Oggi, 14 novembre, si celebra la Giornata Mondiale del Diabete. Istituita dall’International Diabetes Federation e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, questa giornata serve per sensibilizzare e informare l’opinione pubblica sul diabete, sulla prevenzione e gestione di questa malattia. Grazie anche alla #BlueBalloonChallenge, un’iniziativa benefica promossa da Medtronic, una tra le più grandi aziende ad offrire tecnologie mediche, le persone stanno iniziando a parlare sempre di più di questa patologia, permettendo alle persone che ne sono affette di sentirsi meno incomprese.

Sei anni fa, ero una bambina che stava attraversando un periodo di crescita: era il momento di passaggio dalle scuole primarie alle secondarie, e io mi sentivo strana, non solo psicologicamente, ma anche fisicamente. Mi ricordo benissimo di quel periodo: era piena estate, l’ultima da bambina. Il caldo afoso di luglio era al suo apice e bevevo tanto, più del solito; ero anche magra, la mia corporatura era sempre stata così, ma in quel periodo più del normale. Mi ricordo che passavo le giornate a bere intere bottiglie di Estathè (l’unica cosa che riuscisse a dissetarmi) e a lamentarmi di una stanchezza insolita. La mia famiglia aveva dato la colpa al caldo e alla mia crescita fino a quando, un pomeriggio, dopo aver fatto delle analisi del sangue (di controllo), sono stata catapultata in ospedale perché avevano notato dei valori anomali della glicemia. Quel giorno la mia vita è cambiata. Mi era stato diagnosticato il diabete, una malattia cronica caratterizzata da un’elevata concentrazione del glucosio nel sangue, una conseguenza della carenza di insulina del corpo o una alterata funzionalità dell’insulina stessa.
I due tipi
Ci sono diversi tipi di diabete, ma i due più comuni sono il diabete mellito di tipo 1 e di tipo 2; il primo è una patogenesi autoimmune che colpisce soprattutto i bambini e i giovani, il secondo è di tipo familiare (non autoimmune), legato a una scorretta alimentazione e che colpisce gli anziani. A me, ovviamente, è capitato il Td1, che è anche quello più difficile da gestire; il Td2 può essere preventivato con l’esercizio fisico o con una modifica della propria dieta, e curato con delle pastiglie o con insulina (nei casi più gravi); il Td1, invece, non può essere preventivato e l’unica forma di cura è l’insulina, sotto forma di iniezione. Per una bambina che per undici anni aveva avuto una paura enorme degli aghi, il fatto di iniziare a farsi ogni giorno delle iniezioni è stata una grandissima prova di coraggio.
Insulina e glicemia
Le persone con diabete di tipo 1 devono fare quattro iniezioni di insulina al giorno: tre prima dei tre dei pasti più importanti e una alla mattina o alla sera (preciso il fatto che sto parlando di una fase iniziale della gestione della malattia e che ognuno ne ha una diversa).
L’insulina serve per “tenere a bada” la glicemia, i cui valori a digiuno per una persona normale vanno mantenuti tra i 70 e 100 mg/dl. Il giorno della mia diagnosi (a digiuno) avevo 282, valore che ormai ho spesso e che molte volte supero. Per un diabetico, il range glicemico, va dai 70/80 ai 150 mg/dl; tutti quei valori inferiori ai 70 sono detti ipoglicemia, e quelli superiori ai 150 iperglicemia. Essere diabetici vuol dire essere dei funamboli, bisogna cercare di non cadere né da una parte né dall’altra; non importa dove si è, cosa si sta facendo, qual è il proprio umore, bisogna sempre continuare a stare su quella fune.
Un po’ di storia

Dal 1922, l’anno in cui venne fatta la prima iniezione di insulina, la ricerca ha fatto passi da gigante. Inizialmente, e fino agli Anni ’60, la glicosuria veniva misurata grazie a delle strisce per le urine. Nel 1967 viene realizzato il primo strumento per la determinazione della glicemia su una goccia di sangue capillare; questa è stata la premessa per l’avvio dell’autocontrollo glicemico domiciliare. A fine Anni ’80, sono state messe in commercio le cosiddette ‘penne’, degli iniettori con le cartucce intercambiabili di insulina. Nel 2013 vengono pubblicati i risultati del primo studio condotto su pazienti con diabete di tipo 1 in cui è stato testato un pancreas artificiale miniaturizzato (microinfusore); quattro anni più tardi, nel 2017, viene approvato il primo sensore impiantabile per il monitoraggio continuo della glicemia.
Fino a pochi anni fa, quindi, la vita di un diabetico era scandita dalla necessità di iniettare insulina ad orari ben definiti e in relazione ai pasti. Questo penalizzava fortemente i diabetici, che erano vincolati da rigide regole, difficili da seguire alla lettera. Il trattamento insulinico standard, infatti, prevedeva l’assunzione di insulina prima dei pasti, una dieta fissa con pasti ad orari prestabiliti. Oggi è possibile ottenere un controllo glicemico senza sottostare a tutte queste regole; le persone possono mangiare quando vogliono mantenendo un buon controllo glicemico grazie alla ‘conta dei carboidrati’, ai microinfusori e al controllo della glicemia grazie ai sensori.
Il mio diabete
“Per fortuna” la mia diagnosi è avvenuta nel 2016, momento in cui si stavano sperimentando i primi sensori e i primi microinfusori, quelli che sono tuttora i miei salvavita (oltre all’insulina e allo zucchero). Vivere dipendendo da delle macchine non è facile; ci sono persone che continuano a gestire il proprio diabete facendosi le iniezioni con le penne e misurando la glicemia con il glucometro, altre che usano le penne e un sensore, altre che vivono con due aghi sottocutanei come me. Avere il micro (come lo chiamo io) e il suo rispettivo sensore ha i suoi pro e contro, non è una passeggiata, ma mi permette di stare un po’ più tranquilla, anche se tranquilla non lo sono per niente.

Vivere con il diabete non è limitante, ma vuol dire avere più pensieri e più preoccupazioni rispetto alle altre persone. Questa malattia, a volte, ti fa sentire inadeguata; ti fa chiedere “perché?” e fare i conti col non sapersi dare le risposte, avere paura delle conseguenze del proprio istinto, sapere di non poter far niente e non avere ancora trovato la soluzione. Si pensa che con il tempo ci si abitui, ma non è così: non ci si abitua a stare svegli la notte per una ipoglicemia, non ci si abitua al mangiare per forza o al non poter mangiare per niente, a un sensore che scade prima del dovuto e, soprattutto, al fermarsi per colpa della glicemia.
Il diabete, però, non è del tutto negativo: ti aiuta a conoscere te stesso (e qui la mia anima classicista si fa sentire), a riconoscere le tue sensazioni, a fidarsi del proprio istinto. Negli anni impari a conviverci, e pian piano ti dimentichi com’era la vita senza il diabete e senza tutte quelle responsabilità che ci stanno attorno. Ogni tanto vorrei tornare indietro nel tempo per vivere quei momenti di assoluta spensieratezza, poi mi rendo conto che è meglio rimanere nel presente: il diabete mi ha reso ciò che sono ora, non sarei la stessa senza di ‘lui’, non sarei Lia.
Complimenti per il bellissimo articolo, grazie è molto utile per chi non conosce il diabete. Grande e forte Lia.