Ascolta la lettura dell’articolo

Gli anni che una persona si aspettava di vivere nel passato, secondo le medie statistiche, potevano essere trentacinque, sessanta oppure addirittura venti. Infatti, anche se dopo la Seconda Guerra Mondiale gli Italiani hanno iniziato a vivere di più, durante la Firenze del ‘400 e la Roma dell’imperatore Augusto, i tenori di vita erano estremamente bassi.

I meriti, sicuramente, li dobbiamo alla medicina che si è sviluppata nel tempo: evolvendosi e trasformandosi come nessun’altra scienza. Oltre che all’assistenza sanitaria, le condizioni di alimentazione e di igiene. Progetti che, però, si sono sviluppati nel mondo in modo assai disuguale, a seconda del grado di sviluppo, di telecomunicazioni, ma anche d’istruzione e una di forma di governo stabile.
Con lo sviluppo del Covid-19 ci sono sorte numerose domande riguardo alla vita ospedaliera di un tempo, alle cure, alle organizzazioni sanitarie che si susseguivano per cercare di aiutare i pazienti. Cosa sarebbe successo se qualcosa del genere si fosse sviluppato secoli fa? La risposta è semplice, in quanto epidemie, malattie virali, avvelenamenti dei pozzi, hanno rappresentato situazioni comuni nell’antica Grecia, a Roma, in Egitto e in tanti altri Paesi che hanno fatto la storia.
L’Epidemia più antica…

Dei malanni dei nostri antenati più remoti sappiamo quello che ci raccontano le fonti nella letteratura. Le prime svelano che i Neandertaliani potrebbero essere stati eliminati a causa dei virus portati dall’Homo Sapiens e dalle loro abitudini alimentari. Anche gli Egizi soffrivano di numerose malattie epidemiche lungo il delta del Nilo e avevano spesso fratture ossee. La letteratura greca ci ha tramandato la più antica epidemia della storia, almeno all’interno del mondo ellenico, quella con cui si apre l’Iliade, grandissima opera omerica. Inoltre, in un’indagine compiuta dallo storico della medicina Giorgio Cosmacini, le ferite e le fratture ossee nell’opera sono molteplici: ben 147, compiute da frecce, aste, giavellotti e spade.
Le facce della medicina

Nel mondo più antico le cure seguivano un doppio binario: medicina sacra, con riti magici e divinazioni, e rimedi pratici come chirurgia, erbe e sostanze minerali. Nel mondo egiziano, infatti, la medicina era esclusiva al ceto sacerdotale. Un’interessante scoperta che le fonti ci tramandano è che esperti oculisti erano gli Assiri. Altro elemento da aggiungere è che, nelle tradizioni greche omeriche, il medico era un uomo scelto per la sua bruttezza, un malcapitato che alla fine veniva bruciato, infatti per il mondo ellenico era una sorta di capro espiatorio.

Nel mondo ellenico
Il nume tutelare dei guaritori greci era il semidio Asclepio, che nel suo tempio di Epidauro suggeriva le cure in sogno. Ma durante il IV secolo tutto cambiò con Ippocrate (su cui ancora oggi i medici giurano). Egli, infatti, insegnava che salute e benessere dipendevano dall’osservazione dei sintomi e dall’equilibrio di quattro umori corporei: bile nera, bile gialla, sangue e flegma (muco). La rivoluzione di Ippocrate fu tramandata ai Romani e poi nel Medioevo da Galeno. Per ben due secoli la ricerca della stabilità degli umori è stata alla base dello studio della materia medicinale del tempo.
Fra Oriente e Occidente

Nel IX secolo gli insegnamenti del medico Ippocrate andarono a confluire con quelli dei dotti arabi e alla Scuola medica di Salerno, eccellenza durante il periodo Medioevale, di cui fece parte Trotula de Ruggero, la prima donna ad avere il titolo di medico.
Tale scuola dava molta importanza al collegamento tra cibo e salute, oggi un pilastro nella prevenzione, ma anche nell’antichità. Infatti, molti studiosi hanno visto che molti abitanti di Ercolano, morti nel 79 sotto il regno di Tito dopo l’eruzione del Vesuvio, soffrivano di brucellosi, trasmessa dal latte ovino.
Si curavano anche con antibiotici naturali, che ricavavano da fichi e melograni secchi: erano consigliati per tonsilliti e congiuntiviti.
Lazzaretti e ospedali

