Luigi Pirandello è una delle pietre miliari della letteratura italiana e con la sua opera “Il fu Mattia Pascal” va ad esprimere una critica, ma anche un rifiuto alla vita sociale, che viene vista dal protagonista come una trappola e puro costrutto artificioso, dentro il quale chiunque non si riesce ad esprimere.
Trama (paragrafo che contiene degli “spoiler”)
Nel suo romanzo, ormai divenuto un classico, Pirandello narra la storia e le vicissitudini, che il protagonista Mattia Pascal dovette sopportare e superare nel corso della sua esistenza.
Si tratta di un personaggio (quello di Mattia) alquanto ambiguo, il quale va a delineare in modo efficace quella che è la sua situazione famigliare, che viene percepita da Mattia come motivo di soffocamento, perciò decise di fuggire.
La fuga, secondo Pirandello rappresenta l’unica soluzione di salvezza da quella che è la fittizia e artificiosa vita sociale, fatta di regole e ruoli da rispettare.
Pertanto, la storia di Mattia Pascal è quella di un piccolo borghese, bibliotecario ed “imprigionato” in una famiglia diventata insopportabile, costituita dalla moglie “Romilda” e dalla suocera “Vedova Pescatore” e come se non bastasse, Mattia è pure sommerso da enormi debiti, che dovrà saldare.
Di fronte a tutto questo il protagonista decide di fuggire senza una meta, capitando inaspettatamente a Montecarlo (in Svizzera) luogo in cui vinse al giuoco una cospicua somma di denaro, ma non appena fece ritorno a casa sua, venne a scoprire di essere morto o meglio la gente della sua città lo avevano etichettato in questo stato, fraintendendo un cadavere di un annegato e scambiandolo per quello del Pascal.
In questo momento per Mattia si apre una inaspettata e attesissima libertà, infatti, egli si costruirà una nuova identità dietro il nome di “Adriano Meis” una nuova forma inesistente, non riconosciuta socialmente e legalmente, ma solo a quel punto accetterà la sua condizione di forestiero della vita, solo e senza una dimora fissa e che si limita a raccontare le sue vicende in forma retrospettiva, rendendo sia il narratore sia il lettore moderno partecipe degli eventi e chiamato in prima persona a prendere una scelta.
Riflessioni personali
Il protagonista (=Mattia Pascal) assiste e reagisce alla progressiva disgregazione della realtà, accettando volontariamente l’esclusione da quest’ultima, abbandonandosi al puro fluire della vita, contemplando a distanza tutto ciò che agli occhi della gente pare normale.

Assistiamo quindi, ad una crisi dell’IO e il costante pensiero di voler estraniarsi dalla società di appartenenza, manifestatasi nel protagonista Mattia e qualora volessimo fare un parallelismo con quella che è la dimensione della modernità, sicuramente questo rappresenta l’atteggiamento tipico di gran parte degli adolescenti alle prese con la vita e le difficoltà ad essa annesse.
Tuttavia, il fatto che Mattia non sia un adolescente fa capire maggiormente quanto la crisi d’identità e lo sentirsi soffocati ed oppressi da una società, che sentiamo non appartenerci, sia una sensazione diffusa anche tra gli adulti e non solo fra i ragazzi.
Insomma, ci troviamo dinanzi ad un romanzo di una delicatezza immensa ed il bello di tale libro è il fatto che Mattia Pascal cerca di argomentare quelle che sono state le sue scelte, cercando di convincere il lettore di un qualcosa, di cui Mattia stesso è il primo a non crederci in toto, infatti, emerge in modo alquanto significativo il suo progressivo rendersi conto del concetto di illusorietà dell’identità individuale, pur negandola invano.
Non dobbiamo aspettarci nulla, poichè egli (Mattia Pascal) non riuscirà mai a liberarsi da questa forma che si è creato per vivere (a differenza di Vitangelo Moscarda, nel romanzo “Uno, nessuno e centomila” sempre di Pirandello).
Purtroppo, l’errore del Pascal è quello di focalizzarsi esclusivamente su una nuova immagine di sé, mentre prende coscienza del fatto che si tratta di una mera forma inconsistente e che tutto ciò che ha creato e perseguitato fino a quel momento si tratta solo di una costruzione artificiosa ed proverà pure una sorta di nostalgia ed amarezza per quello che è voluto diventare.
L’uomo da sempre ha il tristo privilegio di sentirsi vivere al di là del quale c’è il buio, che non deve incutere timore, anzi è proprio quel buio che rappresenta la totalità dell’essere, mentre la luce che noi cerchiamo disperatamente, ci impedisce di essere noi stessi e di vivere quella vita a cui tutti noi siamo destinati.
Si evince da ciò, che il mistero non è fuori ma in noi, in quella detestabile sfiducia di comprendere il presente e la fugacità della nostra esistenza.
Attualizzazione
Pirandello scaglia una pietra nel mare infinito della letteratura e che sconvolge i lettori, attraverso ogni sua mirabile pagina, che ci fa comprendere quanto il mondo in cui noi siamo calati è costituito di immagini create a tavolino, di precisi ruoli da interpretare e in cui nessuno è più sé stesso, tendenza nella quale anche il nostro Mattia Pascal cede.
La realtà viene vista in costante trasformazione, che non smette mai di fluire ed alla quale chiunque ne esce da questo percorso si cristallizza in una forma voluta dagli altri, un’illusione, una maschera che ognuno di noi si cala per poter prendere parte in modo sicuro a questa vita, scegliendo di offuscare e soverchiare la propria identità, che ci rende unici, amati dalle persone e non soli o sconosciuti da tutti.
A proposito di maschere, in questo periodo ne vediamo molte, nel senso concreto del termine e tutte di colori diverse, che nascondono il nostro viso e impediscono agli altri di riconoscerci.
Talvolta, penso come sarebbe tornare ad una situazione di “normalità” ed è a dir poco “perturbante” pensare che si sarà costretti a salutare persone che non vorremmo salutare, perché veniamo riconosciuti oppure “torneremo ad essere obbligati” a trattenere le eventuali espressioni di disapprovazione, perché il nostro viso sarà visibile.
E’ incredibile quanto le maschere ci nascondano, ma quando parlo di maschere non intendo solo quello imposte dal Covid, che per lo meno ci lasciano libero lo sguardo.
Invece, le maschere “invisibili” di cui parla Pirandello coprono totalmente il viso, non rendendoci riconoscibili, ma diventando ciò che abbiamo sempre voluto essere, ottenendo la più triste di tutte le cose: la solitudine.
