È stata definita una “celebrazione cruda e spudorata” dell’assassinio di Giulio Cesare. Una rarissima moneta d’oro di epoca romana raffigurante il volto di Marco Giunio Bruto, principale artefice della congiura contro il “dictator” romano (insieme a Decimo Bruto e Caio Cassio Longino ed altri), è stata battuta all’asta per una cifra record: 2,7 milioni di sterline, corrispondenti a 3,5 milioni di dollari. Mai prima d’ora una moneta antica era stata valutata tanto.

Quella appena venduta dalle case d’aste londinese Roma Numismatics, oltre ad essere particolarmente ben conservata, è un esemplare estremamente raro. Ce ne sono soltanto tre uguali in tutto il mondo. Ne esistono un centinaio di esemplari in argento, ma in oro se ne conoscono solo tre: una è esposta al British Museum (ma di proprietà di un privato), la seconda fa parte della collezione di Deutsche Bundesbank, e la terza è tornata in circolazione da poco, dopo essere stata a lungo conservata in una collezione privata in Europa e appunto è subito andata all’asta.
Idi di Marzo del 44 a.C: il grande generale e dictator Giulio Cesare, amatissimo dal popolo e molto meno dall’aristocrazia romana, viene ucciso, con 23 pugnalate, nella Curia di Pompeo dove deve era solito riunirsi il Senato. Ad assassinarlo sono una ventina di senatori, preoccupati per le sorti della Repubblica, tra cui quello rappresentato su tale moneta. Tra loro c’è anche Marco Giunio Bruto, prediletto da Cesare e forse suo figlio naturale (la madre Servilia era stata per lungo tempo amante del generale).

Leggenda vuole che le ultime parole di Cesare siano state rivolte proprio a Bruto, mentre lo pugnalava: Tu quoque, Brute, fili mi? (Anche tu, Bruto, figlio mio?). Per quale motivo venne ucciso? C’erano molteplici sospetti che attorniavano la figura di Cesare, sospetti per lo più infondati. Traevano, però, alimento dall’evidente sfiducia di Cesare nei confronti del senato nonché dall’alone di sacralità e regalità che circondava la sua persona. Inoltre, sebbene mostrasse il rifiuto del diadema regale nel 44 a.C. offertagli da Marco Antonio (al tempo suo luogotenente in Gallia) ciò non fu sufficiente a riappacificare gli umori e gli animi del senato. Dopo l’assassinio i congiurati, che pensavano di aver reso un servizio a Roma devono ricredersi visto che la plebe, i senatori fedeli al dictator, e i suoi veterani li vogliono morti, sono costretti a scappare nei territori orientali, in particolare in Siria, Grecia e Macedonia.

Dopo qualche mese, Bruto, ripara in Grecia e poi, grazie alla forte influenza del potente senatore e celebre avvocato Marco Tullio Cicerone, nato nel 106 a.C. nel Lazio e morto assassinato dai sicari di Antonio il 7 dicembre del 43 a.C., viene nominato proconsole di Macedonia, Illiria e Acaia. Intanto Roma sprofonda nella guerra civile, le fazioni di Marco Antonio, sostenuto dai cesariani, e Ottaviano, sostenuto da Cicerone, si danno battaglia, fino a che non trovano un accordo: nasce il triumvirato di Marco Antonio, Ottaviano e Marco Emilio Lepido (78 a.C. al 12 a.C), generale, governatore della Spagna e filocesariano.
La necessità di stroncare sul nascere ogni possibile opposizione, e il bisogno di reperire fondi per sconfiggere definitivamente Bruto e l’altro congiurato eccellente, Gaio Cassio Longino, induce i triumviri a stilare le famigerate liste di proscrizione: molti cittadini romani vengono uccisi e i loro beni requisiti.

Tra loro c’è anche Cicerone, assassinato per ordine di Marco Antonio. Le loro teste e mani sarebbero poi state appese ai rostri del Foro, ovvero i luoghi da dove parlavano gli oratori (chiamati con questo nome poiché addobbati con i rostri delle navi nemiche sconfitte). Inoltre, a chiunque avesse portato al Governo teste o mani di oppositori politici sarebbe stata consegnata una retribuzione in denaro e in caso si trattasse di schiavi o cittadini provinciali, potevano essere consegnate loro la libertà e la cittadinanza.

