100 anni dal “Il delitto Matteotti”, perché è giusto ancora adesso parlarne

A Tregnago Francesco Barilli ha presentato la sua ultima graphic novel, quando l'arte fa vibrare coscienze.

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Francesco Barilli consegna il libro con dentro una sua dedica
Francesco Barilli consegna il libro con dentro una sua dedica

1924-2024. Cento anni di guerre e dittature. Cento anni di rivoluzioni, cambiamenti, progressi. Cento anni in cui il mondo si è trasformato radicalmente. Ma allora perché parlare ancora di Giacomo Matteotti? A cosa serve oggi scavare nel profondo della storia di un secolo fa per seguirne le vicende e i vari personaggi? Ai tanti interrogativi risponde Francesco Barilli, scrittore e autore, insieme a Manuel De Carli, della graphic novel “Il delitto Matteotti” , presentata il 30 novembre scorso nella biblioteca comunale di Tregnago.

L’opera inizia con un cronista radiofonico che si rivolge al pubblico e dice che è giusto adesso parlare di Matteotti. Un ragazzo giovane, dall’altra parte, ascolta il cronista con delle cuffiette; potrebbe essere un ragazzo contemporaneo, dei giorni nostri, quindi quanto è utile ancora oggi parlare di Matteotti?

“Quando ho deciso di scrivere di Matteotti avevo già pubblicato libri su Piazza Fontana e Piazza della Loggia, quindi era già abbastanza chiaro che ci fosse dietro una scelta antifascista. Avevo deciso di raccontare anche una storia del fascismo vero e proprio. Era una storia di cui pensavo di sapere tutto, ma, mentre mi documentavo, mi ero reso conto che c’era una voce che mi arrivava dal passato e mi raccontava una storia, che non era solo quella di un oppositore politico ucciso dal fascismo, ma di come nasce una dittatura. Prima di rispondere alla domanda volevo parlare di quello che ha sorpreso me: Matteotti il 30 maggio del 1924 fa un discorso durissimo, ma a tradimento. Viene ucciso dieci giorni dopo da elementi tutti riconducibili al primo ministro dell’epoca, Benito Mussolini. E cosa succede? Nulla. Per sei mesi il fascismo traballa, c’è l’odore che potrebbe cadere il governo, ma non succede nulla. Dopo questo periodo, il 3 gennaio del ‘25 Mussolini fa il famoso discorso dove si assume tutte le responsabilità, anche quelle dell’omicidio, e dice che da domani le cose sarebbero cambiate. E cambiano sul serio. In un anno e mezzo escono una serie di provvedimenti in cui il partito fascista diventa l’unico riconosciuto, vengono aboliti i sindacati e si dispongono dei fermi. Insomma, un regime illiberale diventa una feroce dittatura che segnerà i vent’anni successivi. Quindi ho pensato, ed ecco che ritorno alla tua domanda, che quella voce mi arrivava dal passato e mi raccontava come può nascere una dittatura: non sempre con i carri armati nelle strade e un dittatore che annuncia il suo potere in televisione; a volte nasce nella quiescenza di un popolo, perché non si riesce a fare abbastanza per difendere quel bene prezioso e fragile che è la libertà. Allora mi sono detto che quella voce dovevo farla avere anche dal punto di vista narrativo, in un modo forse affascinante. Mi piace citare quindi anche Manuel De Carli, il mio disegnatore; in lunghe telefonate e chiacchierate a lui è venuta questa idea. Tra l’altro la voce narrante del cronista è in realtà Guido Notari, figura molto famosa nell’Italia degli anni ‘20. La trasmissione però è totalmente onirica, intervista persino i morti. E poi c’è anche questo ragazzo che con le cuffie ascolta e ha voglia di ascoltare.”

Il graphic novel “Il delitto Matteotti”

Ad un certo punto appare un bar con il busto di Mussolini: il bar Gladio. I clienti ascoltano anche loro la radio e interagiscono, discutendo con reazioni diverse, come la fascinazione per Mussolini, cosa che esiste ancora adesso. Quindi parlare all’oggi ha il senso di mostrare, anche a chi fa il nostalgico, qualcosa che non è davvero conosciuto?

“È stata una scelta autoriale, noi scrittori ogni tanto facciamo anche qualcosa di nascosto che poi qualcuno coglie e quindi siamo particolarmente felici che questi semini portino il loro frutto. Questa era un’idea mia di cui ho parlato con Manuel, il fatto che questa voce dal passato dovesse creare una contraddizione per far vedere quelle dell’oggi. Ho scelto quindi due personaggi: il ragazzo con le cuffiette, che farà un gesto forte e antifascista, che non vi anticipo, però non dirà una parola per tutto il libro; l’altro è un fascistone nostalgico che ascolta la stessa trasmissione e continua a parlare in modo tormentato perché non crede a quello che sente. Rappresenta quindi per me quello del fascista non acculturato che ascolta e pensa ancora che tutto sommato il fascismo abbia fatto delle cose buone.”

