In occasione del 49° anniversario della fondazione di Medici Senza Frontiere, domenica 20 dicembre abbiamo raggiunto telefonicamente Giovanni Di Cera, coordinatore del gruppo di Verona di MSF, «la più grande organizzazione privata indipendente al mondo sul soccorso medico», citando le parole del coordinatore stesso. Con lui abbiamo scoperto la storia di questa associazione umanitaria, mettendone in luce i punti di forza e analizzandone la diffusione a livello globale. Nello specifico, Di Cera ci ha illustrato l’aiuto che viene fornito a Verona, mirando soprattutto all’informazione, molto importante per la loro missione.

Signor Di Cera, il 22 dicembre è il 49° anniversario della fondazione della vostra associazione, com’è nata “Medici Senza Frontiere”? Qual era lo scopo per il quale è stata creata?
Possiamo dire che siamo nati per una “disobbedienza”: ai medici che operavano negli anni Sessanta in Biafra, regione della Nigeria in cui in quel periodo era in corso una guerra di secessione, veniva impedito di parlare e dire cosa vedevano, a cosa stavano assistendo. C’era un genocidio in corso, per loro, i medici, era una grande frustrazione non poter raccontare al mondo a cosa stessero assistendo: così, per sollevare un po’ anche gli animi delle persone, tornando a Parigi il 22 dicembre del 1971, medici e giornalisti decisero di fondare medecins sans frontieres. Dopodiché, all’azione umanitaria seguì anche quella dell’informazione, della sensibilizzazione dei contesti in cui viviamo: per noi quindi è molto cara, oltre all’azione medica, quindi salvare vite umane, anche l’azione di testimoniare: in francese noi usiamo il gergo temoignage, che è qualcosa di più della testimonianza, è anche in parte la denuncia delle situazioni che noi viviamo, le ingiustizie, l’iniquità, perché siamo certi che se facciamo scaturire nell’opinione pubblica la consapevolezza di cosa si sta costruendo nelle aree in cui operiamo, l’opinione pubblica può dare un grande contributo alla risoluzione dei problemi. Ecco quindi che dal nostro statuto è previsto un soccorso alle persone in pericolo, alle popolazioni fragili, a poi quella di testimoniare la loro condizione, perché non li vogliamo abbandonare al loro destino.
A chi è diretto il vostro aiuto? Vi concentrate su una sola realtà oppure siete aperti a qualsiasi tipo di necessità?
Innanzitutto noi ci rivolgiamo alle popolazioni fragili, alle popolazioni che sono in situazioni di conflitto piuttosto che di epidemie… ne sappiamo qualcosa oggi più che mai con il CoVid-19. Abitualmente noi operiamo nei contesti di grandi epidemie, avendo così un ventaglio di conoscenze che in questo momento è particolarmente prezioso, sia a livello nazionale che in tutti i progetti che abbiamo in giro per il mondo. Noi, quindi, ci rivolgiamo, ripeto, alle popolazioni fragili, con risorse limitate, che sarebbero abbandonate a loro stesse se, durante eventi straordinari come guerre, epidemie, malnutrizioni, disastri naturali, non ci fossero organizzazioni indipendenti come la nostra che vanno a soccorrerle con la nostra equipe di 40mila operatori in quasi 70 Paesi nel mondo. Dove c’è fragilità, dove c’è assenza di assistenza sanitaria, noi riteniamo che sia lì il nostro posto, dove dobbiamo essere.
Non vi concentrate solo sull’aiuto pratico, ma anche sul denunciare e informare le persone riguardo a malattie rare, giusto?
Esattamente, innanzitutto direi che non parliamo di malattie rare, ma malattie, o patologie, dimenticate. Sono quelle patologie che riguardano popolazioni specifiche influenzate spesso da condizioni climatiche, piuttosto che da condizioni geografiche, o di estrema povertà. Queste patologie, spesso, necessitano di ricerca, innovazione, diagnosi, diagnostica e simili. Il nostro impegno quindi è rivolgersi ad assistenza e a dare risalto a quelle patologie che spesso vengono trascurate: posso parlare per esempio del morso di serpente, piuttosto che la leishmaniosi, piuttosto che la malattia del sonno, che forse a noi, paesi occidentali nordici, dicono poco, ma che in certi contesti creano davvero dei grossi problemi sulla salute delle popolazioni. Si immagini che nel mondo quasi 14-15 milioni di persone muoiono semplicemente perché non possono accedere ai farmaci, o perché sono troppo costosi o perché non si fa abbastanza ricerca. Sono cioè popolazioni che non fanno mercato, che non sarebbero in grado di remunerarlo: ecco perché nel 1999, quando ci è stato riconosciuto il premio Nobel per la Pace, la nostra organizzazione ha lanciato una campagna per l’accesso ai farmaci essenziali, proprio perché tutti possano avere l’accesso a quei medicinali considerati necessari in quello specifico contesto. Quindi parliamo di malattie dimenticate, piuttosto che malattie rare, che invece hanno un altro tipo di attenzione.

