È il 1898 quando la chimica e fisica polacca Marie Curie e il marito Pierre Curie scoprono il radio (Ra), elemento chimico che ha 88 come numero atomico e da cui il termine “radioattivo” trae origine.

Al giorno d’oggi se si parla di “radioattività” tutti pensiamo subito a qualcosa di distruttivo, che provoca morte e malattie. Fino a pochi anni fa, invece, non era così.

Agli inizi del 1900 il radio era considerato un prodotto miracoloso, ritenuto dagli scienziati addirittura capace di sconfiggere il cancro.
Venivano messi in vendita prodotti costosi che contenevano questa sostanza come ad esempio: rossetti, creme per il viso, dentifrici, acqua dalle proprietà rigeneranti, burro, latte…
Quando le persone vedevano un prodotto promosso come “radioattivo” non esitavano a comprarlo; per questo alcuni commercianti ne approfittavano spacciando per radioattivi articoli che in realtà non lo erano.

Il radio veniva prescritto dai dottori per curare svariate malattie.
“La radioattività è l’essenza stessa della vita […] previene la pazzia, stimola le emozioni nobili, ritarda la vecchiaia e crea una splendida, lieta vita giovanile”, queste le parole del dottor Charles G. Davis, pubblicate sull’American Journal of Clinical Medicine.
Nel 1917 venne creata a Orange, nel New Jersey, la United States Radium Corporation, un’azienda che forniva ai militari durante la prima guerra mondiale orologi radioluminescenti realizzati con l’utilizzo di una speciale pittura, chiamata Undark, contenente il radio.
Vennero assunte circa 60 donne che avevano il compito di mescolare la sostanza radioattiva in polvere con colla ed acqua. Le ragazze, che avevano il compito di dipingere con la vernice le lancette degli orologi, venivano invitate dai responsabili dell’azienda a umidificare il pennello con le labbra per dargli una forma a punta e ciò provocava l’ingestione di notevoli quantità di radio.

I vertici dell’impresa rassicuravano le ragazze sul fatto che la quantità di radio utilizzata era talmente esigua da risultare del tutto innocua, mentre in realtà erano consapevoli della pericolosità di quell’elemento, tant’è che a contatto con la sostanza i chimici dell’azienda si proteggevano con schermi di piombo e maschere.
Le ragazze, inconsapevoli del pericolo a cui si esponevano, spalmavano la dannosa sostanza su labbra, unghie e denti affinché brillassero al buio, da cui il loro soprannome di ragazze fantasma.
Ben presto le operaie iniziarono ad ammalarsi e ad accusare una serie di strani sintomi: caduta dei denti, dolore alle gengive e alla mandibola, sfoghi di acne, mal di schiena, alterazioni nella composizione del sangue, problemi alle articolazioni e difficoltà motorie.

Alcune, dopo non molto, morirono; la prima fu Amelia Maggia, una giovane italo-americana di soli 24 anni.
L’azienda, che aveva sempre rifiutato l’addebito di ogni responsabilità, persisteva nel negare ogni possibile collegamento tra questi tragici eventi e l’attività lavorativa svolta dalle operaie che, anzi, venivano derise dalla collettività.
Fino a quando cinque ragazze, chiamate in seguito“Radium Girls” e guidate da Grace Fryer, chiamarono in causa la U.S. Radium Corporation.
Le ragazze, dopo un lungo processo, raggiunsero un’intesa con la controparte che prevedeva un risarcimento di 10.000 dollari e una rendita vitalizia di 600 dollari all’anno e il pagamento di tutte le spese mediche e legali a carico della società.
Seguendo il loro esempio altre operaie contaminate dal radio fecero causa alla loro azienda ottenendo, questa volta, una sentenza favorevole.
Le loro storie dopo pochi anni vennero quasi dimenticate, ma il sacrificio di queste coraggiose donne merita di essere ricordato, perché grazie a esse gli Stati furono costretti a disciplinare le malattie professionali, offrendo quindi maggiori garanzie a tutti i lavoratori.