
Comunemente si pensa che la prima femminista sia stata Frida Khalo, in realtà è esistita una figura venuta prima di lei: Artemisia Gentileschi. La sua storia è emersa solo negli ultimi anni, dopo essere rimasta nell’oblio per secoli. Nata a Roma nel 1593, fu straordinaria pittrice di scuola caravaggesca, la cui carriera venne completamente stravolta dopo aver subito una violenza fisica da parte di un conoscente; l’accaduto la costrinse ad affrontare la società del tempo in un duro processo. Andiamo quindi a conoscere meglio la sua storia.
Artemisia Gentileschi, figlia primogenita di Orazio Gentileschi e di Prudenzia Montone, si appassionò all’arte dall’età di dodici anni grazie all’esempio del padre artista. Sotto la sua guida iniziò la sua formazione, a partire dalla preparazione di tutti i materiali usati nei dipinti e acquisendo dimestichezza con tutti gli strumenti del mestiere.
Trascorreva le giornate nella bottega del padre circondata da artisti e opere d’arte e qui ebbe l’opportunità di incontrare Caravaggio che vi si recava per procurarsi le travi per le sue tele. Da quest’ultimo Artemisia verrà particolarmente influenzata in ambito pittorico e ne abbiamo una dimostrazione nel suo primo cimelio artistico che la fece entrare ufficialmente nel mondo dell’arte: “Susanna e i vecchioni”.

All’età di diciotto anni, grazie alla sua predisposizione per le Belle Arti, Artemisia era ormai diventata un’artista matura ed esperta e quindi il padre decise di metterla sotto la guida dell’amico e collega Agostino Tassi; lui frequentava la sua bottega e accettò volentieri di farle intraprendere degli studi sulla prospettiva.

Gli eventi ben presto però si trasformarono in un dramma che sconvolse per sempre la vita della giovane. Agostino Tassi, infatuato di lei, dopo aver provato a sedurla più volte, nonostante i sentimenti non corrisposti e i suoi ripetuti rifiuti, la violentò nell’abitazione dei Gentileschi quando il padre era assente.
Nonostante il trauma dovuto all’abuso, Artemisia trovò il coraggio di affrontare la situazione parlandone al padre che denunciò Tassi nel febbraio del 1612 a papa Paolo V. Il processo iniziò un mese dopo e fu lungo e doloroso, le parole e la condotta della donna vennero continuamente messe in discussione da false testimonianze e dicerie sul suo conto. Durante la sua deposizione, Artemisia subì la tortura della sibilla, che consisteva nel legare con delle corde le dita del testimone e tirarle con forza in modo da indurlo a dire la verità; questa pratica poteva portare anche alla perdita delle dita, conseguenza disastrosa per una pittrice.
Alla fine del processo Tassi fu accusato e condannato, ma l’onore di Artemisia fu completamente distrutto e, per rimediare a tutto questo, due giorni dopo di tutta fretta sposò il pittore Pierantonio Stiattesi, con cui si trasferì a Firenze.

Nel 1616, Artemisia fu la prima donna a far parte dell’Accademia d’Arte di Firenze, al fianco dei migliori pittori fiorentini. Qui entrò in contatto con personalità molto illustri, tra cui Cosimo II de’ Medici e Galileo Galilei. Trascorse gli ultimi anni della sua vita viaggiando, passando per Roma, Napoli e Londra, per poi tornare nella città partenopea dove morì nel 1653.
Artemisia Gentileschi divenne quindi il primo simbolo femminista, poiché riuscì sempre a fronteggiare con coraggio e audacia ogni ostacolo che le si poneva di fronte, superando i pregiudizi sessisti e le difficoltà che la società del tempo riservava alle donne. Ha combattuto con fierezza tutte le sue battaglie ribellandosi alle idee ottuse del XVII secolo, anche quella secondo cui la pittura fosse una pratica esclusivamente per gli uomini.