La crisi della democrazia 

L’odierna comunicazione digitale provoca un'inversione del flusso delle informazioni, che ha effetti distruttivi sul processo democratico.

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La democrazia ai tempi di Pericle
Tempo di lettura articolo: 6 minuti

Oggi la digitalizzazione procede inarrestabile. Sottopone la nostra percezione e il nostro rapporto col mondo a un cambiamento radicale. Siamo storditi dall’ebbrezza della comunicazione e dell’informazione. Lo tsunami dell’informazione travolge anche l’ambito politico e porta a pesanti distorsioni e rotture all’interno del processo democratico. La democrazia degenera in infocrazia.

La perspicacia di Polibio

Polibio

Lo storico greco, Polibio aveva, anche se in parte, ragione. Infatti, affermava che esistono tre forme di governo possibili, le quali potevano degenerare nel loro contrario. Egli spiega questa sua teoria chiamata “della degenerazione delle forme di governo” o “ἀνακύκλωσις” nel libro VI del suo capolavoroStorie, ove enuclea come la monarchia possa sfociare in tirannide; l’aristocrazia degenerare in oligarchia  e la democrazia scadere in oclocrazia (oklos= folla). Tuttavia, la democrazia da sempre è definita come la migliore forma di governo; nata in Grecia a inizio IV-V secolo a.C con Pericle, il quale portò il potere democratico al suo acme, ove anche il valore del discorso pubblico aveva ancora una sua distinta dignità. 

Oggi, invece, si potrebbe dire che la democrazia è divenuta infocrazia operante sui dati come la comunicazione digitale, che predilige l’aspetto visuale a dispetto di quello testuale, per il fatto che le immagini sono piú veloci dei testi; non a caso né il discorso né la verità sono virali. Tuttavia, le immagini non argomentano né hanno capacità di fondazione razionale. La democrazia viene ritenuta lenta, prolissa e complicata perciò, la diffusione virale dell’informazione danneggia enormemente il processo democratico.

L’importanza del discorso pubblico

Oggi si parla dell’effetto distruttivo dei mass media sul discorso razionale, plasmato dalla cultura libraria, che produce una mediocrazia (democrazia dei media). Anche il filosofo tedesco, Habermas in “Storie  e critica dell’opinione pubblica” ritiene i mass media responsabili del declino della sfera pubblica democratica. Essi avvincono il pubblico come spettatore, privandolo della possibilità di poter parlare e ribattere, ma consentendogli solo di chattare dietro ad uno schermo. Il mondo prodotto dai mass media è pubblico soltanto in apparenza e la politica si sottomette alla logica dei media, dal momento che il discorso degenera in show e pubblicità. La televisione frammenta il discorso e ne mina le fondamenta.

Inoltre, la generale rapidità della società dell’informazione non è salutare per la democrazia, poiché il discorso ha una sua temporalità, che mal si accorda con la comunicazione accelerata e frammentata proposta dalla cosiddetta modernità liquida, come direbbe Z. Bauman.  Ci lasciamo influenzare fin troppo da informazioni in rapida successione ed è cosí che le fake news generano piú attenzione dei dati fattuali. Un singolo tweet, che contenga fake news o un frammento d’informazione decontestualizzato, è potenzialmente piú efficace, nostro malgrado, di un argomento fondato. 

L’importanza dell’altro

Secondo Hannah Arendt, il pensiero politico è «rappresentativo», ovvero il pensiero degli altri è sempre con-presente. La rappresentanza viene intesa come presenza dell’altro nella formazione della propria opinione ed è costitutiva della democrazia, che è, a sua volta, prassi discorsiva: «Mi formo un’opinione considerando una questione da diversi punti di vista, rendendo presenti alla mia mente le posizioni di coloro che sono assenti».

