Il 15 marzo del 44 a.C. Cesare venne assassinato in una congiura che destabilizzerà lo stato romano, portandolo alla guerra civile da cui nascerà il principato e l’impero.
Oggi sono molti coloro che prendono come modello il geniale condottiero e l’abile politico, simbolo del periodo di transizione dello stato romano da repubblica ad impero.
Ad oggi è difficile giudicare la figura di Cesare perché non è vissuto abbastanza per permetterci di comprendere se volesse creare una monarchia oppure, come Silla prima di lui, cercare di ridare stabilità alla repubblica. Quello che è certo è che seppe garantire un breve periodo di pace trattando con clemenza gli avversari e senza ricorrere ai massacri attuati da Silla con le liste di proscrizione.
Sono tutt’ora celebri citazioni dell’emblematico condottiero come veni vidi vici (venni vidi vinsi) per indicare un successo ottenuto con celerità, alea iacta est (il dado è tratto) e il modo di dire “passare il Rubicone” per indicare una decisione irreversibile di grande importanza, tu quoque Brute, filii mii (anche tu Bruto, figlio mio) in caso di un voltafaccia inaspettato o rerum omnium magister usus (l’esperienza è maestra di ogni cosa).
Negli ultimi due millenni lo stesso nome di Cesare è stato usato come simbolo di autorità e di potere politico già a partire dai romani, non a caso Svetonio nella sua opera Vite dei dodici Cesari si riferisce con esso a principi ed imperatori, seguono poi le cariche di Kaiser, Zar e Scià usate rispettivamente in tedesco, russo e persiano, ma contenenti la radice del nome di Cesare.