Gli storici spiegano che a minare lo stato di salute, in qualsiasi situazione ed epoca, è soprattutto la fame. Durante l’Ottocento la dieta povera a base di farina di mais nella Pianura Padana provocò il dilagare della pellagra, una grave patologia da malnutrizione. Per secoli, infatti, nelle chiese si pregava:
“A fame, peste et bello, libera nos, Domine”
(Dalla fame, dalla peste e dalla guerra liberaci o Signore).
La guerra era un male necessario: contro la fame, infatti, i governanti organizzavano distribuzioni di grano e di farina agli indigenti, ma nemmeno i più lungimiranti potevano evitare il secondo male del voto, ovvero la peste.
E’ un argomento estremamente attuale: come le epidemie nascevano ed erano presenti nell’antichità, così ci sono le pandemie oggi. La Peste nera uccise un terzo della popolazione del continente europeo tra il 1347 e il 1350, con circa 25 milioni di morti, ma almeno ebbe il merito di gettare le basi per la sanità pubblica. La necessità di arginare il contagio si protrasse attraverso quarantene, isolamento, portò alla nascita del primo lazzaretto a Venezia nel 1423, agli uffici sanitari delle signorie (le ASL rinascimentali) e ai primi ospedali.

Queste all’inizio ospitavano pellegrini da qui il nome di “ospitale”, poi divennero “alberghi dei poveri” e infine “case della salute” come l’ospedale Maggiore di Milano nel 1448. Fu allora che la professione medica si differenziò dall’arte dello speziale e dalla figura del cerusico, antenato del chirurgo. Estrazioni di denti e altri interventi per secoli erano stati affari barbieri e norcini (i macellatori di maiali). Durante il Quattrocento qualcosa cambiò, facendo sì che il medico divenisse uno specialista sempre più della sanitas corporis e sempre meno della salus animae.
Le epidemie nella storia

Bisogna considerare che già in passato le epidemie si diffusero e ce ne sono diverse che sono trascritte nei libri di storia:
Pericle, Antonino e Giustiniano: a ciascuno toccò la sua pestis, ovvero la sua “disgrazia”. La “peste di Atene” nel V secolo a.C., (forse si trattava di tifo), uccise Pericle e accompagnò il declino dell’Attica con l’arrivo delle Guerre del Peloponneso. Il “morbo di Antonino”, (167-170 d.C.), (vaiolo o morbillo), provocò 5 milioni di morti in un Impero Romano indebolito da guerre e carestie, accelerandone la fine del 476 d.C.. Poi ci fu la “peste di Giustiniano” nel 543 a Costantinopoli: face tra i 5 e i 10 mila morti al giorno e flagellò l’Europa per altri due secoli.

In seguito apparve la Peste Nera, provocata dal batterio Yersina pestis, trasmesso da pulci dei ratti e pidocchi umani: sbarcò per la prima volta a Messina nel 1347 su navi genovesi arrivate dal Mar Nero. Nel 1348 a Genova, Venezia, e Pisa uccise oltre il 30% degli abitanti. A Firenze, tra morti e fuggitivi, dimezzò la popolazione e ispirò a Boccaccio la trascrizione del Decameron. La peste in Europa riesplose ogni volta che sovrappopolazione e crisi agricola si sommavano: nel 1630 nel Nord Italia portò via un milione di abitanti, nel 1656 almeno 150mila napoletani in Campania; 10 anni dopo 100mila londinesi.
Nel frattempo, i conquistadores avevano esportato in America morbillo e vaiolo, sbaragliando le difese immunitarie dei precolombiani.
Poi fu la volta delle pandemie della Rivoluzione Industriale e della globalizzazione: le sei epidemie di colera nell’Ottocento, quella di influenza spagnola del 1918-1919 (per leggere l’articolo ad essa dedicato clicca qui), quella dell’Aids e ovviamente quella di Covid- 19 al giorno d’oggi.