Vi siete mai domandati che tipologia di culto celebrassero e a quale divinità rendessero omaggio gli antichi romani durante il periodo in cui noi festeggiamo la Pasqua?
Fin dall’antichità, infatti, l’eterno avvicendarsi di vita, morte e rinascita ha incuriosito e affascinato l’uomo, soprattutto all’interno di una cultura, come quella romana, che percepiva profondamente un sacro legame con la natura ed i suoi cicli. L’avvicendarsi delle stagioni, la rinnovata fecondità della terra e il fiorire della primavera avevano per gli antichi romani, e non solo, una forte carica simbolica, in quanto venivano da essi ritenute manifestazioni del sacro. Non sono, quindi, solamente i cristiani e gli ebrei che festeggiano durante questo periodo dell’anno, naturalmente sotto vesti diverse e principi liturgici differenti, ma anche i romani glorificavano la rinascita.

Il culto celebrato nell’antica Roma che coincide con il periodo durante il quale al giorno d’oggi facciamo cadere il giorno di Pasqua è quello legato ad Attis, alla sua morte, e alla sua “risurrezione”. Ad Attis era, infatti, dedicato un ciclo di festività che si teneva fra il 15 e il 28 marzo , che affonda le sue radici in una concezione mistica della natura e del legame dell’uomo con i suoi cicli.
Esistono molte versioni di questo mito, nato intorno al VII secolo a.C. nelle regioni dell’Anatolia centrale, e giunto a Roma circa cinque secoli dopo.
Secondo la tradizione della Frigia, una regione storica dell’Anatolia centro-occidentale, Attis sarebbe nato dall’ambigua unione di una ninfa fluviale con uno dei figli di Zeus, chiamato Agdistis. Si narrava che quest’ultimo, essendo ermafrodito e presentandosi a metà strada fra umano e divino, spaventava a tal punto gli dei che essi presero la decisione di evirarlo, al fine di evitare che generasse figli altrettanto terribili. Da questa evirazione, compiuta dal dio Dioniso, si generò un albero di melograno.
Tempo dopo la ninfa Nana, figlia del dio dei fiumi Sangario, attratta dall’albero, mangiò uno dei suoi frutti e, rimasta incinta, diede alla luce Attis. Così il bambino, allontanato con forza dalla madre per la vergogna, venne cresciuto da alcuni pastori e allattato dalle loro capre.
È in questo momento della storia che il mito di Attis incontra quello di Cibele, l’androgina madre di tutte le divinità, misteriosa e terribile, rappresentava l’espressione della forza creatrice, ma anche distruttrice, della natura.
I due si innamorarono, e da questo sentimento nacque un figlio, ma il disonore di Cibele, secondo la tradizione figlia di un re, portò la dea alla terribile decisione di far uccidere Attis, senza mai seppellirlo, quindi, non rendendogli onore. In altre versioni maggiormente legate al culto della rinascita, invece, la stessa Cibele, tormentata da un amore non corrisposto, provocò la morte, tramite evirazione, e la successiva “resurrezione” dell’amato Attis.
Nonostante le versioni di questo mito siano davvero molte e differenti, una costante sempre presente è quella legata alla morte e alla successiva rinascita del personaggio principale. Quindi, proprio come noi celebriamo la risurrezione di Cristo, gli antichi romani omaggiavano il ritorno alla vita dopo la morte del dio Attis. Questa festività venne poi chiamata “Sanguem”.

Come veniva festeggiato il dio Attis
A Roma, le festività per Attis duravano più di dieci giorni, e, come tutte le celebrazioni del mondo antico, seguivano un rigido calendario di rituali.
Le celebrazioni iniziavano il 15 marzo con una processione detta “Canna intrat”, letteralmente “entra la canna”, che raggiungeva il tempio dedicato alla dea Cibele, situato sul colle Palatino. I partecipanti erano i cosiddetti “cannofori”, che portavano al tempio fusti di canne con lo scopo di commemorare l’esposizione di Attis bambino in un canneto, in seguito all’abbandono da parte della madre. Si ritiene, inoltre, che questa cerimonia sia collegata ad antichi rituali propiziatori della pioggia legati all’ambito agricolo.
In seguito, seguivano sette giorni di digiuno, in attesa della celebrazione della morte della divinità, che avveniva il 22 marzo. Durante questa giornata era usanza tagliare un pino, albero simboleggiante il dio, fasciare il tronco con sacre bende di lana rossa e porre sulla sua sommità alcune effigi raffiguranti Attis in giovane età. Per mezzo di una processione chiamata “Arbor intrat” (“l’albero entra”), il pino veniva portato fino al tempio di Cibele e deposto ai piedi dell’altare, dove avvenivano le commemorazioni funebri.
Le cerimonie culminavano il 24 marzo con il “Sanguem” vero e proprio, detto anche “Dies Sanguinis”, ovvero la commemorazione dell’evirazione del dio attraverso i sacrifici dei sacerdoti, che si ferivano intenzionalmente per spargere sull’albero sacro il proprio sangue.
Il giorno seguente, ovvero il 25 marzo, si celebravano le feste chiamate “Hilaria” in onore della “risurrezione” del dio, durante le quali i rituali legati alla morte lasciavano posto a processioni gioiose e piene di vita, volte a celebrare la primavera e la rinascita. Inoltre, in epoca imperiale, le celebrazioni prevedevano anche una processione della statua di Cibele.
Dopo un giorno di riposo, il “Requetio”, il 27 marzo giungeva il momento della “Lavatio” (“abluzione”) della statua di Cibele, che veniva porta presso il fiume Almone, lavata e cosparsa di cenere.
Infine, il 28 marzo era dedicato all’ “Initium Caiani”, ossia la cerimonia di iniziazione ai misteri di Attis.
