una barca in difficoltà che sta per ribaltarsi a 40/50 metri dalla riva davanti al fiume Tacina. “Li sento urlare” aggiunge, nella seconda chiamata dice di aver visto il peschereccio rovesciarsi. Alle 4:52 un altro segnalante straniero contatta la stessa centrale operativa di Roma, anche stavolta il numero è turco. L’uomo parla in inglese: «c’è una barca che sta per affondare davanti all’isola di Capo Rizzuto». Dice di aver avuto l’informazione via Facebook e di non avere il numero di bordo. Afferma che sono presenti 200 o 250 persone. Chiama anche una donna attivista per i diritti umani marocchina che alle 5:13 avvisa la guardia costiera. Avverte di aver ricevuto una telefonata da un numero tedesco da parte di un familiare di alcune persone a bordo del barcone e afferma che la barca era partita dalla Turchia con 120 persone a bordo. Circa un’ora prima aveva urtato uno scoglio spezzandosi. La donna fornisce anche la longitudine e la latitudine dell’imbarcazione. Alle 5:35 perviene alla Guardia Costiera una mail della segnalante che conferma quanto detto al telefono.
I punti fermi dell’indagine
I punti fermi da cui partono le indagini del procuratore Giuseppe Capoccia e il suo sostituto Pasquale Festa restano i seguenti: l’avvistamento della barca alle 22:26 di sabato. L’Agenzia europea Frontex la vede 40 miglia al largo delle coste calabresi. La segnala al punto di contatto italiano (in sostanza alla Finanza) e per conoscenza alla Guardia costiera.
Punto due: la Finanza esce per andare a cercare la barca. E’ una operazione di polizia marittima, non di soccorso. Alle 2.20 parte una motovedetta da Crotone, alle 2.30 un pattugliatore da Taranto. Ma il mare è «proibitivo», dicono via radio. E tornano indietro per «attivare il dispositivo di ricerca a terra lungo le direttrici di sbarco» avvisando la Guardia costiera.
Nessuno lancia l’attività Sar, cioè ricerca e soccorso in mare. Fra le 4 e le 4:10 lo schianto. Alle 4:35 la chiamata che certifica la fine: «L’ho vista ribaltarsi».
Intanto il numero delle vittime sale a 78, sono più di 60 le vittime riconosciute