Fëdor Dostoevskij scrisse all’interno della sua opera “Diario di uno scrittore”: «La superbia degli ignoranti è divenuta davvero smisurata. Le persone poco evolute o ottuse non si vergognano per nulla di queste loro disgraziate qualità, ma anzi in esse attingono coraggio». Queste parole sembrano anticipare la risposta dell’autore verso coloro che hanno avuto la recente pretesa, presso l’Università di Milano-Bicocca, di annullare un corso di filosofia, tenuto dal professor Paolo Nori circa il celebre romanziere di origine russa.

Questa idea, poco condivisibile, è nata allo scopo di evitare inutili polemiche in un momento di grande tensione tra l’Ucraina e la Russia. Ci chiediamo, tuttavia, quale possa essere il nesso logico che colleghi Dostoevskij alla attuale guerra scoppiata in Ucraina. Voler sospendere, anche momentaneamente, un corso universitario riguardo un autore vissuto due secoli prima del conflitto in corso risulta non solo immotivato, ma ridicolo e grottesco. Come si può pensare di addossare una qualsiasi responsabilità a Dostoevskij per quello che sta accadendo al oggi tra Russia e Ucraina?
Chi era Fëdor Dostoevskij
L’illustre romanziere russo nacque nel 1821 a Mosca, in Russia, da una famiglia aristocratica. Il padre medico riuscì a mandare i figli a San Pietroburgo a scuola, dove Fëdor ebbe l’opportunità di studiare ingegneria militare. Fu autore di uno dei capolavoro di tutti i tempi, “Delitto e castigo”, che apparve nel 1866.

Il ruolo dell’Università nella sua interezza
L’artefice e promotore di questa idea, probabilmente non ha compreso la natura e lo scopo dell’insegnamento universitario. L’Università non è da identificarsi come una caserma di addestramento di ideologizzati fantocci. Tantomeno non verte a plasmare menti costrette a imparare a memoria formule di pensiero “preconfezionate”.
L’Università dovrebbe essere il luogo in cui sia la cultura sia la singola capacità critica e di pensiero dovrebbero venire plasmati. Lo scopo dell’Università è quello di raggiungere la maturità intellettuale e di forgiare lo spirito di giovani uomini e donne liberi.
Interrompere un corso di filosofia al fine di evitare polemiche circa la nazionalità dell’autore è la negazione più radicale della ratio dell’insegnamento universitario. L’Università dovrebbe insegnare a essere polemici e critici nei confronti del mondo passato e presente. È necessario per evitare che coloro che, privi dello spirito critico, prestino consenso all’Hitler o allo Stalin di turno.
Il concetto di guerra
La guerra viene concepita come un disconoscimento totale della natura relazionale dell’essere umano. Proprio per questo motivo non si può far scivolare nell’ombra un autore rilevante come Dostoevskij, ma deve essere studiato e analizzato. Egli scavò in profondità alla natura umana, sviscerandone i lati più oscuri senza timore.

Se oggi è stata la Russia a muovere guerra, allora si dovrebbero moltiplicare e non annullare i corsi sul pensiero letterario e filosofico di questa Nazione. Analogamente se ieri è stata la Germania a muovere guerra, allora bisognerà studiare gli autori tedeschi, perché domani potrebbe fare la stessa cosa l’Italia, la Francia o altri Paesi.
L’Università non serve a recepire nozionismi inutili soltanto per far sfoggio del diploma di laurea. Ma deve fortificare lo spirito critico del singolo. Quando una tematica ci spaventa o ci risulta scomodo parlarne, non ha senso scavare attorno a questa la fossa dell’oblio, assumendo l’atteggiamento dell’indifferenza. Questo è l’atteggiamento tipico dell’uomo di fronte alla tagliente verità. L’uomo è incapace di interfacciarsi con la dimensione reale delle cose in maniera serena, perché ogni verità porta a galla situazioni o ricordi, i quali ci lacerano nel profondo.
Riflessione

Perché oggi una persona di venti o di quarant’anni dovrebbe rimettersi a leggere i mattoni russi di Dostoevskij? Un altro scrittore russo descrive questo autore come un arciere nel deserto e quando le sue frecce ti colpiscono, da queste ultime uscirà del sangue. Metafora del fatto che Dostoevskij parla all’uomo dell’uomo. Scava nel profondo della ψυχή umana, trovandone i difetti e i pregi. E quando ci palesa la vera realtà delle cose questa ci taglia come una freccia scoccata da un arciere. Non c’è nulla di più crudele della verità.
Sembra di vivere in un tempo in cui valgono solo le vittorie e i vincitori, dove il participio presente “perdente” non è più una condizione ma un’offesa, che fa breccia nel nostro orgoglio. Viviamo in una società dove è necessario nascondere le proprie ferite per timore di essere colpiti su quel taglio ancora sanguinante. Opponiamo la nostra caparbietà all’influenza del male. È necessario riconoscere le nostre ferite, i nostri difetti e le nostre debolezze perché solo allora saremo in armonia con noi stessi e in sintonia con il mondo. È attraverso le crepe che si vede la luce. questo riguarda l’essere umano nella sua interezza e in ogni condizione della sua vita.
La rivolta contro la verità
L’idea di “censurare” Dostoevskij è la prova di quanto siamo ancora sideralmente distanti dalla realtà democratica e da quella dello Stato di diritto, con cui si fa tanta retorica nelle aule scolastiche, nelle piazze, nei giornali, nelle televisioni e nelle parrocchie. Il pensiero di sfuggire alla verità, seppur atroce, incatena l’uomo alla miseria della storia, così come una falsa idea di libertà, coincidente con l’arbitrio assoluto, lo inchioda a un terribile destino di tirannia. Cosa significa sforzarsi di leggere e comprendere e ricordare autori come Dostoevskij?
Comporta di cercare di non essere “meramente eruditi” ma avvicinarsi sempre di più alla conoscenza dell’essere umano nella sua complessità. Siamo chiamati a dirigerci negli antri più oscuri e del nostro animo fino al raggiungimento di quell’autentica libertà intellettuale e spirituale. Questa dovrebbe essere la vocazione di ogni persona e che Dostoevskij, meglio di tanti altri, ha saputo investigare e condensare nelle sue opere.
Dostoevskij conduce l’uomo per le vie estreme dell’arbitrio e della rivolta, per rivelare che nell’arbitrio si uccide la libertà e che nella rivolta si nega l’uomo. Purtroppo in guerra la prima vittima è l’intelligenza e a denotare ciò è stato il pensiero di elidere dal programma universitario un autore della portata di Dostoevskij. Successivamente, dopo una serie di riflessioni e molteplici critiche, mosse nei confronti dell’ateneo milanese, si è deciso di ripristinare il corso tenuto dal docente di filosofia: Paolo Nori.