Infatti, senza la presenza dell’altro come avviene nella comunicazione digitale, ove si è nascosto dietro a un username, la nostra opinione non può dirsi né discorsiva né rappresentativa, quanto piuttosto autistica e dogmatica. La presenza dell’altro è costitutiva anche dell’agire comunicativo, tanto che il filosofo tedesco, Habermas affermò: « Il concetto di agire comunicativo è necessario per considerare gli attori anche come parlanti e ascoltatori che si riferiscono a qualcosa nel mondo oggettivo, sociale o soggettivo e cosí avanzano reciprocamente pretese di validità che possono essere accettate e contestate. Gli attori non fanno riferimento direttamente a qualcosa nel mondo oggettivo, sociale o soggettivo, bensí mettono in relazione la loro espressione su qualcosa nel mondo alla possibilità che la sua validità venga contestata da altri attori». La parola latina «discursus» significa “andare in giro” e, attraverso “l’altro” siamo positivamente distolti, nel discorso, dalla nostra convinzione. Solo la voce dell’altro conferisce, alla mia espressione, una qualità discorsiva.

Il valore dell’ascolto

L’espulsione dell’ “altro” rafforza la costrizione auto-propagandistica a indottrinare sé stessi con le proprie idee. Questo auto-indottrinamento produce le cosiddette “filter bubble” o bolle informatiche, che rendono complesso l’agire comunicativo. Invece, il discorso è una pratica dell’ascolto. La crisi della democrazia è in primo luogo una crisi dell’ascolto; una crisi che Plutarco non avrebbe mai voluto che si avverasse (vd. L’arte di ascoltare). 

Secondo Eli Pariser, la personalizzazione algoritmica della Rete distrugge lo spazio pubblico: «I filtri di nuova generazione stabiliscono le cose che ci piacciono – in base a quello che facciamo o che interessa a persone simili a noi e poi estrapolano le informazioni». Quello che Pariser vuole dire è che tanto più a lungo navigo su Internet, quanto più la mia “bolla dei filtri” si riempie di informazioni di mio gradimento, che rafforzano le mie convinzioni e mi vengono mostrate solo quelle visioni del mondo che si conformano alle mie.

Oggi la comunicazione diventa sempre meno discorsiva, nella misura in cui si perde sempre piú la dimensione dell’altro. La società è priva di alterità. Non prestiamo più ascolto reciproco e l’ascolto è un atto politico in quanto unisce gli esseri umani in comunità e li abilita al discorso. La democrazia dovrebbe essere una comunità di ascoltatori attivi, mentre l’esasperata comunicazione digitale annienta la politica dell’ascolto, finendo per ascoltare soltanto noi stessi. Questa è la fine dell’agire comunicativo atomizzato.

La crisi della verità

F. W. Nietzcshe

Oggi si sta diffondendo un nuovo nichilismo dei valori, che Nietzsche esprimeva con la formula « Dio è morto» o con il concetto di “trasvalutazione di tutti i valori”. Questo nuovo nichilismo nasce nel momento in cui perdiamo la fede nella verità stessa, in quest’era della disinformazione, in cui l’informazione scollegata dalla realtà circola in uno spazio iperreale. Perdiamo la fiducia nella fattualità e il contatto con il reale. 

Malgrado il suo radicalismo, la critica di Nietzsche alla verità mette a nudo l’origine morale per essere ricostruita genealogicamente. Secondo Nietzsche, la verità è un costrutto sociale che serve a rendere possibile la convivenza umana. Oggi, Nietzsche constaterebbe che la conoscenza ha perso la spinta verso la volontà di verità. L’affievolirsi della spinta alla verità e la disintegrazione della società sono proporzionali. La crisi della verità dilaga laddove la società si disgrega.

M. Foucault

Nella sua ultima conferenza, poco prima di morire, Foucault si è dedicato al concetto greco di “parresia”, ossia al “coraggio della verità” come se prevedesse l’imminente crisi della verità. Facendo riferimento a Polibio, Foucault afferma che la vera democrazia è guidata da due principi: l’isegoria, che si riferisce al diritto concesso a ogni cittadino di esprimersi liberamente e la parresia, che obbliga le persone che agiscono politicamente a dire ciò che è vero

Chi parla con coraggio, nonostante tutti i rischi che comporta, pratica la parresia, che è essenziale per la democrazia. Dire la verità è un atto genuinamente politico. La vera democrazia, quindi, possiede un eroismo intrinseco, ossia ha bisogno di quelle persone, come Socrate, che osano dire la verità anche a costo della vita. Senza di essi, la democrazia scivola nell’infocrazia. E oggi la parresia degenera in una libertà, concessa a tutti, di dire qualsiasi cosa, anzi tutto ciò che piace o fa comodo.

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