Viviamo in un mondo sempre più complesso e connesso. Ai giorni nostri vivere senza i social sembra anormale e in modo inconscio ci influenzano in qualsiasi ambito della nostra vita. Attraverso di essi le persone comunicano le proprie idee, i propri valori, le proprie aspirazioni e progetti; troppo spesso, però, assistiamo purtroppo all’utilizzo di essi come uno strumento per insultare e denigrare le persone e inneggiare alla violenza o a vecchie ideologie del Novecento.
Benché il punto di vista della scrittrice britannica Evelyn Beatrice Hall, espresso nella frase “non sono d’accordo con quello che dici, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo”, sia sempre significativo, poiché a nessuno deve venire meno lo spirito critico, non per questo risulta opportuno criticare in modo violento come avviene sui social. Al contrario, bisogna saper rispettare il pensiero degli altri, tenendo conto che sulla terra ci sono sette miliardi di persone con sette miliardi di pensieri diversi.
Sappiamo poi che i social network hanno influenza anche nel mondo del lavoro, infatti, oltre ad essere usati per fare inserzioni pubblicitarie, sempre più spesso sono usati dai datori di lavoro per controllare i profili social dei candidati e la loro immagine pubblica, tanto che circa il 25% delle candidature vengono rifiutate proprio per le parole o le immagini inappropriate pubblicate. Inquadrata quindi l’importanza e il pericolo del social in quanto strumento di discriminazione, passiamo ad analizzare le situazioni che sono avvenute in queste settimane.

Lo sappiamo tutti, le applicazioni di interazione digitale e di messaggistica appartengono e sono gestite da aziende private, quindi nessuno dovrebbe scandalizzarsi se al presidente uscente degli Stati Uniti d’America sono stati bloccati gli account di qualsiasi piattaforma a cui è iscritto (addirittura Youtube) dal momento che ha fomentato l’assalto al Capitol Hill; il problema sorge se guardiamo i fatti dal punto di vista della democrazia e dei diritti che da essa ne conseguono. I principali capi di governo europei e americani (considerando che in questo momento negli Usa ci sono due presidenti) hanno condannato tutti la violenza dell’assalto, ma hanno anche espresso preoccupazione per quello che è avvenuto al presidente ancora in carica, perché il fatto che aziende private così importanti con funzioni pubbliche di portata mondiale abbiano imbavagliato la voce della persona che in questo momento è ancora formalmente il presidente in carica (indipendentemente dal fatto che sia uscente o che non goda della simpatia del mainstream), costituisce un grave precedente ad azioni di vera e propria censura.
E intanto, mentre si isola ulteriormente un presidente già da tempo perdente e quasi uscente, in altre parti del mondo viene permesso che le piattaforme social vengano utilizzate per veicolare messaggi violenti, minacciare rappresaglie militari o addirittura auspicare la scomparsa di stati nazionali che godono del riconoscimento internazionale senza poi ricevere nessun tipo di limitazioni.

Tuttavia, quello di Trump non è un caso isolato: anche in Italia proprio in questi giorni, quasi sull’esempio di quello che si è verificato negli USA, sono avvenuti fenomeni simili, pensiamo all’account Twitter ufficiale del giornale diretto da Vittorio Feltri, il quotidiano “Libero”, oppure alla pagina Facebook di Diego Fusaro, filosofo completamente e fieramente anti-globalista che da tempo denuncia il potere eccessivo delle aziende private nel censurare o limitare l’espressione della parola. Vale la pena menzionare anche la chiusura dell’account Facebook della sezione di Treviso del partito di Fratelli d’Italia.
Arrivati alle conclusioni, sorgono spontanee alcune domande: perché si strizza l’occhio alle minacce inviate tramite i social di uomini o paesi illiberali mentre nelle democrazie si pratica la censura in modo intransigente? È evidente che i social network siano persino più restrittivi delle costituzioni democratiche nazionali, dove viene garantita in modo chiaro la libertà di espressione e pensiero. Notiamo infatti che, nonostante i social network abbiano una policy che è uguale per tutti gli utenti che vogliono usare la piattaforma, questa viene applicata solo in alcuni casi, mentre in altri si preferisce tralasciare. Ma poi, i social tutelano realmente la libertà di espressione?
La risposta è no, altrimenti non si spiegherebbero tutti i casi di censura che ho precedentemente citato. I social network sono luoghi virtuali dove la libertà di esprimersi arriva fino a un certo punto, quando poi si toccano o si attaccano in modo sensibile gli interessi o le impostazioni ideologiche delle piattaforme, allora esse, per tutelarsi, applicano la censura senza se e senza ma. È un dato di fatto.