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Nella giornata di mercoledì 22 marzo nell’Aula Magna delle Scuole alle Stimate di Verona, lo scrittore Andrea Franzoso è stato invitato dai docenti del Dipartimento di Lettere a tenere un convegno per parlare con le classi prime e seconde superiori e chiarire tutti i dubbi e le curiosità che sono sorti tra gli studenti durante la lettura di “Ero un bullo. La vera storia di Daniel Zaccaro”. Sono state affrontate tematiche come quelle del bullismo e della delinquenza, ma gli argomenti principali hanno toccato soprattutto quelli inerenti all’autore, al rapporto con Daniel e con gli altri personaggi, alle impressioni ed emozioni che lui stesso ha provato scrivendo tale opera e prendendo spunto, appunto, da una storia vera. La prima parte della mattinata ha visto i saluti degli organizzatori, tra cui la prof.ssa Graziella Pennisi, coordinatore del dipartimento, l’ente di promozione UsAcli di Verona e la Libreria Jolly del Libro. Gli studenti delle otto classi coinvolte si sono distribuiti i ruoli, dandosi supporto reciproco, per presentare ai compagni tappe fondamentali della vita di Franzoso e le sue opere letterarie. La seconda parte, invece, è stata dedicata alle numerose domande, programmate e anche spontanee, nate dai ragazzi.

Di seguito ne proponiamo alcune.

Andrea Franzoso

Che cosa fa Daniel ora nella vita? Ha una famiglia?

Ad oggi fa l’educatore proprio nella Comunità di Kairòs, fondata da don Claudio, e di cui lo stesso Daniel è stato ospite per alcuni anni. In questo ambiente, i ragazzi sono aiutati ad uscire dalla propria “gabbia”. Daniel ha mantenuto i rapporti con la madre e la sorella, che sono ottimo; inoltre ha conosciuto una ragazza di nome Sofia, che ora è la sua fidanzata.

Ha conosciuto personalmente altri personaggi del libro?

Sono riuscito a conoscere e a intervistare praticamente ogni personaggio presente in questo racconto. Uno dei personaggi che non son riuscito a incontrare è stato il padre di Daniel, Lorenzo, poiché lui ha chiuso i rapporti con il proprio figlio. Inoltre non sono riuscito a parlare con altri personaggi secondari, mentre, superando il mio timore ho potuto parlare con Marika e Zahra, ovvero due fidanzate del protagonista. Nel complesso è stato abbastanza facile, qualcuno mi ha dato però filo da torcere; molti si sono aperti subito dandomi fiducia, ad esempio Teo e Yuri. Avevano voglia di parlare, perché sapete, le persone vogliono essere ascoltate, c’è bisogno di molto ascolto nella nostra società, dove tutti parlano e pochi ascoltano, quindi quando una persona si mette lì per te ad ascoltarti in maniera profonda, crollano i muri. Il più difficile da intervistare è stato Maxim che rappresenta la classica mascolinità tossica: non vuole dimostrare le proprie insicurezze, vuole farsi vedere forte. Ho provato molte emozioni: alle volte ho riso e altre ho pianto.

Ha mai pensato che alcuni di loro non avessero detto la verità?

No. Me ne accorgo quando non è sincero e lo provo. Daniel si è aperto anche troppo, ero io che a volte lo fermavo. Gli dicevo “Daniel va bene così”. E così si è aperto con grande fiducia.

Daniel Zaccaro (Fonte Vanity Fair)

Ha mantenuto i contatti con qualcuno di loro?

Don Claudio lo sento spesso e anche la giudice Fiorillo, perché ora è in pensione, una simpaticona, e con lei ho fatto un incontro con alcune famiglie. Una volta sono andato alla Cattolica di Milano a presentare il libro e tra gli ascoltatori c’erano Teo e Yuri. Alle volte mi capita di incontrare i miei personaggi, cosa che non capita alla Rowling, lei non ha mai incontrato Harry Potter! 

Le è mai capitato di commuoversi?

Un momento che mi ha commosso è stato quando Daniel mi ha raccontato di una scena di quando lui era in carcere a Bari, il giorno in cui sua madre è andata a trovarlo. Durante l’incontro si sono fatti forza a vicenda, ma, dopo essersi salutati, Daniel ha visto da una vetrata che la madre era in un angolo a singhiozzare. Mi sono anche commosso quando la madre mi ha descritto il giorno della laurea del figlio: era spaesata dalla quantità di persone presenti.

Secondo lei, la mamma di Daniel è stata una “mamma coraggio”?

No, la mamma di Daniel era iperprotettiva con suo figlio ed è stato un male, poiché dava sempre ragione a suo figlio. Cercava di compensare in questo modo il tempo di qualità che non ha saputo dare al figlio, regalava cose invece di offrire tempo. I bulli non crescono solo nelle famiglie scassate come quella di Daniel, ma anche in quelle benestanti, dove si danno soldi al posto del tempo; ma quello non è amore. Quando l’ha denunciato ha fatto bene, ha cercato di salvarlo vedendo che si stava perdendo.

L’amicizia tra Daniel e Maxim è stata sempre negativa?

Ne ho parlato a lungo con la psicologa di Daniel che ha detto che nel male è stato un bene, è stata un’amicizia contenitore. Si tratta di uno spazio protetto dove i due potevano sentirsi al sicuro, ma anche un rapporto molto complicato, poiché si è creata una dipendenza affettiva che non è facile da capire bene, ma oggi direi che non c’è più amicizia. Daniel dice di esserne ancora amico ma io, dopo aver visto la storia in maniera fredda e distaccata, non vedo questa amicizia nel presente. Sono troppo diversi: da parte di Maxim c’è quasi dell’invidia nei confronti di Daniel. Mentre le altre amicizie che aveva, Daniel, dice di non poterle considerare vere e proprie amicizie, confessando che “ci usavamo a vicenda”.