Prima hai accennato a morti che parlano. Uno di questi racconta di una vicenda riguardante il rapporto tra magistratura e politica, cosa di cui sentiamo parlare molto anche attualmente. Potresti parlarci di questo episodio?

“Il primo magistrato che segue il caso Matteotti, quindi in piena epoca fascista, è il dott. Mauro Del Giudice, il classico giudice tutto d’un pezzo che fa le cose giuste e crede nell’indipendenza della magistratura. L’avvocato difensore è Farinacci, uno dei principali esponenti del fascismo dell’epoca. Questo ci fa capire quanto per il potere politico sia importante soggiogare la magistratura e porla sotto il proprio controllo, anche in maniera ambigua.”

Un’altra questione affrontata nel tuo libro è quella dello scambio del petrolio, accordo economico che rafforzava il potere di destra grazie a degli accordi in atto.

“Cercando di farla breve, il fascismo va al potere con la marcia su Roma del ‘22 in maniera costituzionale. Mussolini presiede un governo di coalizione e studia la Legge Acerbo per le nuove elezioni politiche, perché il suo disegno politico è prendersi il potere totalmente. Le elezioni si tengono nell’aprile del ‘24 e il partito fascista le vince in un clima violentissimo. Matteotti fa poi un discorso in cui contesta l’esito delle elezioni, il 10 giugno viene rapito e subito ucciso. Il corpo viene ritrovato il 16 agosto dalle parti di Roma, nel bosco della Quartarella. Per anni si è ritenuto quindi che fosse stato ucciso come punizione per quel discorso. È vero, ma non del tutto: nel luglio del ‘24 esce infatti un articolo di Matteotti sul giornale inglese Machiavelli, Mussolini and Fascism. Matteotti pochi mesi prima di morire era andato in Inghilterra, e aveva avuto molti contatti con giornalisti inglesi e laburisti. In quell’epoca la sfida energetica era trovare qualcosa che sostituisse il carbone. L’Italia stava trattando con la Sinclair Oil, la compagnia petrolifera americana, per darle l’esclusiva dello sfruttamento e delle ricerche sul suolo italiano. L’articolo di Matteotti, che trovate anche in rete, dimostra che lui sapeva che i petrolieri americani avevano pagato politici del partito fascista per ottenere quella concessione. Matteotti viene quindi ucciso per una serie di concause: era un oppositore politico che dava fastidio non solo per quello che aveva detto, ma anche per quello che avrebbe potuto dire. E questo getta quindi un’ombra ancora più sinistra sulla faccenda, perché possiamo dire che quello fascista era un regime fortemente corrotto e corruttibile; si presentava come antisistema, anticlericale, contro i grandi industriali, perché come diceva Pasolini, il fascismo è un gruppo di criminali andato al potere, che avrebbe fatto di tutto per arrivarci e che, una volta arrivato, avrebbe fatto di tutto per mantenerlo, cambiando persino le proprie ideologie, se mai ne ha avuta una.”

Hai accennato a quanto ci siano dei contatti con ciò che è successo e ciò che più recentemente hai raccontato in altri tuoi libri. Alcuni sono collocati cronologicamente a metà di questo percorso, dal 1974 al 2024. Siccome questo libro l’hai scritto dopo gli altri, secondo te ci sono legami tra questi eventi che hanno cambiato il modo di guardare alla politica?

“In un certo senso è lontana la storia di Matteotti, ma è lontana anche quella ad esempio di Piazza della Loggia. Ci sono certi discorsi che sono entrati nel dibattito politico comune che un tempo sarebbero stati assurdi. Punti di contatto… è chiaro che questo è un libro di un antifascista, di questo non mi vergogno. Forse bisogna domandarsi, questo è il segno che cerco di lasciare, che cosa vuol dire essere antifascista oggi, ovvero non semplicemente avere in odio il dittatore con il manganello, perché dobbiamo capire anche quanto qualsiasi forma oppressiva sia cangiante. Può anche vincere elezioni democraticamente e fare molti slogan che ci fanno capire questo: il trasformare l’esercizio di democrazia o della libertà in una semplice delega è una forma di fascismo introiettato da noi, non violenta ma pericolosissima. Per conto mio, quello che può fare uno scrittore è appunto lasciare questo semino. Cito De André, che è stato un mio maestro di vita. In un’intervista diceva: “Io non ho cambiato niente, però ho fatto vibrare qualche coscienza, infatti mi accorgo che le mie canzoni dopo tanti anni ancora le ascoltano e quindi vuol dire che forse questo è il compito dell’arte: far vibrare delle coscienze, far riflettere”. L’arte narrativa non migliora le condizioni di vita, ma serve a far vibrare delle coscienze, a far sì che ci siano più ragazzi con le cuffiette che ascoltano e meno fascistoni che vanno al bar Gladio.”

