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Da quando il conflitto tra Russia e Ucraina è scoppiato, tutto è cambiato. Per decenni ci siamo sentiti al sicuro, pensando che finalmente l’uomo avesse imparato dagli errori del passato, ma ci siamo sbagliati.
La guerra è tornata in Europa e non ha proprio niente di diverso rispetto ai conflitti che eravamo abituati a studiare sui libri di storia: è altrettanto crudele, infame e meschina.
Un giorno non lontano, i nomi dei responsabili politici di questo conflitto saranno stampati in grassetto sui testi, mentre delle vittime resteranno solo numeri, stime, dimenticando che, in realtà, loro sono i veri protagonisti di questo disumano spettacolo.

Si tratta dei milioni di volti, di vite spezzate, che probabilmente mai nessuno conoscerà: numeri enormi di morti, di persone costrette alla fuga e di soldati mandati alla guerra.
Anche i soldati, sì, sono vittime e lo sono divenuti per primi, nel momento stesso in cui sono stati chiamati alle armi, diventando lo strumento di una morte, che probabilmente non avrebbero mai voluti causare.
Non importa se siano russi, ucraini o di altra nazione, perché la verità, la straziante verità, è che non esistono soldati buoni e cattivi, ma solo uomini, spesso poco più che ragazzi, chiamati ad indossare una divisa, troppo larga o stretta, che di certo non avrebbero mai desiderato vestire.
Si tratta, alla fine, di soldati qualunque di una guerra qualunque, quelli a cui Fabrizio De Andrè dedicò nel 1964 la sua famosa ballata, La Guerra di Piero, uno dei più intensi inni alla pace della musica e probabilmente della letteratura.
La canzone, infatti, mettere in luce un aspetto spesso trascurato, la componente umana di qualunque guerra: lo scontro del soldato contro il soldato, che in realtà è più semplicemente lo scontro dell’uomo contro l’uomo, ciascuno con le proprie paure, incertezze e, probabilmente, desideri di pace.
Anche in questo conflitto ci sono tanti, troppi, Piero: uomini più o meno giovani, amici e nemici, che imboccano e subiscono le armi, seguendo un ordine, ma che probabilmente desiderano soltanto la pace.
A loro ed alla Pace è dedicato il testo di Fabrizio De Andrè.

Testo La Guerra Di Piero
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.
“Lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente.”
Così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve
Fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
“Chi diede la vita ebbe in cambio una croce”
Ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera.
E mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore
Sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue.
“E se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore”.
E mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbracciata l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia
Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato.
Cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno.
“Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all’inferno
avrei preferito andarci in inverno.”
E mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.