Fiori che sbocciano in primavera in un’armonia di colori e profumi, uccelli alla ricerca di cibo che si alternano tra gli alberi, farfalle di ogni specie che danzano nella natura verdeggiante e tante volte nascosta. È il mondo in cui da anni si è immerso Silvio Scandolara, ex alpinista ampiamente riconosciuto, oggi grandissimo appassionato di botanica e fotografia naturalistica.
In quest’intervista, infatti, ci ha raccontato e mostrato attraverso le sue affascinanti fotografie di questo lavoro, della dedizione che mette in esso e di come lo promuova per coinvolgere adulti e giovani, regalando loro uno sguardo in più sulle bellezze del nostro territorio che solo flora e fauna possono offrire.
Da dove nasce la sua passione per la fotografia naturalistica?
La mia passione è nata da un incidente alpinistico avvenuto nell’ottobre del 2016: aprendo un nuovo itinerario di roccia, ho fatto una caduta di 20 metri che mi è costata quattro interventi chirurgici e due anni per tornare a camminare in modo totalmente autonomo. Nel frattempo, poiché conoscevo delle persone molto brave in botanica, ho cominciato a studiare questo ramo della biologia a tavolino. In breve tempo sono diventato abbastanza bravo nella memorizzazione di nomi e caratteri diacritici, ossia i segni specifici che distinguono un fiore dall’altro; in questo devo essere grato a mia cognata Annamaria e a Maurizio Trenchi, uno dei più importanti botanici di Verona e coautore di “Flora della Lessinia e del Carega”, uno dei tomi che qualsiasi appassionato di botanica dovrebbe avere a casa propria.
Perché le sue fotografie riguardano maggiormente le zone della Lessinia?

Principalmente perché è vicino a casa e, da appassionato di ecologia, ritengo che fare troppi chilometri in automobile sia un modo per inquinare. Credo che la Lessinia sia estremamente bella, interessante e abbia alcune zone lasciate completamente a sé stesse: perciò, in questi luoghi è stata raggiunta una certa forma di spontaneità e possiamo trovare tante cose molto interessanti. Non mi risparmio, però, trenta o quaranta gite all’anno in Alto Adige, dove si trovano specie differenti.
Principali protagoniste dei suoi scatti sono le farfalle. Può dirci qualcosa di più su come mai predilige tali soggetti?
La mia predilezione in realtà è la botanica, ma riguardo alle farfalle sono venuto a contatto con un progetto del Dipartimento di biologia dell’Università di Padova che consiste nello studio di come esse si cibino. Il nome tecnico di quello che noi intendiamo farfalla in realtà è immagine, perché la farfalla è uovo, bruco, crisalide e infine immagine. Conoscendo le piante, questo studio ha trovato in me vita facile e, con adeguato materiale fotografico, ossia con fotocamera e obiettivi professionali, è stato semplice anche fare delle bellissime immagini. Oggi, per le esperienze acquisite, ritengo di poter a livello provinciale prendere posizioni e anche dibattere di problematiche, metà. Studio tutti i giorni sia botanica sia i lepidotteri e ho 11.500 foto di farfalle, penso una delle collezioni fotografiche più complete in ambito Veneto.






Come fa per divulgare e condividere queste sue grandi passioni?
Io scrivo per “Quaderno della Lessinia” e ho pubblicato circa 40 articoli sui quotidiani de L’Arena di Verona, Giornale di Vicenza, Bresciaoggi, Verona Fedele, Fanpage, Verona Tomorrow. Altri hanno persino riportato i miei articoli altrove, infatti ogni tanto qualcuno mi viene a dire di avermi visto su testate come il Corriere del Veneto. Tutto questo è frutto del mio impegno nel divulgare in termini precisi limitando al massimo la terminologia scientifica, senza però discostarmi minimamente dai pilastri scientifici consolidati, per far capire ciò che c’è di bello a livello naturalistico e di biodiversità. Faccio sempre anche tra le dieci e le quindici conferenze all’anno, e questo mi consente di avere il polso della situazione nei confronti di un pubblico medio che può ascoltare. Ho imparato ad usare un certo linguaggio e a fare divulgazione “popolare”. Faccio queste conferenze a livello popolare per rendermi conto di quello che devo dire, come lo devo dire e come mi devo spiegare perché l’attenzione sia tenuta alta e le persone siano coinvolte. Ormai mi conoscono migliaia di persone e il buon rapporto che ho con i quotidiani veneti mi fa capire che c’è molto interesse. Inoltre, collaboro un pochino con le amministrazioni comunali della valle e della zona e sono iscritto a cinque o sei gruppi. Ogni anno ho l’elenco delle quote associative da smarcare, ma è fondamentale essere iscritti solo per lo scambio di idee fra pari nei gruppi naturalistici come WWF, Verona Birdwatching, amici del Parco Valpolicella, quello che conta è ciò che riesce a portare a casa la singola persona, perché durante le conferenze certi messaggi passano.
Che speranze ha per il futuro? Crede che il suo lavoro possa coinvolgere e sensibilizzare anche i giovani ad avere uno sguardo in più sulle bellezze del nostro territorio?
Dico che i ragazzi curiosi sono alle scuole medie inferiori, mentre alle scuole medie superiori e all’università, invece, sono veramente pochi. Le persone più curiose sono però gli adulti, che vedono che il mondo è cambiato: hanno un parametro di riferimento tra allora, trenta o quarant’anni fa, e oggi, dove vedono il degrado. I giovani che vedono ciò che c’è ormai sono presi da interazioni mediatiche, tecnologiche, e poco dallo studio degli eventi naturali sul campo. Perché stare in silenzio ad aspettare l’uccellino è difficile. Camminare per ore è faticoso. Per questo quelli che hanno a cuore questa attività sono tutti bravi, sono però pochi. Io direi che solo la scuola, intervenendo e facendo intervenire persone come me che parlano appassionatamente, può fare qualcosa. Io ad esempio vado all’istituto agrario Bentegodi, alle scuole medie della zona, e facciamo tutto gratis. Questa è la mia risposta, la scuola.












