Guadare un fiume: un’azione normalissima che ha cambiato la Storia. Non sono infatti le imprese titaniche a fare la Storia, ma le decisioni. Tutti sono in grado di attraversare un fiume, ma non se così facendo ci si schiera contro gli uomini più potenti del momento. Eppure qualcuno ha avuto l’audacia di farlo, e il “qualcuno” in questione si chiamava Caio Giulio Cesare. Ma come mai lo fece? Per lungimiranza o per ambizione personale? Fu un eroe o un fuorilegge?
Per provare a rispondere a queste domande dobbiamo tornare indietro nel tempo di undici anni, fino al 60 a.C.. In quel periodo la Repubblica Romana era in forte crisi, corrotta e debolissima di fronte a uomini potenti e ambiziosi, che di fatto comandavano lo Stato. Nel 60 a.C. di questi uomini ce n’erano ben due: Gneo Pompeo e Marco Licinio Crasso. Quando alcune loro richieste vennero respinte dal Senato, che temeva che i due uomini acquisissero un eccessivo potere, Pompeo e Crasso si allearono con Caio Giulio Cesare, politico emergente e ambizioso. Con lui formarono il Primo Triumvirato, patto privato per il quale ognuno dei tre uomini aiutava gli altri a ottenere ciò che richiedevano. Cesare diventò dunque prima console e poi governatore dell’attuale Nord Italia. Da qui attaccò la Gallia e la ridusse a provincia romana nel 51 a.C.

Nel frattempo, con la morte di Crasso, Pompeo e Cesare si trovavano inevitabilmente a contendersi il potere. A quel punto il Senato si schierò dalla parte di Pompeo, ritenuto meno pericoloso di Cesare, al quale venne intimato di tornare a Roma dalla Gallia senza l’esercito (era d’obbligo rientrare nel “pomoerium”, ovvero il “confine sacro” di Roma, senz’armi). Cesare promise di sciogliere le proprie legioni a patto che anche Pompeo facesse lo stesso, ma il Senato rifiutò, accrescendo i poteri di Pompeo e dichiarando Cesare nemico della patria. A questo punto Cesare si trovò di fronte al fiume Rubicone (oggi nella provincia di Forlì-Cesena, in Emilia-Romagna), che rappresentava il “pomoerium” settentrionale, incerto se consegnarsi inerme ai propri nemici o azzardarsi ad entrare a Roma con l’esercito.

Il 10 gennaio prese la sua decisione, esclamando: «Alea iacta est» («Il dado è tratto»), e varcò il fiume con le sue legioni. Non sappiamo se questa frase sia stata realmente pronunciata oppure solo immaginata dai suoi successori, ma comunque sia, ancora oggi si usa l’espressione “Il dado è tratto” per indicare una decisione irrevocabile, dalla quale non si torna più indietro.
Il motivo decisivo che spinse Cesare in questa direzione non lo potremo mai sapere di preciso, ma senza dubbio svariati motivi intervennero: coraggio, onore, vendetta, ambizione, sete di potere e, soprattutto, consapevolezza di non avere alternative (probabilmente sarebbe stato ucciso, imprigionato o esiliato dai nemici).
Pompeo, non aspettandosi questa mossa, fuggì in Grecia, dove venne sconfitto da Cesare. Fuggito poi in Egitto, venne qui ucciso a tradimento. Cesare da quel momento divenne dittatore a Roma. Un gruppo di senatori capeggiati da Bruto e Cassio, considerandolo nemico della Repubblica, lo accoltellò nel 44 a.C..
Le sue gesta tuttavia non poterono essere cancellate, poiché la sua decisione di varcare il Rubicone spianò la strada per la nascita dell’Impero Romano: incredibile come una singola decisione possa cambiare radicalmente l’intero corso della Storia del mondo.