Nomadland, il film premiato per la sua diversità

Due giorni fa a Londra si è tenuta la 74esima edizione dei Bafta Awards e ad uscirne con un grande numero di riconoscimenti è il film Nomadland, di Chloé Zhao.

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Il film premiato ai Bafta Awards
Tempo di lettura articolo: 3 minuti

L’11 aprile 2021 alla Royal Albert Hall di Londra si è tenuta la 74esima edizione dei Bafta Awards (The British Film Academy), ovvero i riconoscimenti al mondo del cinema inglese che sono presieduti dalla British Academy of Film and Television Arts.

La copertina di Nomadland

In questa cerimonia di premiazione, che si è svolta senza pubblico a causa delle restrizioni del Coronavirus, i Bafta hanno premiato la diversità, con molti candidati da ogni parte del mondo e un’ampia rappresentanza femminile, dopo le polemiche per il predominio di interpreti bianchi e per l’assenza di registe donne tra le candidate dello scorso anno. 

Il film che ha ricevuto più riconoscimenti è “Nomadland” di Chloé Zhao, premiato con il titolo di Miglior film dell’anno con la miglior regia, miglior fotografia a Joshua James Richard e miglior attrice protagonista a Frances McDormand.

Grazie al suo successo ai Bafta, Nomadland ha spalancato le porte degli Oscar, che si terranno il 25 aprile 2021 a Los Angeles, candidandosi come favorito. 

Nomadland: trama e ideazione

Nomadland è un film del 2020 che è stato scritto, diretto, co-prodotto e montato da Chloé Zhao.

Il progetto per l’idealizzazione del film è nato grazie all’incontro tra Frances McDormand e Chloé Zhao agli Independent Spirit Awards 2018, a cui entrambe erano candidate.

Le riprese si sono tenute nell’autunno del 2018 e il film è stato annunciato solo nel febbraio 2019, con l’acquisto dei diritti di distribuzione statunitensi da parte della Fox Searchlight Pictures.

Ha ricevuto numerosi riconoscimenti, tra cui un Golden Globe per il Miglior film drammatico e per Miglior regista e un Leone d’oro alla 77esima Mostra del Cinema della Biennale di Venezia.

La trama racconta la storia di Fern, una sessantasette che, dopo aver perso il marito e il lavoro durante la Grande Recessione, lascia la città di Empire, in Nevada, per attraversare gli Stati Uniti Occidentali su un furgone.

Lungo questo cammino incontrerà diverse persone che, come lei, hanno deciso o sono stati costretti a vivere una vita da nomadi moderni, al di fuori delle convenzioni sociali.

Chloé Zhao

Chloé Zhao, il cui vero nome è Zhao Ting, è nata a Pechino il 31 marzo 1982 ed è regista, sceneggiatrice, produttrice cinematografica e montatrice.

E’ stata studentessa a Londra per diversi anni, fino a quando ha deciso di fare di Los Angeles e degli Stati Uniti la sua seconda patria. I suoi primi passi avvengono tra il 2008 e il 2011, quando scrive, dirige, monta e produce alcuni cortometraggi presentati a diversi festival statunitensi. 

Chloé Zhao

Quattro anni dopo, esordisce come regista del film Songs My Brothers Taught Me, di cui è l’autrice, montatrice e co-produttrice. Il film viene presentato in concorso al Sundance Film Festival e alla Quinzaine des Réalisateurs del 68º Festival di Cannes, ottenendo anche una candidatura come miglior film d’esordio agli Independent Spirit Awards 2016.

Nel 2017 scrive, dirige e co-produce The Rider – Il sogno di un cowboy, nel quale Chloé Zhao decide di utilizzare un cast composto maggiormente da attori non professionisti, tra cui il protagonista Brady Jandreau: quest’ultimo è un mandriano che aveva conosciuto durante le riprese di Songs My Brothers Taught Me e la cui vicenda personale è alla base della storia del film. 

Chloé Zhao durante le riprese di Nomadland

Presentato alla Quinzaine del 70esimo Festival di Cannes, il film ottiene quattro candidature agli Independent Spirit Awards.

Nel 2020 scrive, dirige, co-produce e monta Nomadland e il suo primo progetto, al di fuori del cinema indipendente, sarà un film di supereroi sugli Eterni prodotto dai Marvel Studios, previsto per il 2021.

Chloé Zhao è considerata la donna del momento a Hollywood e in un’intervista a Sky Tg24 ha affermato: «Mi è stato detto che sono una “malata di lavoro”! Credo che la ragione di ciò sia, qualora mi dovessi giustificare, che sono sempre stata una persona abbastanza solitaria per tutta la mia vita, anche quando mi sono ritrovata in grandi città mi sono sempre sentita abbastanza sola. Scrivere una storia o fare un film o andare ad una proiezione e parlare di lavoro è il mio modo di chiedere: “ehi c’è qualcuno là fuori?” e ogni tanto sento come un’eco, una risposta, e allora penso “non sono sola” e questa cosa mi motiva nel profondo».

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