Il libro è diviso in capitoli che raccontano la vicenda di Matteotti, l’ascesa al potere del fascismo e così via. Tra un capitolo e l’altro ci sono questi frammenti, che graficamente hanno un bordo nero diversamente dal resto del libro, che raccontano la storia di Amerigo Dumini. Chi è lui? Perché hai voluto raccontare più nel dettaglio la sua vicenda?

“Matteotti viene rapito da cinque personaggi, di cui Amerigo Dumini è il capobanda, e caricato su una Lancia Lambda sul lungotevere di Roma. Dumini era un assassino ma anche un avventuriero. Si racconta che lui si presentasse così, spavaldo: Amerigo Dumini, nuovi omicidi. Era il classico fascistone violento e che si crogiola nella violenza. Volevamo far vedere la fascinazione di Dumini, oltre ad essere una figura negativa è anche picaresca, avventuriera. Il libro si apre con un duello alla spada tra Dumini e Alberto Giannini, il direttore del Becco Giallo, una rivista satirica con vignette cattive e caustiche su monarchia e fascismo. Letteralmente una spina nel fianco del fascismo, tant’è che fu chiusa nel 1926. L’editore di questa graphic novel è infatti il Becco Giallo, proprio perché omaggia la tradizione di quel giornale. Amerigo Dumini vive sui ricatti di Mussolini, come raccontano anche i libri di Scurati. Finisce in Libia, dove viene catturato dagli inglesi. Lui stesso racconta di essere stato fucilato; gli appare Santa Chiara, scavalca con 17 pallottole in corpo il muro di cinta, si nasconde in un fiume, passa la notte lì e guarisce. Tutto questo per far vedere il cattivo anche nelle sue potenzialità narrative. I cattivi sono personaggi che oggettivamente a volte affascinano, anche nella loro stupidità grossolana. Noi abbiamo voluto quindi contrapporre come paradigma del fascismo non tanto Mussolini, quanto Amerigo Dumini, per far vedere che non è un personaggio da seguire perché proprio stupido.”

Presentazione de “Il delitto Matteotti” nella biblioteca di Tregnago

L’unica donna che noi troviamo in tutto il libro è la moglie di Matteotti, Velia. Ha anche senso che sia l’unica donna rappresentata perché il mondo della politica dell’epoca era prettamente maschile. Vuoi dire due parole su di lei?

“A me piaceva fare narrazioni più equilibrate, ma è chiaro che in quegli anni i protagonisti erano tutti uomini. Mi piaceva però la moglie di Matteotti, infatti faccio una forzatura narrativa: non c’è nessuna invenzione, però Velia non aveva mai parlato a Chieti, ma aveva mandato una lettera che io ho rielaborato. Mi sembrava più efficace narrativamente farla parlare davanti al giudice invece che far leggere la lettera al magistrato. Lei dice: “Questo processo non mi interessa, perché è diventato una farsa. Io la giustizia l’avrò dagli uomini e l’avrò da Dio.” È una scelta secondo me molto dignitosa quella dell’avere giustizia non a tutti i costi e non ai costi di chi sta gestendo il potere, che è ancora più colpevole di chi viene processato per certi versi. Non voglio essere buono verso Dumini e camerati, semplicemente quel processo così, in quel contesto, non aveva nulla se non solo la parvenza di giustizia. Quindi sì, mi è piaciuto raccontare anche di Velia Matteotti, è sempre una testimonianza per dare un piccolo segno. Ho parlato tante volte di semini, di De Andrè che cerca di far vibrare coscienze, era il mio modo per ricordare una persona che è stata vicina a Matteotti in un periodo in cui le donne non erano in primo piano, e non certo per colpa loro.”

Tra l’altro anche al funerale di Matteotti lei non vuole fascisti…

“Sì, quella è una sua lettera fortissima al Corriere della Sera che mostro mentre la scrive. Matteotti era morto subito, ma il corpo viene trovato solamente in agosto. Mussolini dice di fare funerali imponenti a Fratta Polesine, dove Matteotti era nato. Velia scrive però questa lettera dove dice: “Io non voglio nessuna camicia nera e nessun rappresentante del governo, né sul treno che porta mio marito né il giorno del funerale e al cimitero.”

Apprezzo che l’hai notato perché, se uno racconta una storia, ci sono degli elementi secondari dal punto di vista fattuale, ma che dal punto di vista narrativo ti dicono molto, come il duello di Dumini o come appunto il rifiuto delle camicie nere al funerale di Villa Matteotti.”

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