Un tempo l’onore assumeva una valenza molto più ampia di quella attuale e la sua lesione necessitava obbligatoriamente di essere riparata, anche con le armi o con la violenza.
In Italia, infatti, nel passato, venne introdotto il delitto d’onore, un particolare reato commesso per una specifica motivazione, cioè la volontà di riparare la reputazione di una persona infangata dalla condotta di un altro. Aveva, quindi, il fine di tutelare il proprio onore e persona.

Si trattava di un reato che poteva essere commesso solamente da chi si trovava in una particolare relazione con la vittima: la norma, nel momento in cui identifica come vittime il coniuge, la figlia o la sorella, ammette che l’autore del delitto d’onore poteva essere solamente l’altro coniuge, il genitore oppure il fratello. Perciò, tale reato non poteva essere commesso da chiunque, utilizzando un pretesto generico per compiere violenza senza assumersi poi le responsabilità.
Tale delitto coincideva con l’uccidere o recare lesioni personali al diretto interessato, facendo uso di qualsiasi arma.
Il codice penale italiano prevedeva la pena di reclusione da tre a sette anni, perciò la riduzione a un terzo delle pene normalmente previste per le lesioni o gli omicidi, per chi uccideva la coniuge, la figlia o la sorella oppure l’individuo che si trovava in illegittima relazione carnale.
Di solito chi commetteva ciò era una figura maschile: se costui uccideva la moglie oppure la figlia, solamente perché riteneva che avessero infangato la sua reputazione in qualche modo, era giustificato perché rientrava in questo genere di legge. Tuttavia l’autore del delitto d’onore poteva essere anche una donna contro il marito senza alcuna differenza di trattamento.
Bisogna però sottolineare che statisticamente gli uomini ammettevano maggiormente questo crimine rispetto alle donne e, inoltre, il delitto d’onore ricorreva solamente quando l’unione carnale coinvolgeva (oltre al coniuge) la figlia o la sorella, non il figlio o il fratello. Ciò significa che il padre che trovava la figlia con l’amante poteva uccidere entrambi e beneficiare del clemente trattamento sanzionatorio del delitto d’onore, mentre non poteva fare lo stesso nel caso in cui avesse sorpreso il figlio.
Solo il 5 agosto 1981 in Italia questo reato venne abrogato, ma in alcuni Paesi persiste: in Pakistan, ad esempio, il delitto d’onore, chiamato karo-kari, è diffusissimo, più che in quasi tutte le altre parti del mondo, oppure in Palestina, dove addirittura i due terzi degli omicidi sono riconducibili a un delitto d’onore.
In altre parole, nel nostro Paese, fino a quasi 40 anni fa, la pena per l’omicidio di una donna della propria famiglia era di tre volte inferiore a quella di un omicidio di qualsiasi altro tipo.
C’è una triste correlazione con i femminicidi e la violenza che le donne subiscono quotidianamente al giorno d’ogg: basti pensare agli 81 femminicidi avvenuti nei primi 10 mesi del 2020 e alla diffusione di questi durante il periodo di lockdown nazionale.
Proprio recentemente, in Italia, è stato portato a temine un progetto europeo da parte della facoltà di Medicina e Psicologia di Sapienza Università di Roma, dal titolo Honour Ambassador Against Shame (HASP), al fine di approfondire il tema della violenza legata all’onore e disegnare modelli di formazione e sensibilizzazione. I dati emersi evidenziano quanto la violenza contro le donne legata a un presunto senso di difesa dell’”onore” sia presente anche nel nostro Paese ancora oggi.