Come si è sentito nel raccontare la storia di questo ragazzo, considerando anche il suo passato nelle forze dell’ordine?

Essere stato nei Carabinieri mi ha aiutato, e anche per l’interazione tra me e Daniel, perché lui ha sentito di poter consegnare la sua storia a una persona che avrebbe potuto capirla. Quelle cose che lui raccontava, io le avevo già incontrate durante il lavoro, quindi conoscevo le dinamiche del mondo della giustizia e della criminalità. Tant’è vero che, se chiedeste a lui, vi risponderebbe “Andrea è stato il mio psicologo”, anche perché nello scrivere la storia non mi sono limitato a raccontare la versione di Daniel, a lui sarebbe piaciuto, ma per un libro che deve raccontare la tua storia e che va in moltissime librerie, ho sentito tutti quanti, perché la conoscenza che noi abbiamo di noi stessi è limitata, è mia ma anche delle persone che mi stanno vicino perché anche la loro versione conta.

Quale è stata la reazione di Daniel quando lo ha contattato per la prima volta? Che legame ha instaurato con Daniel?

Daniel ha avuto paura inizialmente, per esempio quando gli ho detto, dopo esserci sentito e tutto quanto, “Mi dai il numero di tua mamma?” e lui “Il numero di mia mamma in che senso, perché?”; poi ha cercato pure di manipolarmi “No no, lo dico nel nostro interesse; poi si irrigidisce e dice che il libro non va fatto” Dopo un paio di giorni ha sganciato il numero, e con sua mamma sono stato per tre ore al telefono!
Con Daniel ho instaurato un rapporto molto schietto e di fiducia. Tra di noi non c’è un rapporto di amicizia, senza dubbio amichevole ma l’amicizia è un’altra cosa, abbiamo anche una grande differenza di età con esperienze totalmente diverse e sensibilità diverse.

Perché come titolo del libro ha scelto “Ero un bullo” e non ha usato parole come “delinquente” o “rapinatore”?

Probabilmente se avessi dato come titolo ad un libro “Ero un bastardo”, “Ero un rapinatore” forse non sarei qui oggi. Un insegnante si sarebbe trovato in difficoltà a proporre un titolo del genere. “Ero un Bullo” è un titolo più accattivante.

Le riflessioni all’interno del romanzo sono state concepite da lei o dai personaggi del romanzo?

Una cosa mi ha molto impressionato: il rapporto che c’è stato tra persona e personaggio. Ho messo qualche volta in bocca a dei personaggi parole che in verità loro non avevano mai detto, ad esempio quando durante un dialogo inteso tra da Daniel e Don Claudio, ho fatto dire a quest’ultimo “quando il discepolo è pronto appare il maestro”. Molte delle citazioni del libro sono nate dall’impatto che la storia di Daniel ha avuto su di me. Poi c’è da dire che io non ho mai giustificato Daniel, come narratore io non ho mai giustificato i miei personaggi. Non ho bisogno di giustificarli per avere empatia ed immedesimarmi.

Trova più difficile inventare un personaggio creato dalla sua mente e poi descriverlo o raccontare le storie che sta vivendo?

Non ho difficoltà ad inventare storie, ma le trovi anche nella vita reale, le incontri qua e là, me le segno e le annoto. Qualche giorno fa ero a Bologna e una ragazzina di terza media mi ha detto il suo nome, ho pensato che fosse bellissimo e che dovevo tenerlo presente per usarlo in un libro. Mi piace molto parlare con i personaggi reali perché provo un grande senso di empatia.

Ha raccontato di essere stato bullizzato durante le scuole medie. Cosa provava in quei momenti?

Ero in difficoltà, in grossa difficoltà. C’è una frase, che caratterizza ogni libro, che ci racconta. Quando si parla di un ragazzo, che rientra al Beccaria dopo alcuni giorni di permesso, tutto rasato, ed un compagno gli chiede: “Dove sei stato? Ad Auschwitz?”. Quella frase fu detta più volte a me da piccolo, perché ero magrolino, mingherlino, e alcuni bulli mi chiedevano se fossi stato ad Auschwitz e se i miei genitori mi dessero da mangiare. Mi dicevano “Hanno aperto il campo?”. Durante l’adolescenza e preadolescenza colpire sul fisico fa molto male, perché si stanno vivendo delle trasformazioni. Dire a uno che è grasso, magro, ciccione, ha i brufoli fa male, molto male. Non devo dire altro.

Come definirebbe un “bullo”?

Quando si parla del bullismo in classe la colpa non è solo del bullo, anzi è quasi una vittima; i veri colpevoli sono tutti quelli attorno che ridacchiano, gli indifferenti. Se invece la classe è unita e mette il bullo al suo posto, non dà spazio a certi comportamenti. Il problema è la vigliaccheria: il bullo è una persona con poca personalità, pochissima personalità, che fa il forte per cercare protezione.

Come è diventato scrittore?

Il caso? La Provvidenza? Sono tra i fortunati che non ha dovuto cercarsi un editore perché quando ho scritto “Disobbediente” è stato un editore a propormelo, dopo che avevo denunciato il presidente dell’azienda presso cui lavoravo. La mia vicenda aveva avuto un risvolto mediatico forte. Ho usato quella storia per sostenere la battaglia al rispetto della legge. Da quello che poteva sembrare un disastro è nata la mia più grande fortuna; quindi anche voi non spaventatevi quando qualcosa non va perché può essere l’occasione per ritrovare voi stessi. 

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