Sport e disabilità, finalmente la svolta

Negli scorsi giorni il Ministro delle Politiche Giovanili e dello Sport, Vincenzo Spadafora, ha annunciato cinque decreti approvati dal Consiglio dei Ministri del 24 novembre 2020 che riguardano la riforma dello sport e attuano la Legge delega 86/2019.

Atleta di handbike
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Può realmente esistere un binomio tra sport e disabilità? La possibilità che questi due elementi, posti apparentemente a poli opposti, possano essere resi complementari? La risposta è un “Sì” detto con tanta convinzione. Ciò diviene realtà grazie alle cinque norme giuridiche emanate da parte del ministro Vincenzo Spadafora e approvate dal Consiglio dei Ministri durante il novembre 2020, che riguardano la riforma dello sport e le sue funzioni nella società.

Il ministro Vincenzo Spadafora

Tali decreti hanno portato ad una vera e propria svolta storica, ritenendo le persone affette da patologie come risorse per la collettività.

L’identità sociale del disabile nel corso della storia dell’umanità è stata oggetto di alterni destini, che si sono concretizzati spesso in epiteti denigratori: durante l’epoca paleolitica, compare la disabilità fisica a cui si attribuisce un significato positivo, sottolineando la diversità della natura.

Nel pensiero greco (alimentato dal concetto dell’uomo perfetto) rappresenta una condanna. Le prime società panelleniche ritengono che il disabile sia frutto delle ire degli dei, venendo, quindi, al mondo come castigo divino. La civiltà romana, come quella greca, predilige la perfezione e la misura e, anche in questa, coloro che erano dotati di disabilità erano ritenuti inferiori. Durante epoca medievale rimane lo stigma negativo: è frutto dell’intervento di forze diaboliche (tra questi, coloro affetti da nanismo, anche durante il periodo rinascimentale, sarebbero diventati giullari di corte). L’arrivo dell’Illuminismo porterà all’evolversi della medicina e quindi alla visione di persone affette da patologia come strumento di studio e di ricerca. La fine della prima guerra mondiale produce un elevatissimo numero di disabili (8 milioni) e grazie a Ludwig Guttmann (1899-1980) riuscirono ad entrare nella società usufruendo dello sport come riabilitazione. Attualmente, nel 2001, l’Organizzazione Mondiale per la Sanità (OMS) ha emanato studi e indirizzi che hanno portato ad intendere la disabilità come uno stato di salute in un ambiente sfavorevole.

Luca Pancalli, presidente del Comitato Italiano Paralimpico

Concludendo l’excursus storico sul concetto di disabilità, queste nuove leggi riconoscono pari opportunità e diritti anche agli atleti paralimpici nei gruppi sportivi, militari e nei corpi civili dello Stato. Luca Pancalli (Presidente del Comitato Italiano Paralimpico) dice, infatti: «E’ una notizia straordinaria che come Movimento Paralimpico attendevamo da quasi vent’anni. Grazie allo sport possiamo dire di aver abbattuto un’altra barriera e di aver aggiunto un altro prezioso tassello a quella rivoluzione culturale silenziosa che stiamo, come Movimento, portando avanti con onore e coraggio».

La riforma è stata creata grazie a una proposta di legge del 2019 della parlamentare e campionessa paralimpica Giusy Versace. Lei stessa spiega: “Le disparità esistenti tra atleti nei gruppi sportivi derivano dal fatto che nessuno aveva modificato la normativa.”. Aggiunge poi che “gli atleti paralimpici potranno avere uno stipendio, dei contributi, tutela sanitaria e la possibilità, una volta conclusa la propria carriera, di congedarsi o prendere servizio nel corpo di appartenenza”.

Giusy Versace

Questo rappresenta una svolta a favore della pari dignità per tutti, poiché molte persone disabili vedono lo sport come un’opportunità di vita e di crescita professionale.

Considerando l’Italia, troviamo un numero di 2,5 milioni di disabili, ovvero il 5% della popolazione, dai 6 anni in su, che vive in famiglia. Tra questi, vi sono 1 milione di disabili motori e 1 milione di disabili sensoriali.

Potremmo domandarci allora quanti uomini e donne siano toccati dalla riforma. Giusy Versace risponde dicendo: “Non sono in grado di dare un numero esatto, ma è certo che questa norma gioverà ai gruppi sportivi, alla crescita del Movimento Paralimpico e a tanti atleti e ragazzi con disabilità che saranno ancora più stimolati dall’ambizione di trovare in un gruppo anche opportunità lavorative future”.

I disabili sono, infatti, spesso vittime di disuguaglianze: la capacità di spostarsi liberamente, il diritto all’istruzione (come garanzia della loro dignità umana, nonché come mezzo indispensabile per la loro autonomia e per la capacità di compiere scelte). Infine, proprio la disoccupazione provoca una significativa perdita della libertà ed è una delle cause principali di esclusione sociale. Nel mercato del lavoro, infatti, considerando la popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, risulta occupato solo il 31,3% di coloro che soffrono di gravi limitazioni, contro il 57,8% di coloro che ne sono privi.

Per quanto riguarda lo sport, l’attività fisica può contribuire allo sviluppo delle relazioni sociali, offrire una diversa percezione di sé e può avere anche un effetto positivo sulla salute. Attualmente, però, solo il 9,1% dei disabili pratica attività sportive contro il 36,6% del resto della popolazione. In conclusione quasi l’80% delle persone affette da patologie è inattivo.

Atleti di handbike

Oggi lo sport è una parte fondamentale e importante delle nostre vite. L’attività fisica non solo porta giovamento muscolare, ma anche psicologico. Va oltre l’integrazione o la semplice fisioterapia. Parliamo di momenti di incontro, ma anche di competizione sportiva.

La nascita di questa norma ha portato all’evolversi della società Paralimpica e della condizione sociale degli atleti; troppo spesso, infatti, queste persone con deficit cognitivi o motori si ritrovano escluse da spazi e attività. Politiche sociali inadeguate, disinteresse, paura della diversità, menefreghismo sono le profonde cause di queste ingiustizie. Lo sport, con i suoi valori, diventa protagonista, aiutando a superare e gestire le fragilità e permettendo a tutti di credere in se stessi.

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Amo il mio nome, dotato di una duplice sfaccettatura: dolce e affettuosa, ma, al contempo, forte e decisa. Mi chiamo Camilla e il mio carattere rispecchia questa duplicità. Amo scrivere e leggere romanzi, anche storici, perché possono farci vivere momenti di vita passata da non dimenticare. Però i libri fantasy e di fantascienza mi hanno aperto le ali della fantasia, portandomi a trovare sublime anche la più minuziosa descrizione. Amo l’aria aperta, vivere ciò che può essere vissuto, percepire il vento sulle guance e i raggi solari che si intrecciano alle ciglia. Mi piace l’attività fisica: da cinque anni pratico tennis, seppur la mia carriera sportiva nasca con la danza classica e la pallacanestro. Suono il pianoforte che, al pari di me, è dotato di note alte e basse, tasti bianchi e neri. Apprezzo tutte le materie nelle loro diversità: da quelle umanistiche centrate sul pensiero, la filosofia e l’animo umano fino a quelle scientifiche che con numeri e formule ci portano alla statistica, al concetto illuminista e alla ragione. Avere 15 anni vuol dire trovarsi nell’inquieta adolescenza, da attraversare e vivere cercando di trovare ogni giorno la sfaccettatura migliore.

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