Pensa che l’informazione sia necessaria per la cura di certe patologie?
All’azione umanitaria per noi è molto importante l’informazione e in alcuni casi la denuncia, crediamo infatti che la consapevolezza dell’opinione pubblica possa fare cambiamento: non tutte le patologie si possono guarire con pillole, cerotti o tagli, molte situazioni si possono cambiare anche con una mobilitazione generale, globale. Per questo è importante informare, prendere coscienza, e poi ognuno dare il proprio contributo su certi problemi umanitari che spesso hanno risvolti di grande grande impatto.
Medici Senza Frontiere si è diffuso mano a mano in giro per il mondo, arrivando nel 1999, come ha anticipato lei, ad ottenere anche un premio Nobel per la Pace. Secondo lei perché ha avuto questo successo? Cos’ha di diverso dalle altre associazioni?
Tornando un po’ alle origini, il 22 dicembre del 1971 si costituisce questo gruppo di medici e giornalisti a Parigi… ad oggi la sede internazionale è a Ginevra, e ormai abbiamo 24-25 sezioni in giro per il mondo, quindi siamo la più grande organizzazione privata indipendente al mondo sul soccorso medico. C’era, e c’è, l’esigenza di avere un’organizzazione che sia efficiente, efficace, che consideri che c’è gente sotto le macerie quando avviene un evento straordinario, come un’inondazione, un conflitto, un terremoto: questo il motivo per cui siamo un’organizzazione di emergenza. I fattori di 24, 48, 70 ore sono per noi determinanti: c’è ancora la possibilità di salvare molta gente, ed ecco quindi la necessità dell’efficienza e dell’efficacia della nostra azione: entro determinato tempo bisogna partire, bisogna arrivare sul luogo, perché là, sotto le macerie c’è qualcuno a cui si può restituire la possibilità, la speranza di vita. Forse la ragione per cui molte persone, molte famiglie al mondo ci sostengono, sono appunto i nostri principi guida: l’etica medica, innanzitutto; l’imparzialità, non facciamo nessun tipo di distinzione, di etnia, di filosofia, di origine, di colore di pelle, tutti gli esseri umani hanno il diritto alla vita e quindi devono essere soccorsi; la neutralità, non prendere posizioni, non tocca a noi prendere posizioni, perché questo ci impedirebbe di poter poi svolgere le nostre azioni umanitarie; l’indipendenza, non dipendere dall’agenda di qualcuno o di qualcosa ma muoversi secondo l’etica medica, dove c’è più bisogno, noi dobbiamo essere lì. Nel 1999, il 10 dicembre, ci è stato riconosciuto il Nobel per la Pace per l’azione umanitaria che facciamo in tutti i continenti, ma soprattutto per il riconoscimento dell’azione medica che i nostri personali operatori fanno in tutto il mondo, tra cui anche la campagna per l’accesso ai farmaci essenziali per fare azioni di sensibilizzazione affinché tutti possano accedere ai farmaci.

A quali realtà si dedica MSF nel territorio veronese?
Sul nostro territorio, a Verona e nel Veneto in generale, non svolgiamo attività sanitaria, di cui c’è così tanto bisogno altrove dove proprio non c’è nessun tipo di aiuto, per cui invece a Verona noi supportiamo l’associazione dei volontari, non necessariamente del personale sanitario, ma anzi dedichiamo a tutti coloro che credono nella serietà e dell’affidabilità della nostra associazione un po’ del nostro tempo per sostenere Medici Senza Frontiere con azioni di informazione, di sensibilizzazione e di raccolta fondi, così necessari per poter poi mandare il personale in giro per il mondo ad aiutare le popolazioni in pericolo. Operiamo con la società civile in generale, in particolare con il mondo dei giovani, quindi con le università, con i licei, con le scuole medie, presentando e portando avanti i nostri progetti come Scuole Senza Frontiere e altri mirati all’informazione. Noi abbiamo il privilegio di vedere e sentiamo il dovere morale di raccontare. Ognuno poi si farà tesoro di quelle che sono testimonianze dei nostri operatori, tra cui numerosi giovani veronesi in giro per il mondo. Qui a Verona svolgiamo un’intensa attività rivolta alla consapevolezza, a prendere coscienza di che mondo viviamo. La testimonianza per il vissuto, il “io ho visto, io vi racconto”, ha, da un punto di vista dell’informazione, anche momenti importanti piuttosto che un reportage o piuttosto che un “mi hanno raccontato”.
Come si sono attivati i “Medici Senza Frontiere” nel periodo CoVid-19?
Va detto che noi viviamo quasi quotidianamente nell’epidemia, potrei ricordarle il morbillo, che qui forse è sconfitto anche se ci sono dei casi nel nostro territorio; potrei raccontarle di ebola, che sono malattie terrificanti ma che comunque le abbiamo sempre tenute distanti… ebbene, nei contesti in cui noi operiamo, quotidianamente abbiamo acquisito quell’esperienza, quel know out di conoscenze per gestire le epidemie, e questo ci è tornato prezioso nell’occasione del CoVid-19. Questa, essendo una pandemia globale, è un fenomeno che non tutti abbiamo ancora la consapevolezza di quanto sia grave per la ripercussione sulla vita, sulla salute e anche sull’economia. Noi abbiamo dato un contributo in Italia, a marzo soprattutto, a Lodi, dove era esploso il focolaio di epidemie: abbiamo contribuito nelle case di cura, nelle carceri, soprattutto in quei contesti dove c’è la marginalità… dove c’è l’uomo debole, noi cerchiamo di essergli affianco. Continuiamo ad operare in Italia, oltre che in tutti i Paesi del mondo in cui alle guerre si sono aggiunte, appunto, le epidemie. Invochiamo proprio a darci una mano, soprattutto in questo periodo: finché ci sono esseri umani che soffrono, non possiamo essere tranquilli, non possiamo passare un Natale sereno sapendo che c’è gente che soffre e muore anche in queste giornate, è una presa di coscienza che tutti dobbiamo avere.
Di Cera ci ricorda una delle tante iniziative di Medici Senza Frontiere: un manifesto in cui chi vuole può dare il proprio contributo sottoscrivendo, lo scopo di questo è fornire strumenti adeguati, un vaccino e terapie efficaci in modo equo, anche agli stati più poveri, per sconfiggere insieme il CoVid-19. Questo è il link: www.Msf.it/manifestocovid19