Nel frattempo, Bruto e Cassio hanno consolidato il loro potere in Oriente e dispongono di un esercito forte. In particolare, in Macedonia con un numero di 18 legioni ovvero una quantità pari a 80 000 uomini. La resa dei conti avviene a Filippi, in Macedonia, nell’autunno del 42 a.C. Cassio, sconfitto nel corso della prima battaglia, si suicida, erroneamente convinto che anche Bruto avesse avuto la peggio. Passate tre settimane Bruto, ormai solo a guidare un esercito che poco credeva nelle sue capacità belliche, decide di affrontare Antonio e Ottaviano e va incontro a una rovinosa sconfitta.

D’altronde, Bruto un po’ se l’aspettava quella disfatta, perseguitato com’era, nelle sue notti insonni, da un’apparizione spettrale (Giulio Cesare o la sua stessa coscienza? -come viene trascritto) che gli diceva “Ci rivedremo a Filippi”, alla quale lui rispondeva, consapevole del suo destino, “ci rivedremo”. Eppure, lui stesso rimase convinto, fino alla fine, di aver agito per un virtuoso ideale di libertà, sconfitto dagli “ingiusti” che si erano impadroniti del potere. Prima di suicidarsi pronuncia alcune parole rimaste famose:
“Virtù! Tu non eri altro che un nome, ma io ti ho adorata davvero come se fossi vera, ma non sei mai stata altro che una schiava della sorte”.
Tutta questa storia è racchiusa in una singola moneta coniata dal congiurato, a dimostrare anche che un così piccolo oggetto possa narrare la storia di uno Stato o addirittura di un’epoca. Camminando nei musei, a volte, possiamo lasciarci sfuggire qualche teca con un vaso, qualche gioiello prezioso o dell’altro, ritenendo che non siano importanti. Ogni oggetto ha una storia che lo caratterizza e lo distingue. Pensare che un uomo o una donna vissuta migliaia di anni fa lo abbiano tenuto, usato o sfruttato o, in particolare che sia stato anche soltanto creato, può rappresentare un qualcosa di straordinario.

La moneta era stata emessa da Bruto due anni dopo l’assassinio, commesso assieme al complice Cassio, nel 42 a.C. Bruto successivamente si uccise dopo aver perso la battaglia di Filippi (inizio del 42 a.C.) contro il nipote ed erede di Cesare, Ottaviano, che poi avrebbe preso il titolo di Augusto, e Marco Antonio. “In un atto di impareggiabile spavalderia, ci vengono subito presentate le armi del delitto usate per uccidere Cesare, la data precisa dell’atto e il movente”, spiega Richard Beale, amministratore delegato di Roma Numismatics. Il prezzo è sicuramente elevatissimo, ma il fascino di avere una moneta coniata dall’assassino di Giulio Cesare in persona non ha prezzo. Almeno è sicuramente così per il fortunato compratore che si è aggiudicato l’asta. Secondo l’esperto di monete antiche Mark Salzberg (presidente di Numismatic Guaranty Corporation), si tratta di “una delle monete più importanti e preziose del mondo antico”. Una vera e propria “moneta dell’assassino”, che doveva celebrare una riconquistata “libertà”, simbolizzata nel cappello posto tra i due pugnali: un pileus, copricapo usato dagli ex-schiavi romani dopo la liberazione.

Il record precedente era detenuto da una moneta greca, in gergo chiamata “statere”, venduta nel 2012 per 3,25 milioni di dollari. Quattro anni prima, nel 2008, un sesterzio di bronzo dell’imperatore Adriano era stato venduto per “soli” 2,5 milioni di dollari. La “moneta dei record” oltre a raffigurare il volto di Bruto su un lato, riporta sull’altro due pugnali a richiamare proprio l’assassinio, e il cosiddetto “berretto della libertà”, un indumento simbolico dato agli schiavi al momento della loro liberazione. Al centro, campeggia la sigla: “Eid Mar”, le Idi di Marzo, chiaro riferimento al 15 marzo, giorno della morte di Cesare nel 44 a. C.