Con Borges verso il recupero dell’immaginazione

La lezione sull'importanza dell'immaginazione, presente all'interno degli scritti dell'intellettuale argentino, Jorge Luis Borges riecheggia tutt'oggi in una società che ne ha esorcizzato il valore.

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Borges
Borges (1899-1986)
Tempo di lettura articolo: 4 minuti

Immersi in quella società dell’incertezza, che Bauman definì “modernità liquida”, ci ritroviamo ad anelare a qualche obiettivo al fine di contrastare un futuro sfocato; in questo scenario, diviene importante la lectio calviniana circa la leggerezza, sulla quale si pronunciò anche Kundera, ma ciò che più di ogni altra cosa ci consente una via di fuga è: l’immaginazione.

Borges

Quando si parla di immaginazione, tanti sono gli autori che affiorano nella nostra mente: Ovidio con il suo cangiante ed eterno poema “Metamorfosi”, Ariosto con il suo indimenticabile e labirintico “Orlando Furioso”, Leopardi e la siepe de “L’Infinito” che gli oscura lo sguardo, costringendolo a immaginare; tuttavia tra questi capisaldi della letteratura si inserisce a pieno titolo lo scrittore argentino Jorge Luis Borges. 

Borges è così difficile? 

Attorno alla figura di Borges aleggia un alone di mistero e incomprensione. Perché fatichiamo così tanto per capire i suoi testi? È l’evidente prova che la nostra immaginazione, in una società smaterializzata e veloce, si stia, progressivamente, deteriorando fino a scomparire. Laddove, ogni cosa è a nostra portata di mano e non si conosce l’ostacolo, allora l’immaginazione non trova le prerogative per “nascere”. L’immaginazione, Leopardi ce lo insegna, affiora quando la realtà contingente si mostra opprimente, quando si ha l’esigenza di “costruirsi autonomamente” il proprio mondo, quando davanti a noi abbiamo una “siepe” che esclude il nostro sguardo altrove. Da qui, l’immaginazione nasce e noi ci rifugiamo in essa per cercare elementi consolatorio.

Un maestro dell’immaginazione

Dai saggi ai romanzi, dalle poesie ai numerosi racconti, i soggetti e i luoghi descritti da Borges sono i riflessi di ciò che la sua mente produce, ma che i suoi occhi non vedono. Tutto ciò avviene grazie al processo creativo sviluppato dall’autore, per il quale il passato vivido si intreccia con l’astrazione dovuta all’insorgere della completa cecità negli anni Sessanta

Tra i primi segni di questa sperimentazione artistica troviamo l’Aleph, una raccolta di diciassette racconti, apparsi separatamente in precedenza su riviste argentine, pubblicata nel 1949 che analizza grandi temi dell’umanità: metafisica, morte e immortalità, i labirinti, lo sdoppiamento, il dolore, il destino e l’infinito. Ognuno di noi aprendo un libro cerca di ricostruire, man mano che prosegue con la lettura, una trama organica poiché non si può andare avanti senza capire personaggi, azioni o significati. Umberto Eco nel Lector in fabula del 1979 spiega: «Tra autore e lettore si stabilisce un gioco di attese reciproche dove ognuno cerca di indovinare e anticipare la strategia dell’altro». Ma quando crediamo di aver compreso il senso degli eventi, allora Borges inserisce, puntualmente, qualcosa che mette in dubbio ogni nostra supposizione o certezza.

Trama dell’ Aleph

L’Adelph di Borges edz. Adelphi

Borges ci presenta un uomo alla costante ricerca della “Città degli Immortali”. Il personaggio noto come il tribuno della plebe Marco Flaminio Rufo si incammina in una località prossima al Mar Rosso e di fronte a lui si inscenano i più impensabili avvenimenti. Da questo punto in poi, ci smarriamo nel racconto: non si capisce dove sia finito il protagonista, chi siano le persone e gli animali che incontra lungo il suo tragitto, dove inizi e dove finisca questa città inarrivabile. Fino alla fine speriamo che si palesi un elemento chiarificatore o che l’intera faccenda si risolva con “era tutto un sogno”.

Attraverso un flusso di coscienza, le poche certezze che il lettore credeva di possedere all’inizio del libro si dileguano e si inizia a interrogarsi anche su chi sia il vero protagonista della storia. È come se Borges d’un tratto si fosse risvegliato nei panni di un pittore surrealista, decidendo di proseguire il racconto in uno stato di dormiveglia, ma in realtà siamo intrappolati nel labirinto borgesiano, la cui unica via di uscita è smettere di arrovellarsi e godersi il viaggio nell’immaginazione di questo Grande della letteratura.

«M’abituai a quel mondo incerto e ritenni incredibile che potesse esistere altro che sotterranei provvisti di nove porte e lunghi corridoi che si biforcano… ignoro il tempo che dovetti camminare».

Piranesi edz. Fazi editore

Un encomio a Borges in “Piranesi” 

Susanna Clarke, in dei suoi bestseller “Piranesi”, ricorda piacevolmente le atmosfere surreali e immaginifiche create e nate dalla mente polimorfica di Borges:  

«In tutti questi luoghi, mi sono fermato sulla Soglia e ho guardato avanti. Non ho mai visto alcuna indicazione che suggerisse che il Mondo stesse arrivando a un Confine, ma soltanto il regolare susseguirsi di Saloni e Corridoi a Perdita d’Occhio».

Riflessioni 

Tra gli innumerevoli spunti di riflessione proposti dai testi di Borges: culto e miscredenza, lunghi monologhi e brevissimi dialoghi, il topos della follia rappresenta il vero letimotiv. La paura di andare oltre i confini tracciati dalla società, l’inadeguatezza e il senso di colpa trasudano dalle sue storie, ma vengono di volta in volta arginati, grazie al coraggio e alla caparbietà dei personaggi dei suoi libri: inizialmente, appaiono abulici e annichiliti, a seguire dubbiosi sul da farsi e, per finire, quando tutto sembra essere perduto, inaspettatamente si mostrano pronti ad agire. 

Quello che Borges sottintende è che, talvolta, evitare di cercare un senso a ciò che ci circonda o a ciò che ci accade, può essere la chiave per la nostra serenità, la smania di avere tutto sotto controllo e la tendenza all’autocritica prende il sopravvento sul benessere mentale e la terapia consiste nell’intraprendere la via della leggerezza e dell’immaginazione.  

Oggi, le nostre azioni sono sempre più contraddistinte da un senso di grande incertezza, persino gli spazi familiari cambiano i connotati proprio come nella casa-labirinto di Asterione: un giorno è possibile uscire di casa, quello dopo è severamente vietato, diventando così la metafora del mondo e dell’esistenza umana, ove vivere significa districarsi nelle difficoltà, cercando faticosamente una via d’uscita. Allora proprio come i personaggi borgesiani, risucchiati nel vortice dei racconti del loro autore, abbiamo bisogno di trovare una porzione di spazio e tempo in cui spegnere la “luce”, non farci domande e abbandonare la pura ratio, come fecero i romantici, a favore di una personale riscoperta dell’immaginazione.

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