Perpetuo, inesorabile, impetuoso, l’eco della democrazia si propaga come un ruscello che a poco a poco incrementa la sua possanza fino a travolgere tutto quello che si trova sul suo cammino. Lo abbiamo visto ancora e continueremo a vederlo; sono mesi decisivi per la Bielorussia, che ormai dal 1994 fa i conti con il tiranno Aljaksandr Lukašėnko, uomo abile nel tenere salde le redini del paese grazie a brogli elettorali, che nel corso degli anni hanno sempre confermato un parlamento amico e servile. Il popolo è sfinito; la crisi economica, nonostante gli aiuti della Russia, alla cui egemonia si è inchinato Lukašėnko, maggiordomo di Putin, ha dato il colpo di grazia alla nazione.

Sebbene si cerchi sempre di trovare una giustificazione filosoficamente elaborata per spiegare determinati fatti storici, quando la protesta insorge, il passato ne è testimonianza, vi è sempre una motivazione pratica che non necessita di un’indagine approfondita; nella circostanza che stiamo esponendo risiede evidentemente nella mancanza di beni a cui le persone non sono state in grado di trovare un rimedio. Non dobbiamo, però, farci fuorviare dalle apparenze, poiché questo equivarrebbe a dire, applicato ad un altro contesto, che la Rivoluzione Francese scoppiò per il rincaro del prezzo del pane. Le cause, dunque, sono molto più profonde e per svelarle occorre immedesimarsi nelle menti delle persone.
Proviamo a riflettere, ad esempio, sulla Primavera di Praga o sulla rivolta di Tienanmen, diverse per collocazione temporale e attenzione mediatica rispetto ai fatti della Bielorussia, ma analoghe nello spirito motore. A cosa si potrebbero legare i motivi che spinsero i popoli a ribellarsi? Alla ricerca pratica di condizioni di vita migliori o a profondi ideali rispecchiati dalla libertà e dalla democrazia? È chiaro a tutti che i due fattori siano complementari: il pensiero occidentale contemporaneo, per questo aspetto ormai comune a gran parte del mondo (basti pensare alle rivolte che si sono verificate anche ad Hong Gong), ha imparato ad associare l’idea di benessere a quella di democrazia in modo talmente naturale e spontaneo, che non siamo più in grado di immaginare noi stessi felici in un’eventuale società privata di questo principio costituzionale.

Il passo successivo è capire se questo accostamento dipenda da vantaggi strettamente connessi con la democrazia o è determinato solamente dalle circostanze casuali in cui l’uomo si è trovato. Per farmi capire meglio, ricorrerò ad un esempio pratico. In Germania, prima che Hitler diventasse cancelliere, vigeva la repubblica di Weimar, che si può definire democratica. La devastante crisi economica, causata dalle durissime condizioni di pace imposte con il trattato di Versailles, portarono il popolo tedesco a dare pieni poteri ad un uomo, che, riportando la prosperità, risollevò in pochi anni le condizioni delle persone. Ora proviamo ad immaginarci l’idea di democrazia che si doveva avere in Germania a metà degli anni 30, ricordando l’epoca in cui essa era stata il cardine della società. Sicuramente, solo nominarla, avrebbe riportato alla mente dei ricordi che non erano certo positivi, anzi, essendo connessi ad un periodo storico drammatico per il Paese, avrebbe generato un senso di distacco, rabbia o paura.
Chiaramente, poi, la situazione si capovolse quando il totalitarismo diventò il volto degli orrori della guerra. Sarebbe mai possibile, dunque, ipotizzare un ulteriore capovolgimento di prospettiva nell’eventualità in cui la democrazia non fosse più in grado di garantire certezze per la vita delle persone? Dato che è già capitato, non lo possiamo considerare un paradosso o quantomeno, non del tutto; l’aspetto più importante, però, è la comprensione del fatto che il benessere del popolo non sia vincolato alla democrazia. L’incondizionata fede che riponiamo in essa è quindi un’illusione che ci siamo creati per giustificare le disumane azioni che l’uomo ha compiuto nella storia, quando questa stessa non era presente? La risposta è no e il motivo dobbiamo cercarlo dentro di noi.
Scriveva Tucidide, riportando un’orazione di Pericle, figura simbolo dell’Atene democratica del V secolo a.C «Un uomo che non si interessa dello Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile, […] crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore».
Quando Pericle parla di interesse nei confronti dello Stato, intende non solo la partecipazione a quella serie di riti pubblici che contraddistinguevano la vita sociale, come ad esempio la presenza a teatro, simboli dell’appartenenza ad una comunità, ma soprattutto intende la partecipazione nelle decisioni che hanno effetti sulla gestione della città. I benefici che questo comporta sono di valore inestimabile: ogni cittadino, consapevole delle sue competenze, dà il proprio contributo per migliorare lo Stato, non accontentandosi che le decisioni le prenda qualcun altro. E da qui si arriva anche alla libertà come frutto del valore. Perché se la democrazia è conseguenza della libertà di esprimere il pensiero, la libertà è determinata dal coraggio di fare una scelta che eleva l’uomo da uno stato di subordinazione e gli permette di realizzarsi, raggiungendo così la felicità. Questo modo di pensare si perse con il tramonto delle poleis greche, ma venne ripreso e rinforzato dall’illuminismo, che fu definito nella sua essenza, riprendendo le parole di Immanuel Kant «L’uscita dell’uomo da uno stato di minorità, […] minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro».
Per questo vediamo popoli opporsi, ribellarsi e combattere; la democrazia, lo abbiamo dimostrato, non rappresenta necessariamente la prosperità di un popolo, ma rappresenta un bisogno che tutti noi dobbiamo soddisfare. L’uomo non può accontentarsi di vivere nel benessere aspettando la fine dei suoi giorni, ha bisogno di trovare una propria strada, un proprio scopo, che può derivare solamente dalla libertà. Il dialogo e il dibattito permettono ad una società di arricchirsi, di raggiungere dei valori comuni che sono autodeterminati, non imposti da una guida che sceglie per loro. Tutto questo è possibile solo grazie a ciò che noi chiamiamo democrazia, lo strumento più prezioso nelle mani dell’uomo.