Covid, la testimonianza di due medici: «Abbiamo paura, ma non indietreggiamo»

Il decreto legge di Natale serve a scongiurare un proliferarsi del virus. La situazione è critica, come testimoniato da due medici impegnati nei reparti Covid di Verona, eppure nessuno di loro rinuncia al proprio lavoro in prima linea.

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Il 19 dicembre 2020, dopo la conferenza stampa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte in cui ha illustrato il nuovo decreto legge di Natale, sono entrate in vigore nuove misure di contenimento per fronteggiare l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo. Nel decreto si definiscono le regole a cui i cittadini dovranno attenersi in termini di spostamenti, acquisti, cene, visite ai parenti per tutto il periodo delle feste di Natale, Capodanno ed Epifania. Vengono inoltre stabilite le sanzioni a cui si andrà incontro in caso di mancato rispetto delle stesse.

Mentre nei giorni feriali di 28, 29, 30 dicembre e 4 gennaio l’Italia è considerata zona arancione, quindi con libertà di spostamenti ma rimanendo sempre nel proprio comune di residenza, le giornate festive e pre-festive sono colorate di rosso. Non si può uscire di casa se non per lavoro, necessità e salute presentando comunque l’autocertificazione. Sono chiusi anche negozi, centri commerciali e ristoranti, che possono però consegnare a domicilio. Per quanto riguarda cenoni e feste, è possibile ospitare a casa al massimo due persone non conviventi, rispettando comunque il coprifuoco fissato per le 22 e ricordando sempre di tenere la mascherina, oltre che il distanziamento di almeno un metro.

Nonostante questi tentativi da parte del Governo di riuscire a contenere l’epidemia, molti esperti ritengono non più in discussione una terza ondata di Coronavirus in Italia: quello che ci si chiede è la sua entità, cioè se sarà più o meno grave delle precedenti. Si pensa, infatti, che l’inizio del 2021 non segnerà la fine della pandemia, anzi, secondo molti medici ed esperti in questo campo, bisognerà convivere con il virus fino all’arrivo del vaccino. Anche Luca Zaia, governatore del Veneto, ha parlato di una terza e addirittura di una possibile quarta ondata, ribadendo la massima preparazione e responsabilità da parte di tutti.

Parlando con dei medici costretti ad “abbandonare” temporaneamente la loro specialità per contribuire alle lotta contro il Covid, sono emerse alcune testimonianze degne di essere ascoltate.

Infermieri impegnati nei reparti Covid

«A differenza di marzo – affermano due medici impegnati nei reparti Covid di Verona che abbiamo raggiunto e che preferiscono mantenere l’anonimato – i pazienti che corrono al pronto soccorso al primo sintomo sono davvero tanti: non è facile convincerli a fare il contrario dal momento che ci vuole minimo una settimana per prenotare un tampone e tre-quattro giorni per ottenere il risultato. L’affollamento degli ospedali è quindi di routine, data la maggior velocità nel fare tamponi e tac. Per chi ha sintomi Covid, si cerca di capire che tipo di contatti si possa aver avuto: è chiaro quindi che un ragazzo o una persona adulta con una vita sociale attiva è diverso rispetto a una che conduce una vita più ritirata».

Nonostante siano protetti da camici, guanti, mascherine e visiere protettive, la loro esposizione al virus è comunque presente e se viene effettuato il tutto all’interno di un luogo chiuso e non arieggiato, si rischia di creare un ambiente contagioso dove è possibile infettarsi. Moltissimi medici risultano ogni giorno positivi mettendo, non per colpa loro, in difficoltà gli ospedali che stanno affrontando l’emergenza Covid19: la paura è quindi una costante in quest’ambiente, soprattutto per coloro che, tornati a casa, trovano i figli o i genitori anziani ad aspettarli.

La mano di un medico su quella di un paziente.

«La situazione è molto, molto impegnativa. Nessuno di noi si tira indietro ma tutti abbiamo ogni giorno decine di pazienti che ci chiamano e ci chiedono risposte. – proseguono i due medici, di cui uno chirurgo d’urgenza che ormai da marzo si occupa esclusivamente delle terapie intensive Covid. – C’è la corsa folle al tampone e non solo per la paura della malattia. Sono tantissimi quelli che ce lo chiedono con urgenza per poter far riammettere i ragazzi a scuola, per poter tornare al lavoro, per poter incontrare familiari anziani. E non c’è disponibilità per tutti subito, tenendo anche conto che i test rapidi vengono fatti in sicurezza solo a chi ne ha veramente bisogno».

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